Articoli 10/09/2011

Vino, olio, bio, slow. Tante, troppe Città

Vino, olio, bio, slow. Tante, troppe Città

Tagliare i costi della pubblica amministrazione può diventare oggi una scelta etica e un’opportunità. Perché allora non lanciare un segnale di speranza in un’epoca di così grave crisi economica e di decadenza morale? Un esempio di buon governo può partire dall’accorpamento delle tante associazioni in un’unica realtà. Si tratta di una sana provocazione, ma la parola spetta ora ai diretti interessati


Mi spiace se tale mia riflessione espressa pubblicamente senza prima sentire i diretti interessati, potrà risultare sgradita, quasi una invasione di campo, ma io parto dal presupposto che le risorse della collettività rappresentino oggi più che ieri un prezioso patrimonio da salvaguardare e preservare ad ogni costo. Il danaro versato dai cittadini onesti in forma di tasse deve essere sempre e comunque ricompensato da una corretta e saggia amministrazione delle risorse pubbliche.

Sia ben chiaro: non voglio in nessun caso insinuare dubbi sul corretto operato dei presidenti delle varie “Città del”, anche perché sono certo che ciascuno di loro sia mosso da sane intenzioni e abbia competenze e capacità tali da meritare di ricoprire il prestigioso incarico cui assolvono – ne sono certo – con autentica passione e rigore.

Con le associazioni delle diverse “Città del” ho collaborato da molti anni e ne conosco ormai le dinamiche. In particolare voglio manifestare qui il forte legame affettivo che mi lega all’associazione nazionale delle “Città del Vino”, con la quale vanto una ultradecennale e solida collaborazione che si rende puntualmente visibile attraverso i miei scritti sul periodico “Terre del Vino”, sia quando la testata era registrata con il nome “Vino & Città”, sia con la denominazione attuale. Mi sono trovato e mi trovo tuttora così bene da esserne orgoglioso, tanto da augurarmi di proseguire la mia rubrica sull’olio con la medesima emozione della prima volta.

Oggi, a distanza di tanti anni, osservando a ritroso quanto è stato fatto finora dall’associazione delle “Città del Vino”, ancora rifletto sul proficuo lavoro di promozione e valorizzazione di una vera, autentica e impareggiabile cultura enoica che non si rinchiude in se stessa, nel bicchiere di vino, ma che sa guardare altrove con la stessa attenzione e qualità di sguardo, alla buona tavola, con i vari prodotti frutto della terra e del lavoro dell’uomo, e perfino al buon vivere. Credetemi, in tutta onestà posso dire che senza le “Città del Vino” oggi ci sarebbe un deficit culturale notevole. Il loro lavoro è stato esercitato in maniera davvero nobile, con serietà e onestà, a tal punto da prendere sicuramente a modello.

Cos’è accaduto nel frattempo? Sono sorte come funghi tante altre “Città del”.

L’elenco è lunghissimo, e potrebbe non terminare mai: si va dalle “Città dell’Olio” alle “Città del Miele”, dalle “Città del Pane” alle “Città del Castagno”, dalle “Città del Tartufo” alle “Città delle Ciliegie”, dalle “Città del riso” alle “Città della Nocciola”, e via snocciolando…

E mi fermo qui, perché, credetemi, riportare l’elenco completo è snervante.

In ogni caso, per la cronaca, esistono anche le Città del Tabacco, quella della Bufala, della Lenticchia, del Bio e perfino – come potevano d’altra parte mancare, le “Città Slow”, di tutto, di più, insomma, ma non è la Rai: peggio. Esiste infine “Res Tipica”, che è una associazione che raccoglie, tra le associazioni di identità, anche le Città della Terra Cruda.

Non è con spirito di polemica che scrivo questa nota. Trovo però pletorica l’invasione delle “Città del”. E’ stata senza dubbio illuminante l’idea e bisogna darne atto. L’invenzione di un’associazione identitaria per valorizzare i nostri patrimoni presenti nei nostri territori è cosa buona e giusta, ma tutto ciò, alla fine, cosa comporta? Chi finanzia tali realtà? Sempre i Comuni e altri enti locali? Ma non esistono per tale scopo le Strade del vino, dell’olio e dei sapori? Non esistono anche i Gal, i Gruppi di azione locale? Perché questa moltiplicazione di pani e di pesci?

Non è per spirito di polemica, ma io in fin dei conti ritengo che possa bastare benissimo la prima di queste associazioni, che è appunto quella delle “Città del Vino”, fondata nel 1987, la più consistente, peraltro, per numero di soci. Già tale associazione si impegna aattraverso la propria rivista e le proprie iniziative a valorizzare tutte le identità locali, perché allora inmventarsi nuove associazioni?

La mia è soltanto una sana provocazione. Attendo le vostre risposte, ma soprattutto quelle dei diretti interessati. Magari sono io a sbagliarmi, però le varie associazioni citate mi spieghino le proprie ragioni. Sono certo che saranno ragioni forti, sostanziali. Io, comunque, se vi è la stretta necessità di creare sempre nuove “Città del”, mi candido a essere il presidente di una di queste. Amo tanto le giuggiuole, tanto per esempio. Visto che sono introvabili, se qualche città ancora le produce, sono pronto. Mi autocandido.

 

di Luigi Caricato

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Commenti 2

Antonio Menconi
Antonio Menconi
13 settembre 2011 ore 18:08

Argomento assai spinoso che richiederebbe un'ampia riflessione.
In mancanza di tempo/spazio, concordo: la "Città dell'Autoreferenza" servono ormai a poco (e costano comunque troppo come passerelle per l'ego di sindaci e funzionari), almeno così come sono state pensate e gestite (!?).

Giuaeppe Bertoni
Giuaeppe Bertoni
10 settembre 2011 ore 17:40

Anzitutto mi pare ottima idea per non disperdere le poche forze realmente tali. In ogno caso mi auguro trattarsi sempre e comunque di puro volontariato .o no! Cordialmente. G. Bertoni