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AVANZATA O DECLINO DI SLOW FOOD? IL GRANDE DILEMMA SUL FUTURO DI UNA FORMULA VINCENTE

Si è da poco conclusa una manifestazione formidabile. Con grande consenso di pubblico ha chiuso i battenti la quinta edizione del “Salone del gusto”. Quest’anno con la grande novità parallela di “Terra Madre”. E’ il segno di un reale successo o l’inizio di una involuzione?

30 ottobre 2004 | Luigi Caricato

Slow Food si va spettacolarizzando. Nata come realtà a tutela di un modo di essere e di intendere l’alimentazione, il mondo agricolo e la ruralità, ora diventa sempre più un fenomeno di costume, uno tra i tanti.
L’idea originaria era impeccabile e propositiva, lo è tuttora. Solo che oggi quell’idea è diventata ciò che con termine infelicissimo si dice business. Quell’idea così meravigliosa e scalzante, caratteristica dei propositi iniziali dei suoi fondatori, se non si è oggi snaturata, non ha comunque più la forza e lo spirito dirompente di un tempo.
E’ ora soltanto un cliché, vincente, certo, ma pur sempre un cliché. Un archetipo, insomma, che riflette su se stesso, ripiegandosi però a seconda delle mutevoli esigenze, in ragione degli obiettivi da raggiungere. Un modello senz’altro positivo, a prima vista, ma non per questo dotato di anima e di forza propulsiva. Così come appare, è destinato a svuotarsi dei suoi contenuti più straordinari e felici.

Slow Food ha realizzato grandi progetti, un tempo ritenuti impensabili. Carlo Petrini ha compiuto ciò che Luigi Veronelli ha solo intuito senza dimostrare tuttavia capacità e volontà di costruire.
Carlo Petrini ha invece compiuto un miracolo, quasi. Dovrebbero farlo santo. Non è facile mobilitare un esteso e fedele corteo di adepti. Sì, proprio così: di adepti. Perché la struttura di Slow Food è paragonabile a quella di una confessione religiosa. E’ una vera e propria chiesa. La differenza è che qui l’oggetto desiderato (e venerato) non è più un dio, ma il cibo (da assumere lentamente però, con la dovuta calma).
Il pontefice è lui, Carlo Petrini, il fulcro su cui tutto poggia e assume senso e ragione d’essere. Petrini, insomma, è l’equivalente di un santo padre laico.

Slow Food ha celebrato il suo quinto “Salone del gusto” nei giorni scorsi. Con enorme successo. Nessuna invidia, anzi. Orgoglio e soddisfazione, grande plauso a chi ha saputo costruire una realtà così unica. C’è da essere fieri. Ci fossero stati in passato simili progetti. L’Italia sarebbe stato un Paese diverso. Al contrario, molte manifestazioni fieristiche sono inconcludenti e inespressive, rappresentano solo una fonte di guadagno certa per gli organizzatori dell’evento. Con il “Salone del gusto” è diverso. Il riscontro c’è, è evidente e palpabile. Si tratta di una formula di successo senza precedenti. Si notano contentezza e appagamento tra gli espositori, euforia perfino. Si percepisce il medesimo spirito anche tra gli operatori commerciali, vengono per davvero da ogni parte del mondo. Anche il pubblico dei consumatori e degli appassionati del gusto, alquanto vasto e variegato, sorprende per qualità e compostezza. La stessa Torino è apparsa meno grigia e insapore del solito, seppure non sia ancora in grado di accogliere grande afflussi di gente. In città la ricezione difetta, lascia un po’ perplessi (mi chiedo come faranno con le olimpiadi prossime).

Una formula vincente il “Salone del gusto”, senza dubbio, ma con quale futuro? Già, oggi che la manifestazione ha raggiunto l’apice del successo, quali prospettive si annunciano? Resterà intatto, perfettamente integro, lo spirito con cui il Salone è stato concepito? Sarà proprio così?
I comunicati stampa diffusi in questi giorni hanno evidenziato ciò che è abituale materia di chi gestisce in realtà eventi poveri di contenuto, fondati piuttosto sul desiderio di effimero. Elisa di Rivombrosa (l’attrice Vittoria Puccini) ha visitato i padiglioni del Lingotto e incontrato addirittura il presidente della regione Piemonte Enzo Ghigo (è rimasta soddisfatta?); anche il principe Carlo (quello dei rotocalchi, un tipino inglese con faccia da persona intelligente, brillante...) per l’occasione ha vestito i panni consunti del “no-global”, muovendo la sua onesta battaglia contro gli ogm; e perfino Mikhail Gorbaciov (quello con la voglia di cibo sul cranio, l’ultimo dei soviets) è pronto oggi per dar corso a una rivoluzionaria cibostroika, assumendo i panni del rappresentante del World Political Forum.
Tutto insomma si va spettacolarizzando. Il buon cibo diventa come la moda e il mondo rurale abbraccia di conseguenza, come suoi propri miti, i personaggi d’avanspettacolo. Infatti erano molte le telecamere presenti. Quando si effettuavano le riprese, con i collegamenti in diretta, si respirava un’aria di festa. Si notava una folla di gaudenti, perché la televisione è la televisione, come d’altra parte sanremo è sanremo. Non cambia nulla, il meccanismo è il medesimo. Poi alcuni annunciano un ritorno a una società rurale. Sì, ma dov’é? Indicatemela.

Da Slow Food, che nell’idea originaria nasce come espressione di contenuti forti, ci si aspetta appunto dei contenuti, non delle strombazzature. Il successo del “Salone del gusto” non è eterno; può proseguire per inerzia ottenendo sempre dei larghi consensi, ma se si va svuotando di contenuti solidi, in grado di lasciare il segno, rimarrà ben presto una manifestazione di successo come tante altre in giro per il Paese. “Terra Madre” è stata la grande vera novità, e un po’ l’idea salvifica di questo 2004, ma non si può certo correre il rischio di trasformare un’idea forte e indovinata come questa in semplice folclore.