L'arca olearia 23/01/2015

Quale futuro per l'olio di oliva italiano? A Roma i destini del comparto

Quale futuro per l'olio di oliva italiano? A Roma i destini del comparto

Durante la riunione al Ministero delle politiche agricole, sono stati presentati i quattro assi strategici per il governo. Netta invece la spaccatura nella visione tra le associazioni presenti. Saldo il legame tra GDO e industria olearia: “non si possono vendere solo Audi e Ferrari” dell'extra vergine ovviamente. E allora? Tutti in bicicletta


Un lungo e approfondito dibattito si è sviluppato al termine dell’intervento del Ministro e della relazione del capo dipartimento Luca Bianchi che ha tracciato il percorso della rinascita dell’olivicoltura italiana lungo 4 assi strategici: aumento della quantità di produzione, valorizzazione della qualità, miglioramento della struttura della filiera, comunicazione e promozione del made in italy.

Il primo ad intervenire è stato il presidente dell’Associazione delle imprese olearie artigiane (AIFO) Piero Gonnelli che ha espresso un convinto sostegno “al disegno di legge numero 1328, attualmente all'esame della commissione agricoltura del Senato, in cui si ritiene necessario che la regolazione del settore agricolo riguardi tutta la filiera agroalimentare e non singoli aspetti o fasi di essa” e quindi ha sostenuto essere “prioritario lo sviluppo dell'olivicoltura e quindi l’aumento della produzione attraverso i diversi strumenti disponibili quali il progetto "Terre Vive", che prevede l’acquisto di terreni agricoli di proprietà dello Stato, opportunamente esteso ai terreni di proprietà delle Regioni e degli enti locali, supportati da adeguati finanziamenti attraverso l'ISA, come avvenuto di recente per società in difficoltà operante nel settore oleario, sia sotto forma di partecipazione al capitale societario sia mediante garanzie sui mutui contratti per l'avviamento dell'impresa”.

L'AIFO ritiene che il diritto di prelazione, per l'acquisto dei terreni, possa essere convenientemente esteso a cooperative e consorzi di imprese che già operano nel settore olivicolo-oleario. In particolare un ulteriore prelazione dovrebbe poter essere esercitata qualora il soggetto acquirente si impegna ad utilizzare il bene acquistato per una olivicoltura programmata in grado di garantire la redditività degli impianti arborei anche attraverso l'attività di trasformazione e commercializzazione.
A questa linea dovrebbero poi uniformarsi le Regioni nella predisposizione dei nuovi Piani di Sviluppo Rurale garantendo spazi sufficienti per lo sviluppo dell'olivicoltura e l’ammodernamento delle aziende di trasformazione.

“L'AIFO ritiene di grande importanza la predisposizione di un Testo Unico delle norme riguardanti la produzione e commercializzazione dell'olio dalle olive, - ha aggiunto Gonnelli - al fine di consentire la soluzione dei numerosi problemi che pesano negativamente sui costi della produzione, in particolare quelli relativi alla revisione delle norme riguardanti i residui di lavorazione che con l'adozione delle tecnologie più avanzate sono divenuti veri e propri sottoprodotti e quindi la riconducibilità all'operatore della trasformazione delle modalità di essa nel rispetto delle norme vigenti”.

Gonnelli ha poi chiesto l'eliminazione dei balzelli immotivati che oggi sono a carico dei titolari dei frantoi oleari, ad iniziare dal contributo alla Stazione sperimentale per i grassi per finire a quello alle ASL per l'attività di verifica oltre alla garanzia del "made in Italy" esclusivamente per l’olio da olive italiane e il riconoscimento del frantoio oleario come unico luogo in cui avviene la molitura delle olive.

Infine Gonnelli ha invitato il Ministero a promuovere azioni promozionali sul mercato nazionale dell'olio extravergine di oliva rifinanziando il fondo del Piano olivicolo nazionale, che dovrebbe essere opportunamente rimodulato, con risorse derivanti dalla riduzione dei trasferimenti del Ministero ad enti come il CRSA Consiglio per le ricerche e gli studi in agricoltura, l'INEA e l'ISMEA le cui attività non sono da ritenersi tutte necessarie.
“In questo quadro, ha concluso il Presidente di AIFO, resta di fondamentale importanza il riconoscimento ufficiale dell'Alta Qualità dell'olio extravergine quando esso corrisponda a determinati parametri, e ciò anche in funzione del potenziamento della esportazione dell’olio al 100% italiano”.

Sono seguiti gli interventi di tutti i rappresentanti delle associazioni delle imprese agricole, ad iniziare da Confagricoltura e Coldiretti a cui si sono aggiunti UNASCO e CNO. Il presidente degli industriali (ASSITOL) Zucchi ha difeso il ruolo che svolgono all’interno del comparto oleario le imprese industriali portando importanti risorse al sistema paese. In questo contesto l’olio italiano ha la funzione di una avanguardia speciale, ma per rendere forte la filiera è necessario mettere mano ad una nuova regolamentazione delle categorie dell’olio, realizzare forme di concentrazione del prodotto, svolgere controlli più mirati, rendere il SIAN più trasparente. Il presidente della FEDEROLIO ha chiesto di non demonizzare gli importatori e imbottigliatori di olio estero rivendicando la funzione di questi operatori e la necessità quindi di fargli sentire “un sostegno morale” da parte delle istituzioni.

Molti degli interventi si sono soffermati sulle difficoltà che le imprese incontrano nell’attuale sistema del credito e del ruolo positivo che, anche da questo punto di vista, potranno svolgere le nuove OP (organizzazioni dei produttori) se non si disperderanno le risorse finanziarie disponibili e si sosterrà la valorizzazione dell’olio prodotto e venduto evitando, come ha sostenuto il rappresentante della FEDERDOP, di commettere gli stessi errori del passato con gli interventi a pioggia.

Al termine il rappresentante dei supermercati COOP ha difeso le politiche commerciali della grande distribuzione sostenendo che, con i prodotti a marchio, ha dato un contributo decisivo al successo dell’olio italiano ma che “non si possono vendere soltanto Audi e Ferrari”, per cui è necessario anche un extravergine da 2,90 euro per andare incontro alle esigenze delle famiglie. L’intervento si è saldato con quello del presidente di ASSITOL nella comune convinzione, e convenienza, che sia necessario puntare sul potenziamento ed anzi la generalizzazione di un mercato che prescinde dal valore del territorio di produzione e tende invece alla miscelazione, o come va di moda dire “blending”, di oli di diversa, e spesso non identificabile, provenienza.

In questo quadro il consumatore italiano è destinato ad essere ancora una volta la vittima sacrificale di interessi particolari con l’accettazione di un prodotto anonimo che con l’olio d’ oliva italiano, anche per le nuove normative europee, può non avere in comune nemmeno l’etichetta.

Cosa ne pensino gli assessori regionali che dovranno destinare le risorse europee con la redazione dei PSR, cosa ne pensino i capi dipartimento del ministero, e soprattutto cosa ne pensi il Ministro Martina dal dibattito non è emerso.

Ma, a mio avviso, è una sfida che va raccolta. Altro che Ferrari: c’è il rischio della bicicletta per tutti, magari con una sola ruota per renderla più economica.

di Mario Pacelli

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Commenti 5

luca crocenzi
luca crocenzi
27 gennaio 2015 ore 14:56

Caro Giampaolo, Ti chiedo scusa, probabilmente non sono riuscito a spiegarmi bene, ma quello che volevo dire era proprio che questo responsabile della Coop intendesse che anche di fronte a prodotti che avessero un prezzo maggiore, la grande distribuzione non è che si tirasse indietro, ma semplicemente che fosse necessario trovare il modo di riuscire a comunicare in modo efficace l'offerta di un prodotto differente.
Io, per carità, condivido il Tuo pensiero e non credo di aver espresso qualcosa di diverso.
Saluti

giampaolo sodano
giampaolo sodano
26 gennaio 2015 ore 23:50

caro luca, io c'ero e ho sentito bene l'intervento del manager delle coop, forse perchè ero seduto a due metri da lui. un intervento degno di un dirigente che ovviamente difende con buoni argomenti gli interessi e l'immagine della sua azienda. che in un supermercato vi sia un'offerta ampia e variegata per tutte le tasche non fa una piega, che vi sia un olio italiano di qualità e una miscela di oli esteri è assolutamente logico. i problemi sono altri: il prezzo innanzitutto. se una bottiglia costa 2,90 euro delle due l'una o è un gadget (cioè un regalo al cliente, un prodotto civetta, venduto sottocosto) o una truffa (spesso un deodorato spagnolo). secondo: la confusione sullo scaffale, due prodotti diversi, uno un olio l'altro una miscela, messi uno accanto all'altro mettendo il cliente nella "migliore" condizione di comprare quello che costa meno. terzo: l'informazione. sull'etichetta è difficile leggere con evidenza e chiarezza l'origine e la natura del prodotto. non basta fare un private label per mettersi la medaglia al merito dell'olio italiano. ben altro potrebbe e dovrebbe fare la GDO nell'interesse del prodotto alimentare made in italy. quando vuoi, caro luca, posso farti da guida attraverso gli scaffali di note insegne su cui brillano le offerte degli straordinari prodotti trasimeno, arioli, antica fattoria e chi più ne ha più ne metta per toccare con mano il danno che ogni giorno si fa all'olio italiano. ovviamente per amore delle famiglie.
PS. - e per carità di patria non apriamo il capitolo dell'olio di palma o di semi vari esposti sugli stessi scaffali dell'extravergine d'oliva con etichette che inneggiano alle qualità terapeutiche di vitamine aggiunte senza informare il consumatore che per estrarre quel grasso c'è voluto l'esano (un noto veleno che fa bene alla salute!)

luca crocenzi
luca crocenzi
26 gennaio 2015 ore 13:05

Chiedo cortesemente di sostituire il precedente commento con il presente riportato di seguito.
Grazie
Luca Crocenzi

Come ho già avuto modo di dire in altri contesti, credo che mai come in questa fase si senta il bisogno che il comparto olivicolo-oleario provi a fare sistema, a 360°, nel suo complesso, su tutte le questioni che sono aperte. Ero presente alla riunione del MIPAAF e credo che i 4 assi tracciati dal Capo Dipartimento rappresentino dei punti interessanti da cui poter partire. In particolare, credo che il fare sistema debba avviarsi soprattutto dal primo punto, quello relativo all’aumento della quantità di produzione, sia attraverso processi che prevedano dei nuovi insediamenti che attraverso il recupero di terreni incolti o abbandonati a se stessi. Come ha ricordato qualcuno durante la riunione, infatti, non siamo più il secondo produttore al mondo (o perlomeno, non possiamo considerarci tranquillamente tali), ma stiamo inesorabilmente perdendo quote a vantaggio di paesi come la Tunisia, la Turchia o la stessa Grecia; e in un contesto globalizzato come quello che contraddistingue oramai tutti i mercati diventa davvero difficile poter “contare” senza avere i "numeri". Non dobbiamo ovviamente abbandonare il concetto di qualità che rappresenta un’immagine, un’etichetta dalla quale l’Italia non può e non dovrà mai separarsi, ma per poter stare all’interno di un comparto ed essere un player importante è necessario che l’Italia torni ad avere le produzioni del passato e a pensare di poter fare un prodotto per i grandi numeri. Sottolineo, ovviamente, di farlo in una chiave tutta italiana di attenzione alle nostre peculiarità. Forse era anche questo quello che cercava di dire la persona della Coop. Io pur non riuscendo a sentire perfettamente, dato il non corretto funzionamento dei microfoni, non ho visto interventi poco aperti o poco disponibili al dialogo da parte di Assitol e Coop. Coop, in particolare, sottolineava come loro vendessero il 40% dell’olio come olio 100% italiano (che se fosse vero sarebbe davvero un dato elevato visto che si viaggia normalmente tra il 13 e il 16%) e spiegava come fondamentale fosse la comunicazione: se si vogliono vendere oli che hanno un certo prezzo non è che non lo si possa fare ma è necessario farlo sapendolo comunicare. Proprio a tal riguardo, e chiudo, credo che questo sia l’altro aspetto su cui sia necessario fare sistema: la comunicazione.
Ritengo invero che sia giunto il momento affinché si riescano a porre in essere delle strategie comuni, senza dispersione di risorse, attraverso le quali si parli di olio italiano e solo di quello. Spesso lo si vede fare per altri prodotti, e ora è necessario che si inizi a farlo anche per l’olio italiano, con delle campagne ad hoc, nelle quali spiegare i pregi, le virtù e le differenze rispetto agli oli di altri paesi. Pertanto, se si hanno delle risorse, che si investano in campagne di questo tipo, perché ve ne è davvero il bisogno assoluto: è il consumatore che ce lo chiede.

stefania d'alessandro
stefania d'alessandro
25 gennaio 2015 ore 18:50

Sono daccordo con il capo dipartimento Luca Bianchi che ha individuato nell' aumento della quantità di produzione, valorizzazione della qualità, miglioramento della struttura della filiera, comunicazione e promozione del made in italy i quattro punti strategici per la ripresa dell'olivicoltura italiana. In italia c'è pochissimo prodotto lo dimostrano i dati precisi del sian.., gli oliveti sono quasi tutti abbandonati perchè i costi di produzione sono elevati e il prezzo di vendita dell'extravergine italiano subisce la concorrenza di quell'olio da 2,90 euro che tanto difende la coop Italia e l'assitol..... "per andare incontro alle esigenze delle famiglie". I consumatori invece hanno il diritto di sapere che con 2.90 euro non comprano un extravergine ma un olio schifoso che dell'extravergine non ha assolutamente niente perche non solo in italia ma in nessuna parte del mondo...neppure in Spagna, neppure in Marocco si riesce a portare sullo scaffale un litro di olio extravergine a quel prezzo!!! Quello che io suggerirei al Ministro e di potenziare i servizi di repressione delle frodi a tutela non solo dei consumatori che vengono ingannati e illusi che con solo 2,90 possono portare a casa un litro di extravergine, ma anche di quei produttori onesti che hanno il diritto di ricevere la giusta remunerazione del loro prodotto! I fondi del Piano olivicolo secondo me devono servire a potenziare la repressione delle frodi e la diffusione della cultura della qualità attraverso lo sviluppo dell'analisi sensoriale.
Stefania D'Alessandro

pasquale di lena
pasquale di lena
25 gennaio 2015 ore 09:50

Interessante resoconto di un incontro che fa capire che il confronto, questa volta, si è sviluppato sulla base di una proposta, quella del Ministero dell'Agricoltura, che è partita dalla realtà olivicola italiana e non dai soli bisogni dell'industria dell'olio e della grande distribuzione. Entrambi questi soggetti, come viene ben sottolineato, alleati nella difesa dell'olio di 2,99 euro che, di sicuro, non ha a cuore la salute dei consumatori e la bontà della nostra gastronomia. E tutto questo nel momento in cui l'olio italiano può puntare, con la qualità e la diversità, a nuovi grandi spazi di mercato, solo se si dà libertà di espressione alla sua cultura in cucina e a tavola e lo si fa mediante attenta e puntuale comunicazione, però, se impostata sulla continuità. C'è da dire che pensare solo ai propri interessi e non anche a quelli degli altri, non solo non si fa squadra, ma si finisce anche col perdere grandi opportunità e occasioni d'oro, e, così, di limitare le enormi potenzialità dell'olio italiano così legato alla sua olivicoltura.