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MAURIZIO CUCCHI: “LA NATURA E’ BELLA DA GUARDARE, MA APPENA CI STO DENTRO MI COGLIE L’ANGOSCIA”

Acuto osservatore dei costumi del nostro tempo, è considerato tra i massimi rappresentanti del mondo letterario. "La terra - sostiene - è sempre stata ingrata, intimamente legata a una dimensione a-storica e a un tipo di pensiero immobile"

04 ottobre 2003 | Luigi Caricato



Cosa si può mai proporre e offrire, oggi, a chi voglia dare un senso diverso e nuovo alla propria vita?
La stessa interrogazione – ricordate? – l’abbiamo rivolta lo scorso mese a Giampiero Neri. Questa volta poniamo invece la domanda a Maurizio Cucchi, altra figura rappresentativa della società letteraria, nonché acuto osservatore del mondo e dei costumi del nostro tempo per le pagine del quotidiano “La Stampa”. Ma Cucchi, per chi ancora non lo avesse scoperto, è anche un nostro illustre ospite proprio nelle ‘stanze’ di “Teatro Naturale”. Pagine a corredo del nostro settimanale, che invitiamo, per quanti non l’avessero ancora fatto, a consultare.
Il suo più recente libro, Per un secondo o un secolo, è uscito in aprile da Mondadori. Si tratta, come scrive il noto critico Giovanni Tesio su "Tuttolibri", di "una sorta di breviario laico, attentissimo a registrare in forme epigrafiche le misure della complessità esistenziale".

Le soluzioni per la vita
“Acquisendo maggiore consapevolezza rispetto a quanto accade – precisa Cucchi – si riesce senz’altro a organizzare al meglio la propria esistenza, il proprio lavoro. Non basta – sostiene – essere dei tecnici eccellenti. Occorre avere una visione più ampia. E' attraverso una cultura non specialistica che si può vedere ben più lontano. Non occorre fermarsi al proprio ambito. E' necessario acquisire una maggiore padronanza anche sull’insieme della realtà. Occorre andare al di là del proprio mondo”. E’ questo il pensiero che Cucchi rivolge ai lettori.
Chi si occupa a vari livelli di agricoltura, alimentazione e ambiente, non può trascurare un simile consiglio. La società in cui si vive giorno per giorno tende a evitare di volgere uno sguardo profondo su ciò che ci circonda. Ci si ferma solo alla superficie, o al particolare, e quando si va ad approfondire la realtà, fino a vederla per quello che è, si preferisce non affrontare la complessità dello sguardo. Si socchiudono gli occhi per evitare di scoprire strade impervie da affrontare. Invece occorre assumere la capacità di osservare il mondo senza mai sezionarlo al punto da sconvolgerne l’identità più vera.

Qualcosa di autentico
“Credo che ci sia oggi una forte necessità nell’avere e nel sollecitare un rapporto con qualcosa di autentico. Ritengo perciò interessante la soluzione del ‘rifugio’ in qualcosa che ci riporti a una dimensione di sicurezza, ma potremo parlare anche, per certi versi, di ‘ritorno’ al biologico. La gente ha l’impressione che quando compra qualcosa non prenda più un prodotto della terra, ma del laboratorio. E’ una esigenza imprenscindibile, quella di tornare alla terra, di evitare il falso e di non diventare falsi noi stessi. E’ un forte bisogno dell’autentico che si respira nell’aria".
Ma dove sarà possibile, chiediamo, scorgere questa dimensione che apre all’autentico? Non nei luoghi posticci che simulano il ritorno alla terra, evidentemente.
“L’agriturismo mi attrae poco” incalza Cucchi. “Ha certamente tanti aspetti positivi, non lo nego, ma c’è pure qualcosa di un po’ forzato. Colgo un po’ di artificiosità in questa nuova tendenza in atto. Nel mondo devono forse esserci meno alberghi perché si preferisca il quieto abbandono a una vita nella natura? Potremmo dire di sì, ma quest’ultima soluzione non deve certo essere un business. Sarebbe sgradevole”.

In cerca di manufatti
“L’attrito con il mondo è inesistente” precisa indispettito Cucchi. “Allora – dice – taluni se lo cercano a pagamento, con i ‘corsi di sopravvivenza quotidiana’, per esempio. E’ un assurdo. C’è da una parte una esigenza forte, viva, a cui però si preferisce rispondere con un manufatto, con qualcosa di non naturale”. Occorre riflettere molto su simili imperizie. Sono contraddizioni che lasciano perplessi. E tanto. E’ evidente che non sempre certe spinte verso ciò che si ritiene essere ‘natura’ portino poi nella giusta direzione. Che il ritorno alla natura sia solo una moda, qualcosa di posticcio?

Tradizione o modernità?
Le volte che si affrontano i temi riguardanti il mondo agricolo – e, di riflesso, gli ambiti relativi all’alimentazione e all’ambiente – se ne colgono con puntualità le sole sfumature più esteriori, mai però che qualcuno si curi di individuare nuovi approcci, più aperti al pensiero. Ecco, non c’è per esempio un ‘pensiero rurale’, non lo si è mai elaborato compiutamente, quando invece il ‘pensiero operaio’ si è sempre delineato chiaro e nitido all’orizzonte. Come mai?
“Il contadino – precisa Cucchi – è per forza di cose un conservatore. E’ un tradizionalista. Il mondo contadino resta perciò legato a una concezione del mondo antica. Il mondo operaio, e quello in generale della fabbrica, era invece orientato, soprattutto in passato, alla modernità. La terra – aggiunge – è sempre stata ingrata. La terra è intimamente legata a una dimensione a-storica, a un tipo di pensiero immobile.
C’è solo un atteggiamento di reazione nei confronti degli abusi, nulla più. Nella società odierna c’è una sete di natura perché non ce n’è affatto di natura. Ma non si va oltre. Certo, alcuni hanno deciso di tornare a vivere in campagna. Ma è solo una scelta ideologica. Non si può comunque andare a vivere in campagna per un rifiuto della città. La scelta della campagna deve essere una adesione piena, che faccia perno su una valenza positiva, non sulla necessità di fuggire le anomalie del mondo”.

La natura fuor da ogni retorica
“La natura è senz’altro una cosa bellissima da guardare – ammette Cucchi – ma appena ci sto dentro mi viene l’angoscia. La natura è vittima purtroppo di tanta retorica. Vi è un’idea bucolica e consolatoria che domina incontrastata. In realtà la natura è un meccanismo indifferente rispetto alle esigenze dei soggetti. Tutta la retorica che gira intorno al concetto di natura non fa bene. Sì, perché la natura è una splendida macchina indifferente alle sorti degli individui, e soprattutto del singolo individuo. Dalla formica all’uomo, l’esistenza è irrivelante”.

Ogm sì, ogm no
Organismi geneticamente modificati, altro nodo cruciale e irrisolto. “Il problema – ritiene con convinzione Maurizio Cucchi – è nell’uso delle cose. I progressi nella conoscenza sono fondamentali. Compiere degli abusi servendosi della conoscenza è però un crimine. Occorre servirsi della conoscenza per il bene della collettività. Ma, rilievo da non sottovalutare, l’uomo è fondamentalmente individualista, pur facendo parte di una collettività. Anche questo aspetto dell’uomo fa dunque parte della natura: se deve salvare se stesso, è ovvio che non salverà il vicino di casa”.

Un ottimismo demenziale
E il degrado ambientale? Le costruzioni devastanti che hanno sottratto in maniera indebita spazi al territorio, sventrandolo e abbruttendolo oltre ogni decenza?
“Ci sono stati periodi storici in cui l’ambiente è stato terribilmente distrutto, non solo in Italia. Ma niente è casuale. Ci sono alcune esplosioni di ottimismo demenziale che hanno dell’incredibile: hanno voluto erigere un mondo distruggendolo. Com’è strano l’uomo. Prima di pensare alla salvaguardia dell’ambiente, con abbattimenti di strutture insensate, credo che sia comunque necessario curarsi della gente che sta dentro, nelle case dell’orrore”.

Letture consigliate
Un libro da suggerire a chi frequenta per ragioni professionali il mondo rurale? “Consiglierei Il podere di Federico Tozzi, ma anche La terre di Zola. Non mi pare tuttavia che di quest’ultima opera esista una traduzione in lingua italiana. Sono libri che mettono in evidenza la crudeltà della natura e l’ottusità del mondo contadino. Ho scelto questi due testi per mettere in luce due pubblicazioni meno conosciute, ma ve ne sono molti altri altrettanto utili ed efficaci”.