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COM’E’ INSIDIOSO E DEVASTANTE IL POTERE DELLA PUBBLICITA’

Ci si abbandona senza nemmeno pensarci. Si tratta di un mezzo di propaganda che agisce sulla nostra psiche con effetti per certi versi anche ipnotici. Incide sugli acquisti, ma anche su atteggiamenti e abitudini. Non tutti sono in grado di interpretare ciò che viene loro imposto

08 gennaio 2005 | Ada Fichera

Un insidioso quanto coinvolgente fenomeno, un preoccupante quanto ipnotico mezzo di propaganda. E’ la pubblicità, che costituisce una componente ormai dominante del nostro quotidiano.
Quante volte di fronte a due prodotti abbiamo concluso scegliendo quello maggiormente pubblicizzato, o che in quel momento ha uno spot più simpatico, più accattivante di un altro? Forse di taluni casi, è difficile anche produrne una stima …

La pubblicità, che sia televisiva o su giornali, su manifesti o su depliants, ha ormai invaso, molte volte pilotandola, la vita di tutti noi.
La sua diffusione “copre” non solo la sfera degli acquisti, ma fattore ancor più determinante influisce sugli atteggiamenti, sugli usi, sulle abitudini dell’intera società.
Spesso, basta una frase, un modo di dire più volte ripetuto e pubblicizzato, affinché questi diventino d’uso comune.
È di dominio pubblico ormai, il fatto che le mode condizionino il vestire di quanti finiscono così per “essere di tendenza”.

Riguardo all’esser di tendenza, vengono dunque interessati i locali, i luoghi di ritrovo del “popolo della notte” di gran parte delle città italiane, che tende a scegliere come meta di divertimento quel ristorante o quella discoteca che va di moda in quel determinato periodo e dove vanno tutti in città.
La pubblicità o comunque qualsiasi tipo di messaggio finalizzato a reclamizzare da parte dei media un prodotto, un atteggiamento, un uso o quant’altro agiscono prepotentemente su coloro che di tali messaggi ne diventano in modo indiscriminato fruitori.

La fruizione è proprio il principale nucleo problematico della questione, perché non sempre si sa interpretare a dovere ciò che i media ci impongono, o meglio non tutti ne hanno la capacità e la preparazione. Cosa succede infatti se, obiettivo di slogan pubblicitari o di strani soggetti che si atteggiano dietro una macchina da presa o su una copertina di un giornale, sono i bambini?
Certi messaggi piovono addosso a questi, ricadendovi con una pregnanza sbalorditiva, ed è con questa che di frequente sono causa della costituzione di un immaginario a volte sbagliato, quell’immaginario che propone come massimi valori la bellezza, la ricchezza, il potere, che pone davanti a quanti la osservano personaggi che divengono motivo di emulazione.

È frequente, negli adolescenti, avere un idolo che conduce dunque alla sua imitazione. E se ciò che si vuole imitare possiede dei connotati non del tutto positivi? Se quello che si vuole pubblicizzare e proporre come modello è diseducativo o deviante?
Molti di coloro che sono destinatari di tutto quello che si è menzionato finora, non hanno ancora l’esperienza per aver messo quell’impermeabile che permette, a ciò che ci giunge, di scivolare addosso senza intaccare l’equilibrio già acquisito, senza scuotere, ma anzi stimolando una critica ed un esame di quanto accade per rinsaldare alcuni tasselli dell’ordinario agire.

Il paradosso della pubblicità in senso lato è che quest’ultima ha tanto successo, quanto più è seducente, proprio perché il meccanismo che la governa è la sua efficacia, l’efficacia di convincerci a comprare un prodotto anziché un altro.
Così facendo però tende a reclamizzare oggetti di un desiderio spesso non appagabile, e dunque si fa portavoce non solo di un preciso sistema di valori, ma soprattutto di quell’infelicità tipica di chi sviluppa la coscienza di volere ciò che, per molteplici ragioni, non può avere.

La pubblicità si presenta, riflettendoci un po’ su, anche come un modo per sottrarre a tutti noi ogni giorno la libertà che possediamo, pilotando le nostre scelte senza che ce ne accorgiamo.
Ormai non sfugge a questo fenomeno neanche il settore culturale. Sul “Corriere della Sera” del 3 dicembre scorso, è stato pubblicato un interessante articolo che documentava una stima redatta dal Ministero italiano per i Beni e le attività culturali che vede ai primi posti, con maggior numero di visitatori, tutti quei luoghi direttamente pubblicizzati o reclamizzati in modo indiretto, non esplicito, perché luoghi che sono stati set di film, televisivi o di spot. Un esempio per tutti è il castello di Agliè, ora più noto come il Castello di Rivombrosa, in quanto set della nota fiction “Elisa di Rivombrosa”.
Fino ad un anno fa, questo castello, a quaranta chilometri da Torino, era meta solo di alcuni cultori o specialisti, per i quali era “semplicemente” l’ex- residenza dei Savoia-Carignano, ma da quando è divenuto location delle riprese della fiction-tv che ha visto consumarsi l’amore tormentato tra la bella Elisa Scalzi ed il conte Fabrizio Ristori, è piombato in vetta alle classifiche tra i luoghi più visitati in Piemonte.
E questo sembra non essere un caso isolato.

Concludendo, ciò su cui si vuole porre l’accento, non è di certo un boicottare la pubblicità o un volerla stupidamente eliminare, ma è un evidenziare gli effetti spesso devastanti di essa, al fine di far riflettere su quanto sembra ormai alla luce della vita di ogni giorno normale, scontato, ovvio, ma che invece nasconde in sé, una forza blanda, sottile, che agisce silenziosa, ma che è capace di forgiare tutto con la sua mano potente ed efficace, come solo uno strumento mediatico sa fare.

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