L'arca olearia

Il mondo dell'olio d'oliva ha un nuovo modello. Si chiama Molise

Finalmente i produttori stanno assumendo la consapevolezza che la coltura dell'olivo è cultura. Occorre quindi un nuovo modo di comunicare per portare alle luci della ribalta popoli, tradizioni e territori

16 marzo 2015 | Sebastiano Di Maria

Con le sue oltre 500 cultivar, circa la metà del patrimonio olivicolo mondiale, con i suoi diversi e variegati territori che ne conferiscono qualità e declinazioni uniche, con il suo milione di olivicoltori che sono tutela e baluardo del paesaggio olivicolo, l’Italia, con le sue terre d’olio, può esprimere il meglio che l’olivicoltura mondiale può offrire, anche in un momento difficile e d’incertezza come quello attuale. Anche il piccolo Molise, che può vantare una storia millenaria per la sua olivicoltura, oltre che una straordinaria biodiversità, ha finalmente messo un punto fermo importante su quello che è il suo futuro: la voglia di condividere, di crescere insieme nella sfida del mercato, ma di proporsi anche come modello (i numeri giocano a suo favore).

Questo è il senso che si è colto nell’evento “Molise terra d’olio” di Monteroduni, con una straordinaria partecipazione di pubblico, attento, formato da operatori di filiera giunti da tutta la Regione, oltre che da amministratori e rappresentati istituzionali di ogni grado.

Cos’è che ha fatto scattare la scintilla nel voler intraprendere insieme un percorso, i cui tempi erano ormai maturi, anche tra difficoltà oggettive e punti di vista e peculiarità diverse? Oltre alle difficoltà risapute dell’annata passata, di sicuro, una grossa mano l’hanno data anche i due relatori d’eccezione presenti, che hanno portato la loro esperienza, ma anche i due massimi esperti regionali in materia che, spesso invano, lo scorso anno, hanno predicato nel buio.

Fausto Borella, curatore della guida “Terre d’olio”, uno dei “figli” di Luigi Veronelli, ha proprio indicato, in quest’anno zero, “la necessità di mettersi in gioco, di creare un modello nuovo, di capire come produrre eccellenza, di come portarla a tavola, mettendoci la faccia, quella dei produttori, con i loro territori, con la loro cultura”. Seguire con attenzione tutta la filiera, dalla scelta del momento migliore per la raccolta, passando per una frangitura più rapida possibile, seguito da una corretta conservazione, sono un primo passo per produrre qualità, che deve essere necessariamente un prerequisito. Ovviamente, bisogna dar seguito alla filiera della qualità, “facendo squadra, attraverso una corretta opera di comunicazione, che potrebbe avvicinare il consumatore, in particolare, quelli al di fuori dei confini nazionali, che meglio hanno colto la valenza di un olio amaro e piccante con il suo contenuto in polifenoli, e gli oli molisani ne esprimono valori molto alti”, chiude lo stesso Borella.

Cos’è che noi italiani ancora riusciamo a comprendere se l’extravergine rappresenta uno dei prodotti della terra più sottovalutati e vittima di fraintendimenti o cattiva comunicazione? Maurizio Pescari, giornalista e critico enogastronomico, ha cercato di darne spiegazione focalizzato tutto in un concetto: “più olivi sono presenti in un territorio, più bassa è la cultura dell’olio; quello che noi chiamiamo cultura, in realtà, è abitudine, perché tutti lo abbiamo da sempre in casa”. Continua poi lo j’accuse dello stesso, sempre incentrato su un’assenza o fraintendimento sulla cultura dell’olio drammatica, in particolare sulla “qualità percepita, che pone in posizione privilegiata le Regioni più blasonate - spesso con produzioni modeste o non rapportabili - dove nelle loro bottiglie c’è di sicuro il miglior olio di quelle a bassa qualità percepita”. Un chiaro messaggio ai produttori presenti, su qual è la strada da percorrere anche per il Molise.

Particolarmente intenso e accorato, non senza stoccate al vetriolo, l’appello di Mario Stasi, agronomo del Co.Re.Di.Mo - il Consorzio di difesa della Regione Molise - quando ha sentenziato che “la mosca dell’olivo è sempre esistita e se ci sono stati problemi in tal senso, e perché non si crede nell’assistenza tecnica”, rincarando la dose, poi, su scelte politiche che, spesso, in senso generale, “avvantaggiano un certo tipo di agricoltura e non una lettura sana del territorio, dove l’olivicoltore è primo attore nella sua tutela”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Maurizio Corbo, responsabile dell’ufficio olivicolo dell’Arsiam, l’organo istituzionale di controllo della Dop Molise. “Abbiamo capito qual è la strada, ora bisogna mettersi in cammino per capire qual è la destinazione”, chiosa l’agronomo, per poi mettere in risalto la “necessità di tutela della qualità, attraverso la tracciabilità fino al consumatore, con quello che la tecnologia mette a disposizione, come il QR Code”.

Importanti anche le indicazioni provenienti dal mondo istituzionale; nelle parole dell’Assessore all’agricoltura, Vittorino Facciolla, intervenuto a margine dell’evento, “l’olivicoltura, il piccolo produttore e il territorio saranno la spina dorsale dei nuovi piani di sviluppo rurale, incoraggiando l’innovazione e le forme associative, mentre mai saranno sposati sistemi che non hanno nulla a che fare con la storia del territorio”.

Intenso e partecipato anche il successivo dibattito, che ha messo sul piatto un’assunzione di consapevolezza da parte di tutti, ma anche di una necessità di trovare un modo per condividerne i contenuti, pur mantenendo le proprie peculiarità. Come adoperarsi in tal senso? Innanzitutto mettendo al centro l’agricoltura e la terra, non quella che produce denaro, ma quella della produzione di cibo, riscoprendo e valorizzando le proprie radici, studiando e approfondendo la biodiversità, i diversi territori e mettendo insieme le diverse espressioni. Ovviamente bisogna abbandonare lo spirito competitivo, concetto che ormai tutti hanno capito, per inaugurare un modello di tipo “cooperativo” e partecipativo - gli aiuti europei ne promuovono lo sviluppo - cogliendo i segnali positivi emersi dall’incontro.

Un modello “Molise” per l’extravergine sta per nascere, perché tutti comprendano che è davvero “Terra d’Olio”.

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