L'arca olearia 12/05/2012

Brutto scivolone di "Striscia la Notizia" sull'olio. Stregati da Coldiretti o servi?

Brutto scivolone di "Striscia la Notizia" sull'olio. Stregati da Coldiretti o servi?

E ora che anche il noto tg satirico cede alle lusinghe di una sirena ammaliatrice quale è l’organizzazione di categoria capitanata da Sergio Marini, il futuro del comparto si fa sempre più incerto. Tutto si gioca su questioni minime, inessenziali: i centimetri di un’etichetta. Si perdono di vista i veri problemi, ma in compenso si lancia l’olio 100% italiano che non c’è


Succede anche questo. Succede che il miglior Tg nazionale, “Striscia la Notizia” – il tg, seppur satirico, più indipendente in assoluto che l’Italia conosca, con tante inchieste vere alle spalle – scivoli malamente sull’olio, senza nemmeno rendersene conto. Del resto, la materia olio si presta molto volentieri. Ci vuol poco a perdere l’equilibrio, e a scivolare.

Quando non si è al corrente delle complesse dinamiche di una filiera tra le più contraddittorie e conflittuali, anche la satira più illuminata può alle volte tirare i remi in barca e spengersi, depotenziandosi. Un servizio come quello trasmesso la scorsa settimana, con Jimmy Ghione che duetta con il presidente di Coldiretti Sergio Marini, è la chiara prova di un mondo dell’informazione che non è più in grado di valutare la realtà in maniera lucida e imparziale.

Il lungo servizio, della durata di 3 minuti e 31 secondi, sembra essere più simile a una “marchetta” che non a una graffiante inchiesta di “Striscia”. Sia ben chiaro: non è una “marchetta”, anche se appare con tutta franchezza tale, visto che la coppia Jmmy Ghione e Sergio Marini sembra più che collaudata, quasi due amanti molto affiatati. Ciononostante, sono certo – anzi: più che certo – che le intenzioni di “Striscia” siano tutte a beneficio degli ascoltatori-consumatori e che non si tratti pertanto di un servizio combinato – almeno lo si spera. Il fatto tuttavia che la Redazione di “Striscia” si sia soffermata su una voce sola, che è poi l’unica che ripetutamente compare su tutti i canali televisivi e sui giornali, Coldiretti, non giova certo a favore del servizio giornalistico e della stessa Redazione del tg satirico.

Nei tre minuti e passa del servizio si evidenziano aspetti marginali e inutili. Con ammissioni banali: una bottiglia su due non è olio italiano. Scoperta dell’acqua calda: l’Italia è deficitaria nei consumi interni e per giunta esporta tantissimo olio; è evidente che non tutto l’olio sia prodotto in Italia, non è un sacrilegio, ma una necessità importarne dall’estero.

La solita solfa sulle etichette, le quali – si dice – rimandano attraverso i loro loghi o i marchi all’Italia senza essere dell’Italia. E’ il caso di marchi con nomi italiani ma di proprietà straniera: Bertolli, Carapelli, Sasso. Anche qui, la scoperta dell’acqua calda: ma è evidente che se nessuno ha voluto acquisire tali marchi, se in vendita, possano andare a finire in mani straniere. Perché allora la Coldiretti – che pur dispone di risorse importanti, di copioso danaro pubblico, frutto di sacrifici della collettività – perché non ha saputo creare, in tanti decenni di vacche grasse, una cordata a difesa dell’italianità di tali marchi? Che ha fatto in tutto questo tempo?

Poi, altra solita solfa stucchevole: l’illegibilità delle etichette. Marini avrà forse problemi di vista, ma io quando esamino un’etichetta tolgo gli occhiali per vederci meglio, non è necessaria una lenta. Ne avranno trovata una di etichetta con il corpo dei caratteri minuscolo, ma non tutte: suvvia, meno commedia, più concretezza. In ogni caso è vero, le aziende di marca non hanno il coraggio di osare, e questo va detto con grande chiarezza. Hanno paura, sono aziende pavide. Temono di mettere in grande evidenza la provenienza degli oli, e sbagliano. Al Cibus appena conclusosi a Parma, ho notato con grande soddisfazione le etichette di alcuni oli di provenienza estera, ma imbottigliate da aziende italiane, con l’indicazione dell’origine che non lascia spazio a equivoci. E’ il caso degli oli Colavita, di cui riporto l’immagine, dove campeggiano bottiglie di extra vergini argentini, australiani, greci e di altri Paesi.

Ecco, se tutte le aziende di marca dimostrassero un minimo di coraggio nell’uscire sul mercato con la provenienza degli oli ben in vista, i signori della Coldiretti la finirebbero una volta per tutte con le loro storielle smaccatamente ipocrite.

Passiamo a “Striscia la Notizia”. E’ vero che i redattori del tg satirico sono completamente fuori dall’agricoltura, ma che non si rendano conto che la Coldiretti abbia platealmente colonizzato il mondo dell’informazione non gli fa certo onore. Le persone sensibili, e pur preparate, come quelle che lavorano a “Striscia”, non hanno saputo cogliere lo stato della realtà e si sono perciò affidate all’organizzazione di categoria più in vista, la Coldiretti, senza però valutarne i contenuti dei loro messaggi.

La realtà è questa: ormai sembra che importi poco il fatto che in Italia non esista una visione plurale dell'agricoltura. Ovunque e sempre Coldiretti, a ogni ora del giorno, su tutti i canali, in tutti i programmi, nei tg in particolare. L’accettazione silenziosa dell'abuso di potere esercitato da Coldiretti sugli organi di stampa mi sembra piuttosto evidente, ed è grave che nessuno si chieda come mai si continui a dare spazio alla sola Coldiretti, ignorando le altre voci, ancor più importanti per la qualità dei loro contenuti, seppure marginali rispetto allo strapotere politico esercitato da Coldiretti. L’Italia è questa, evidentemente, e se a cascarci è anche “Striscia la Notizia”, peccato, la speranza di un cambiamento sembra essere piuttosto lontana.

In conclusione, posso sostenere solo questo: fate attenzione, non fatevi imbrogliare dalle apparenze, altrimenti come sistema Paese si finisce molto male. Pensate solo a quanto danaro pubblico certe organizzazioni di categoria hanno avuto a propria disposizione nel corso dei vari decenni: miliardi e miliardi di euro. Potevano cambiare l’economia agricola, non lo hanno fatto. Ora giocano a fare le associazioni di consumatori, anziché le associazioni di categoria. Paradossale. Mentre le unioni dei consumatori tacciono su queste problematiche, la Coldiretti e le sue dirette e indirette espressioni, straparlano. E lo fanno senza presentare contenuti solidi: si soffermano sui centimetri delle diciture in etichetta, sorvolano sulle cose serie. Pretendono che l’indicazione dell’origine sia grande almeno un centimetro e mezzo! Ma sapete a quanto corrisponde un centimetro e mezzo in un’etichetta? Fate delle prove per capirne l’assurdità. Ora che hanno dalla loro parte la senatrice Mongiello – figura completamente avulsa dall’agricoltura, nonostante il suo incarico faccia pensare il contrario – si fanno avanti nei meandri dela politica preannunciando altra burocrazia, come al solito a carico delle aziende.

Ricordate il registro Sian? Vi dice qualcosa?

Mi sembra di aver a che fare con personaggi di basso profilo culturale, senza altri contenuti che l’ossessione per i centimetri – dell’etichetta. E’ per certi versi la stessa ossessione dei maschietti, per lo più adolescenti: “quanto ce l’ho lungo? E’ abbastanza grosso?”

 

 

di Luigi Caricato

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Commenti 58

Donato Galeone
Donato Galeone
21 maggio 2012 ore 11:14

Direttore Caricato,
ho letto con molta attenzione ed interesse i 55 commenti.
Il 56° commento, seguendo ora e giorno di crono-programmazione, sottoposto alla moderazione della redazione, doveva essere il mio secondo intervento, non certo sugli OGM, ma nel merito del Suo "Brutto Scivolone di Striscia la notizia" e dell'artefatta informazione del "nulla" o di una comunicazione da "tornaconto" di finta "multinazionale".
Penso che, ora, dovremmo attenderci un "plurale" confronto sull'olio di oliva Made in Italy.
Mi scuso per il richiamo al mio 56° intervento - non pubblicato su TN - che per quanto forse apparso a Lei non essenziale, potrebbe favorire quel confronto plurale tanto indispensabile anche per la "democrazia in agricoltura" che, come Lei spesso richiama, è proprio carente.
Donato Galeone

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
19 maggio 2012 ore 12:44

2° Problema della coesistenza

Esistono piante che se anche geneticamente modificate il problema della coesistenza per loro praticamente non esiste. Una di queste è la soja in quanto pianta autogama ed addirittura cleistogama (la fecondazione avviene prima che si apra il fiore). Il tasso di fecondazione incrociata è meno dell’1% e non vi sono piante selvatiche se non in Cina. Il seme, che contiene olio, non resiste nel terreno da una stagione ad un’altra in quanto i grassi irrancidiscono e fanno perdere la capacità di germinazione, Un'altra pianta è la Patata che ha un polline pesante, non è nettarifera e quindi non è visitata da insetti pronubi e nelle nostre condizioni climatiche è praticamente maschio sterile, quindi anche i tuberi che restano nel campo non hanno vita lunga, ma anche se andassero a seme: o non producono polline oppure non può spostarsi oltre qualche metro.

Esistono invece piante a fecondazione anemofila o visitate dalle api. Il mais è pianta tipicamente anemofila nell’impollinazione, non ha piante selvatiche nei nostri ambienti, con cui scambiare polline ed è preferibilmente a fecondazione incrociata per scostamento della maturazione del polline rispetto alla maturazione del fiore femminile.
Tuttavia le prove eseguite usando mai giallo e mais bianco hanno fatto concludere che:

1. L’entità e la distanza alle quali il flusso genico e rilevabile sono significativamente inferiori a quanto atteso sulla base della semplice capacità di spostamento del polline.
2. Tanto più c’è competizione tra polline locale e polline esterno, tanto più il flusso genico è contenuto.
3. Una nuvola di polline a presidio dei campi riceventi (semina di fasce tampone) limita alle prime due o tre file la fecondazione incrociata e contiene la larghezza della fascia critica a 10-20 metri.
Le semina di fasce tampone ai bordi dei campi si dovrebbero inserire sempre nel campo di mais OGM per evitare l’insorgere di resistenze e ciò limiterebbe enormemente i distanziamenti. In conclusione la coesistenza tra mais OGM e mais non OGM è realizzabile praticamente. Non si continui a ripetere la storia del lupo e l’agnello.
Altra cosa che non si capisce è perché si pretenda lo zero assoluto di impollinazioni indesiderate a proposito degli OGM, quando non lo si è mai preteso per tutte le specie diverse e interfeconde che si conoscono. Una tolleranza ci deve essere, vi è anche per i veleni; perché un granello di polline deve essere non solo equiparato, ma considerato più pericoloso di un veleno. Anche qui traspare molta ideologia. L’imbastardimento delle specie (non userei proprio il vocabolo “contaminato” perché totalmente improprio, in quanto nessun caso di danno biologico è stato verificato o ipotizzato per alimenti OGM ammessi) è un fenomeno vecchio come il mondo, eppure non vi è mai stata un’alzata di scudi come nel caso PGM. Qui l’ideologia traspare tutta. Perchè lo stesso motivo per cui si rifiuta un polline che abbia incorporato un gene della stessa specie trasferito con metodi biotecnologici invece che con metodi classici, non si utilizza con due varietà diverse che s’impollinano, perché non si grida allo scandalo quando il polline di uno zucchino impollina una zucca, quando il polline della ravanella mi impollina il ravanello coltivato o addirittura il colza coltivato, mentre si grida allo scandalo solo quando capita il caso inverso e solo se il colza è OGM? Non ha il diritto chi coltiva la zucca di ricavarne seme non imbastardito?
In conclusione sono d’accordo di che all’inizio il coltivatore di PGM, sia responsabile del flusso genico verso le stesse piante non OGM o coltivate con sistemi particolari, Ma ciò fino a quando le % di semina rimangono a favore della coltivazione tradizionale o biologica, quando, invece, e se le coltivazioni PGM prenderanno il sopravvento numerico, la responsabilità o meglio la messa in atto di meccanismi di protezione e distanziamenti si deve invertire. Mi spiego meglio: non è possibile che l’1% di coltivazione biologica che abbiamo in Italia (tutto il resto che le statistiche dicono sono prati pascoli che non sono coltivati) possa ostacolare un eventuale 30% di coltivazioni PGM. La stessa cosa dicasi per le coltivazioni tradizionali non OGM, quando e se saranno maggioranza i coltivatori di PGM, a questi non competerà più preoccuparsi del flusso pollinico, ma lo dovranno fare gli altri sulle loro coltivazioni.
Per onestà intellettuale devo dire che il colza OGM è la pianta che pone più problemi di flusso pollinico e quindi una eventuale coltivazione deve essere ben valutata, ma comunque non esistono inconvenienti alimentari in quanto l’olio non contiene transgeni.
Sono sicuro però che se qualcuno leggerà queste pagine tra 20/30 anni ci dirà: ma dove vivevano questi, che scrupoli si facevano? Infatti, è mio profondo convincimento che col passare del tempo si affermerà sempre più l’uso delle biotecnologie e il miglioramento delle piante coltivate si avvarrà grandemente del trasferimento genico. Il progresso non si ferma e chi verrà dopo di noi pretenderà di avere cibo sufficiente come l’abbiamo avuto noi occidentali.


marco bignardi
marco bignardi
18 maggio 2012 ore 15:52

@ guidorzi
il suo corretto e approfondito argomentare, l'ho definito "lezioncina" per rispondere in tono al suo un po offensivo "e lei è un disinformato", ma questo non interessa a nessun altro se non a noi.

di Schmeiser non ho mai detto che è un povero agricoltore biologico, come spesso viene disegnato, non sono per nulla entrato nel merito. Ho solo detto che l'ho conosciuto di persona, mi ci sono confrontato, e mi sono fatto un idea che non ho neppure espresso. Confermo quello che lei dice in merito, la storia è andatra così come la descrive lei, è solo l'arroganza di Monsanto che non viene raccontata dagli atti del processo. E certo questa non è il piccolo laboratorio di paese che sopravvive male perchè un agricoltore non gli ha pagato un diritto.

E' stato un processo non sul caso in se, ma sul sistema, sui ruoli, e sulle forze in campo, e per questo è diventato famoso.

comunque aspetto le argomentazioni sulla coesistenza e sul diritto di restare Ogm free al 100% non con la tolleranza del 0,9% che ormai dobbiamo già accettare solo perchè qualcuno li ha gestiti senza preoccuparsi del resto del sistema.

Completa e ben esposta l'esposizione sui brevetti, ma ripeto è sull'involontaria (anzi non voluta) contaminazione che mi oppongo.

Più che sul libro è su un passaggio di questo che si concentra il brevetto, un po come il copyright sulla musica. Non ricordo quante note uguali indicano che si è plagiato un pezzo musicale. Se oggi esistesse un software musicale che, similmente da un un virus informatico va ad inserire un certo numero di note in un pezzo che un musicista in rete sta creando, chi è il colpevole del plagio? Del musicista distratto che non ha protetto il pc dagli attacchi dei virus? O di chi ha generato il software, magari non per attaccare altri, ma per produrre meglio e più facilmente pezzi musicali suoi sui quali ha messo un diritto? Chi deve assicurarsi che questo non accada?

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
18 maggio 2012 ore 15:48

Voncenzo Lo Scalzo

Io sono un agronomo e mi sono sempre preoccupato, in 50 anni di attività di come fare produrre bene l'agricoltore che mi interpellava su cosa lui decideva di produrre.

In questo lavoro mi sono convinto che non esiste in assoluto una materia prima da cui non si può prescindere per produrre un prodotto tipico, salvo che il prodotto agricolo non rappresenti il prodotto tipico stesso; esiste per contro un "savoir faire" che bisogna preservare, che è appannaggio dell'agricoltore, dell'artigiano o anche di un prodotto agro industriale di gamma superiore, si tratta dell'unica caratteristica che che sta alla base della tipicità.

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
18 maggio 2012 ore 15:16

marco bignardi

Mi dispiace che l’abbia presa come una “lezioncina”, avevo solo intenzione di argomentare.

Credo che si debba porre il suo intervento su due piani altrimenti facciamo confusione. I due piani sono: la protezione del creatore varietale e la coesistenza tra varietà diverse.

1° Protezione del creatore varietale.

Il genetista mediante tecniche classiche, implicanti meccanismi botanici e genetici, e molte osservazioni di campo crea assemblaggi genetici nuovi e prima mai messi insieme. Tra questi ve ne potrebbero essere alcuni interessanti per il progresso agricolo, per assecondare i gusti dei consumatori oppure per assecondare esigenze agroindustriali. Li conserva li affina e produce piccole quantità di seme che deve riprodurre mantenendole invariate per avere sementi sufficienti da vendere agli agricoltori, che evidentemente sono liberi di compralo o meno. Non mi dirà che una volta fatto il seme la prima volta e poi venduto, questo non ha più diritti di ricevere benefici dalla sua creazione e gli agricoltori possono sfruttare liberamente i benefici della nuova varietà migliore? Se fosse così nessun genetista ci si metterebbe ed il progresso agricolo perderebbe almeno il 50% del contributo della creazione varietale nell’aumento nella produttività agricola. Ecco perché la collettività ha ritenuto giusto proteggere il lavoro del genetista mediate leggi che proteggono il suo lavoro. Come le ho detto, però, si anche preoccupata si salvaguardare gli interessi dei piccoli coltivatori permettendo loro di riprodursi la varietà protetta senza pagare nulla.

Tuttavia esistono due categorie di piante agricole, quelle che si autofecondano (es. frumento e soia), e che quindi sono capaci di riprodursi all’identico per un certo tempo, poi anche loro degenerano, e piante che si eterofecondano (mais e sementi ibride in generale), cioè per dare seme devono ricevere polline da piante diverse seppure della stessa specie. E’ evidente che le prime non proteggono il genetista dalla moltiplicazione incontrollata, mentre le seconde lo proteggono automaticamente in quanto l’agricoltore se vuol godere dei benefici produttivi deve comprare il seme tutti gli anni. E’ evidente che nessuno si sogna di brevettare il mais e tanto meno una varietà di frumento o di soia perché non presentano tutti i requisiti di brevettabilità.

Ecco perché è falso e fuorviante per chi non addentro alle cose sementiere dire o far credere che si “brevetta la vita”.

Cosa si brevetta allora? Si brevetta, come le ho già detto, quel particolare “assemblaggio fatto assieme al gene che si vuole trasferire” (non il che si trasferisce in se, quello resta libero). Faccio un esempio per chi è più digiuno di queste cose: il copyrght esiste sul testo di un romanzo, ma non sulle singole parole usate, quelle rimangono libere per essere usate da altri scrittori e nessuno li incolpa di plagio.. Perché si brevetta l’assemblaggio OGM ? Perché esiste un diritto riconosciuto da tutti che è il diritto del genetista, che permette, una volta commercializzata una nuova varietà vegetale, di usare quella combinazione particolare di geni, riconosciuto patrimonio della collettività, per ripartire e creare una combinazione nuova. Si comprende quindi bene che se si potesse usare la pianta OGM intera creata ci si approprierebbe, oltre che della combinazione particolare che caratterizza la varietà che è concesso, anche dell’assemblaggio del transgene di quel particolare congegno che è una vera e propria invenzione, frutto di studi e di ricerche costosissime.

Schmeiser che lei cita, portato in giro e mostrato come un martire è appunto solo un “mariuolo” e le spiego il perché e le rammento che la mia versione è quella scaturita dagli atti processuali che hanno dato origine alla sua condanna. Schmeiser coltivava 600 ettari a colza in Canada (quindi non un povero contadino) ed ha tentato di farsi il seme di colza resistente ad un erbicida soggetto a brevetto. Le spiego come ha fatto: gli sono capitati per caso nel suo campo e mescolatisi con il suo colza non trasgenico (dice lui, ma è poco verosimile…) de semi di colza transgenica le cui piante ha cercato di salvare. Cioè data la resistenza ha diserbato la sua parte di campo con l’erbicida che sapeva bene che faceva morire le sue piante tradizionali coltivate e avrebbe salvato solo quelle che lui diceva estranee. Questo comportamento ha convinto il tribunale che era in malafede e lo ha condannato. Se invece avesse denunciato l’inquinamento e avesse conosciuto chi lo aveva provocata avrebbe potuto pretendere i danni.

Circa la coesistenza le rispondo in altro commento.

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
18 maggio 2012 ore 15:15

Giovanni breccolenti

Ho capito non ha più argomenti validi ma solo ideologia (perchè quello che ha affermato sul concetto di tipico non ha nessun ancoraggio con la realtà del produrre e del produttore) e allora la "butta in vacca"

Vincenzo Lo Scalzo
Vincenzo Lo Scalzo
18 maggio 2012 ore 14:33

Sul concetto di definizione "tipico" se vuole possiamo passare tutta la settimana, però prima mi citi su quale definizione di "qualità" facciamo riferimento. Le lascio tutte le libertà d'ipotesi.
Forse alla mia età ne ho sentite e molte e sempre più confuse.

Auguri e buona certezza e convinzione. Io mi accontento di verità e umiltà cosciente nella conoscenza per ogni definizione di merito al di là della scienza.

Nonostante si possa arrivare a conclusioni diverse, in termini di scelte e preferenze personali, ringrazio il Dr Guidorzi per la sua ragionevole e garbata presentazione del proprio convincimento.

giovanni breccolenti
giovanni breccolenti
18 maggio 2012 ore 13:35

Non bastava la finanza creativa,adesso c'è anche la creatività del tipico.Per risolvere i problemi dei prodotti tipici invento organismi nuovi che sostituiscono i tipici.No,non mi avvalgo di studi minuziosi dell'areale,dei cambiamenti che sono avvenuti,tipo la troppa espansione di un prodotto fino fuori il suo habitat ideale e che potrebbe aver causato problemi fisiologici o patologici a quel prodotto come da lei riportato.No, non mi avvalgo dell'agronomia,ma faccio molto prima,lo sostituisco con un altro organismo,magari anche molto piu' produttivo,uno splendido OGM,magari realizzato anche in poco tempo,perchè la scienza non si puo' fermare!!!
Non ci sono dubbi,i nostri concetti di tipico sono diversi.

marco bignardi
marco bignardi
18 maggio 2012 ore 01:08

@Alberto Guidorzi,
ammetto di aver voluto usare uno slogan, di uso oggi un po propagandistico. Si "brevetta la vita" forse non è una frase corretta, ma rende l'idea di un diritto privato su un organismo vivente, che può anche riprodursi e portare con se il diritto della pianta madre.

Il tema che a me interessa di più è che l'oggetto su cui si possono esercitare diritti non è un ingranaggio della bicicletta, ma viene distribuito nell'ambiente, e involontariamente può arrivare nella mia azienda o nel mangime per i miei animali. E' un po come se si brevettasse il fumo della sigaretta e poi si denunciassero tutti i non fumatori perchè il fuomo è stato trovato sui loro vestiti o nei loro polmoni di fumatori passivi.

Sta a me "inquinato" a quel punto dimostrare al "proprietario" del brevetto che è una contaminazone accidentale, per non essere multato per aver violato il brevetto o per non aver pagato i diritti di uso. Nel bio o nei coltivazioni ogm free è anche peggio perchè la contaminazione rischia di svalorizzare la mia produzione, ma io non posso chiedere danni al proprietario del brevetto, ma anzi mi devo giustificare con il mio certificatore e con l'inquinatore dimostrando io l'accidentalità, l'aver preso io tutte le precauzioni....
Trovo questo completamente assurdo.
Chi vuole distribuire OGM dia una garanzia assoluta che non "contaminerà" altri prodotti, si prenda la responsabilità di ogni contaminazione anche accidentale, sia responsabile dei suoi semi e dei suoi pollini ... In questa dimensione le colture ogm credo diventerebbeo non convenienti dovendosi accollare il costo di un assicurazione che certamente supera il vantaggio economico della coltura OGM.

Tra leggende e realtà: ho conosciuto a Firenze quanche anno fa Schmeiser, l'agricoltore Canadese in causa con la Monsanto che ha girato il mondo raccontando la sua storia. Il fatto è stato riportato in tante versioni differenti, spaziando tra realtà e leggenda metropolitana, ma resta la dimostazione di un problema di coesistenza mai risolto e per ora irrisolvibile, a maggior ragione quando si parla di pollini e miele....

...e le assicuro che sono meno disinformato di quanto possa credere, e da oggi so qualcosa di più anche sui brevetti grazie anche alla sua lezioncina. Grazie

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
18 maggio 2012 ore 00:05

Sig Breccolenti ho usato il plurale per il semplice fatto che con le sue richieste è in numerosa compagnia.

La scienza ha tempi lunghi, ma non si può pretendere che le verifiche siano condotte all'infinito, e questo per il semplice fatto che se anche si facessero non dimostrerebbero mai la sicurezza assoluta che lei pretende.

Lei non ha ben chiaro cosa significhi tipico e le spiego il perchè

un prodotto tipico può essere costituito da un prodotto naturale o trasformato.

Se si tratta di un prodotto naturale, permetterà che si debba produrre in quantità tali da rispondere ad una domanda di prodotto, ora se quella pianta che da il prodotto si prende una malattia che non ha medicine per controllarla (un visus non si può controllare con mezzi agronomici, anzi sarei felicissimo se si potesse fare, ed è quindi semplicistico quanto lei afferma nel suo commento) , solo la genetica può aiutarci. Come? Introducendo nelle pianta un gene di resistenza che potrebbe essere su una pianta selvatica dello stesso genere (es, pomodoro San Marzano e pomodoro selvatico). Attualmente ho due strade per risolvere il problema: 1° fare l'incrocio tra le due specie, se è possibile, ma la pianta che si ottiene non da più il pomodoro San Marzano tipico, anzi è tutt'altro perchè assieme al gene di resistenza la pianta selvatica vi avrà apportato anche tanti altri caratteri negativi, quindi il mio prodotto tipico è sparito e per riaverlo devo tentare un lungo lavoro, se ci riesco, di eliminazione dei caratteri negativi immessi, ma cercando di conservare la resistenza che mi minava la produzione originale. 2° Prendere lo stesso gene di resistenza sulla pianta selvatica e trasferirlo per transgenesi ottenendo così subito un San Marzano esattamente uguale all'originale, ma con in più il gene di resistenza che me lo salva. In questo caso si è obbligati, però, a dire che si è ottenuto un San Marzano OGM, ma mi sa dire che cavolo di differenza c'è tra il primo procedimento, ammesso e non concesso che io riesca a ricostituire con molto lavoro il San Marzano originale resistente ed il secondo procedimento dove in un solo anno ottengo un San Marzano che è rimasto intatto in tutto e per tutto salvo ad aver inserito biotecnologicanente la resistenza alla malattia? Se lei mi dice che vi è differenza devo risponderle che lei dimentica la scienza per abbracciare l'ideologia che rifiuta a priori una innovazione che mi semplifica il lavoro e mi risolve sicuramente il problema. In altri termini è oscurantismo.

UN altro prodotto tipico è il Parmigiano Reggiano che si creerà nel 2012, ma questo a guardarci bene è completamente diverso da quello di un secolo fa, infatti il latte che si caseifica proviene da bovine che non sono più quelle di 100 anni fa (oggi appartengono ad una razza diversa), inoltre il latte si forma mediante un'alimentazione completamente cambiata (100 anni fa era solo fieno, mentre ora è solo un po' di fieno e tanto mangime (formato da granoturco e soia che acquistiamo all'estero per la gran parte, tra l'altro la soia ormai è solo OGM).
Quindi vede che parlare di prodotti tipici che rimangono tali nei secoli è pura fantasia, sono utopie che si raccontano a dei consumatori che non possono controbattere, anzi li si convince al punto tale che crede di mangiare qualcosa di archeologico.

L'agricoltura americana ha anch'essa i suoi problemi, ma sono totalmente diversi dai nostri e comunque si ingegnano per risolverli. Gli agricoltori americani usano le piante geneticamente modificate non perchè producano di più in assoluto, ma perchè semplificano loro il lavoro, e per loro semplificazione del lavoro significa avere il tempo per poter mettere in coltura più terreno che altrimenti dovrebbero lasciare incolto. Dunque hanno più prodotto da vendere e guadagnano di più. Per noi l'innovazione è sinonimo di sopravvivenza, se rifiutiamo l'innovazione la nostra agricoltura non reggerà.

giovanni breccolenti
giovanni breccolenti
17 maggio 2012 ore 21:53

Sig. Guidorzi quando dice "perchè non chiedete" a chi si riferisce? Io parlo a nome mio,punto.Si puo' fare tutto, innovare,studiare, modificare ma prima di tutto dovrebbe venire la salute e il benessere, non solo umano ma di tutte le forme di vita che ci circondano.Quando si creano organismi nuovi,bypassando le regole naturali,che siano OGM o similari (vedi creso)la scienza e la ricerca devono avere tempi lunghi(come li dovrebbero avere per tante altre cose ma non è questa la sede per parlarne).
Ma come si fa a dire che il tipico si salva solo apportando modifiche genetiche che aumentano la produzione o aumentano le resistenze? Cioè vogliamo salvare il tipico inventando un organismo nuovo e magari poco testato?(purtroppo, dice lei la ricerca non puo' avere tempi lunghi).Ma che concetto si ha di tipico? Un prodotto tipico è un prodotto che si è adattato in un luogo nel lungo periodo(subisce una selezione naturale) e ha trovato i favori della gente del luogo.Se qualcosa si rompe in questo equilibrio o per cambiamenti dell'habitat circostante o per motivi agronomici si cerca di capire la causa e si cerca di porre rimedio,ma non penso proprio con un OGM,o almeno, se si decidesse di fare cosi' poi i tempi dei test dovrebbero essere quelli per cui noi possiamo dire "quello è un prodotto tipico".
Lei dice che negli USA gli agricoltori usano smisuratamente OGM perchè attirati dai maggior guadagni,magari perche' le rese aumentano o perchè rispiarmiano in fitofarmaci e diserbanti(ma lei ce le vede le aziende che sfornano OGM e che sono le stesse a produrre i prodotti chimici a veder diminuita la vendita dei loro prodotti?).Quindi stiamo parlando di un'agricoltura fiorente,ma soprattuto di un agricoltore USA piu' che soddisfatto.Ma è sicuro che sia cosi',o anche l'agricoltura di quel paese sta passando un momento di crisi paragonabile alla nostra,ancora non invasa da questa pseudopanacea degli OGM?

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
17 maggio 2012 ore 12:56

marco bignardi
Anche Lei argomenta per sentito dire e non ha chiaro cosa significhi brevetto.

E’ solo una frase ad effetto dire che si brevetta la vita, ma è totalmente falso.

Il brevetto riguarda solamente la costruzione biologica fatta per trasferire il gene, ma ne il gene e tanto meno la specie che contiene la costruzione biologica diviene brevettata. Ambedue rimangono libere per tutti coloro che se ne vogliono servire. Le faccio un esempio “meccanico” se io invento un congegno applicabile sulla bicicletta e lo brevetto (lo devo descrivere), colui che si vuol servire del mio congegno mi paga una diritto di brevetto, ma a tutti rimane possibile continuare ad andare su una bicicletta senza quel congegno e inventare un altro congegno che abbia lo stesso effetto, ma che sia nuovo rispetto al precedente (la descrizione lo stabilisce).

Evidentemente una modifica genetica brevettata inserita su quella varietà di pianta la rende indisponibile per chi la vuole usare liberamente, ma la stessa pianta senza l’inserimento della costruzione biologico-genetica è libera. Come rimane libero quel particolare gene trasferito per usarlo per inserirlo tramite incroci ed altro.

In USA dove la protezione delle novità vegetali è solo fatta tramite brevetto, guarda caso si è affermata la coltivazione di ogni OGM creato, indipendente dal fatto che sia gravata da brevetto. Perché questo? Per i motivi che ho detto sopra, nel senso che il brevetto non ferma la ricerca delle innovazioni, ma anche perché gli agricoltori che sono quelli che pagano i diritti di brevetto se ne infischiano di sborsare dei soldi se l’innovazione genetica permette loro di guadagnare di più. Sono imprese economiche con il bilancio dei costi-ricavi.

Non solo ma il brevetto è una decisione autonoma di ogni Stato e quindi si estrinseca come riconoscimento reciproco. Lo sa che l’Argentina semina soia e mais OGM della Monsanto senza pagare un dollaro di diritto di brevetto perché non riconosce il brevetto USA?

In Europa invece vi sono due tipi di protezione delle innovazioni vegetali il COV (certificato di costituzione vegetale) che da diritto legalmente a pretendere un diritto di licenza da chi moltiplica una varietà vegetale costituita da altri. Questa è in funzione in Tutta Europa da mezzo secolo e nessuno ha mai detto nulla, perché ha apportato beneficio agli utilizzatori. Inoltre una varietà vegetale può essere sempre e liberamente usata per farne incroci da parte di genetisti.

Non solo ma per venire incontro alle piccole aziende di è deciso che al piccolo produttore (vale a dire a chi produceva meno di 920 t di cereali, non è una bazzecola specialmente per l’Italia) può riprodurre una varietà munita di COV per farsi il seme per la sua azienda per l’anno successivo, non ne può fare commercio.
L’approvazione Europea della legge internazione sulla brevettabilità la si è assoggettata alla stessa regola suddetta, quindi un coltivatore piccolo come su specificato, può seminare una varietà brevettata liberamente.

Credo che lei sappia che vi sono meccanismi botanici e genetici che fanno si che il riprodurre certi tipi di sementi (ibride ad esempio) non ne vale la pena perchè darebbe un seme degenerato, quindi l’agricoltore è obbligato ad acquistare il seme tutti gli anni e lo fa senza fiatare perchè ne ricava un utile.

Pertanto mi creda quello che si dice sui brevetti è fatta per disinformare, e lei è un disinformato, quindi spero averle fatto cosa utile con le spiegazioni che le ho dato.


Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
17 maggio 2012 ore 12:09

Sig. Breccolenti

Mi sono dimenticato di risponderle dei danni in tempi lunghi da lei ipotizzato, è un argomento che fa presa, ma che non ha senso porlo, o meglio avrebbe senso porlo per tutte le innovazioni e non solo per qualcuna.

Il rischio “zero” non esiste, se lei lo pretende è fuori dal mondo, inoltre provare la sicurezza di una innovazione in tempi lunghi è impossibile, per il semplice fatto che se si vuole provare una cosa in una prova sperimentale deve riuscire a mantenere solo la variabile da provare e lasciare invariate tutti gli altri elementi, ma la cosa è impossibile nel lungo periodo e soprattutto in ambiente non controllabile come l’agricoltura.
Se imponessimo ciò che dice lei alla scienza, questa si arresterebbe di ricercare. Inoltre non capisco perché richiedete ciò sulle piante modificate e non sul resto delle innovazioni che ogni giorno siamo obbligati ad accettare.

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
17 maggio 2012 ore 11:51

Sig. Breccolenti
Il suo intervento mi sa molto di quelli classificabili tra i “l’han detto in televisione”

Sappia che non esistono frumenti OGM coltivati quindi tutto quello che oggi si imputa al frumento è da ascrivere alle varietà tradizionali.

Di riconosciute scientificamente vi sono solo due sindromi ascrivibili ai cereali: la prima dovuta alle farine in generale per il loro aspetto fisico polverulento ed è una malattia professionale classificabile come asma dei fornai o dei mugnai, sindrome conosciuta fin da tempo dei Romani, ripresa dal Ramazzini nel XVIII sec. Gli allergeni interessati sono le albumine (che non fan parte del glutine) e certi componenti della crusca. Essi con l’inalazione (dunque non con l’ingestione) scatenerebbero la formazione di immunoglobuline di tipo E.

L’altra è la vera e propria malattia celiaca questa ed è dovuta ad una intolleranza al glutine con sintomi e soprattutto lesioni anatomiche ben dimostrabili. Colpisce di più gli infanti ed ha una incidenza diversa nelle varie popolazioni, quindi una base genetica è implicata, (1/2000 negli europei continentali e 1/400 negli irlandesi). E’ stata descritta per la prima volta nel 1888 (non si dirà che allora c’erano varietà di frumento attuali) , ma solo nel 1950 se ne è chiarito il meccanismo: si tratterebbe di una risposta immunologica. Nel caso della malattia celiaca è il glutine nel suo complesso che è implicato ed è indipendente dalla quantità. Ai celiaci è escluso anche il farro minore (monococco), il primo frumento coltivato nel neolitico. I casi di celiachia sono aumentati perché esistono test diagnostici che la evidenziano, prima non esistevano e quindi si evidenziavano solo i casi più gravi, inoltre si viveva in una società che accettava di più la malattia come fatto naturale, ora invece si deve avere qualche malattia e si deve per forza colpevolizzare qualcuno.

Quello che è moderno sta nel fatto che viviamo in una società dove qualsiasi malessere psico-somatico deve avere per forza una base alimentare e quindi è divenuto “inn” avere una allergia, se poi dichiara di averla qualche personaggio importante, al limite lo si vuole emulare anche nelle sindromi. Non ultimo arriva tutta l’attività economica lucrosa basata sull’alimentazione senza glutine e dei test diagnostici. Chi lo dice non sono io ma il Prof. Corazza, il maggior esperto di celiachia. Negli USA 17 milioni di americani si dice intollerante al glutine e da un 10 a un 25% sarebbe disponibile a nutrirsi di cibi senza glutine (immaginate il businnes!). Dai dati del Prof. Corazza del San Matteo di Pavia l’intolleranza al glutine, che comprende lanche la celiachia è dell’1% al massimo. Molte delle intolleranze al glutine denunciate dai pazienti, se analizzate in doppio cieco non si rivelano tali. Se si fosse in presenza di un vero fenomeno fisiologico di gluten sensitivity si sarebbe già riusciti a creare un test diagnostico, mentre a tutt’oggi non ne esiste nessuno che sia scientificamente validato.

Concludo riferendo le parole precise del Prof. Corazza: “La diagnosi di sensibilità al glutine si basa soltanto sulle sensazioni del paziente. I malesseri, però, in genere con la dieta senza glutine spariscono. Un caso? "Entra in gioco non solo l'effetto placebo, che ha una durata limitata - conclude Corazza - ma anche l'effetto nocebo, ovvero la reazione indesiderata e patologica che un soggetto prova nei confronti di una sostanza che ritiene sia dannosa. Dunque, se la sostanza viene esclusa dalla dieta, si sente - o crede di sentirsi - meglio".

marco bignardi
marco bignardi
16 maggio 2012 ore 23:27

Stavolta sono dalla parte di Landini.
Non per la difesa della equità dello stipendio di Marini, ma sono con Landini per la sua posizione contraria agli OGM.
Marini sono convinto anche io che non sia pagato dagli associati, ma da tutti noi, agricoltori in prima linea, che, anche se non vogliamo, facciamo girare molti fondi europei indirettamente nelle sue tasche.
Sugli OGM invece non voglio qui entrare nel merito di chi pensa che ogm sia buono o sia cattivo, ma solo nel metodo con cui gli OGM si affacciano al mondo produttivo.

Il vantaggio economico dello studio degli OGM si basa sul brevetto, e quindi sulla proprietà intellettuale di seme.
In questo concetto c'è il grande "difetto" degli OGM, primo perchè si tratta, dal punto divista etico, di brevettare "la vita", ma soprattutto perchè limita la libertà degli altri di fare una produzione diversa.
Infatti il dibattito sulla coesistenza dimostra che le colture geneticamente modificate sono incompatibili con il mantenimento di colture convenzionali di qualità ogm free o di colture biologiche. Lo dimostra facilmente il fatto che nessuna assicurazione si assume il rischio di coprire il potenziale danno che una coltura GM può causare al territorio e alle produzioni vicine. Il rischio di contaminazione è alto, e questo rischio porta l'azienda bio (o comunque OGM free per scelta imprenditoriale) a non potersi permettere di convivere con un'azienda OGM.

E' quindi la libertà imprenditoriale ad essere limitata, se i fautori degli OGM vogliono andare avanti trovino il sistema di garantire che la loro scelta non possa in nessun caso interferire con la mia che voglio fare bio e non posso essere contaminato dai loro pollini o dai loro semi (contaminazione che potrebbe anche portare anche ad una denuncia nei miei confronti da parte del "proprietario" del brevetto OGM, cosa successa spesso in america).

Se trovano una soluzione a questo problema e scrivono grande in etichetta "prodotto geneticamente modificato" facciano la loro produzione, la loro pubblictà per convincere i loro clienti, e lasciamo al consumatore il giudizio e la scelta. Per ora ha fallito anche la patata amflora, ritirata dal mercato europeo dalla stessa BASF .

giovanni breccolenti
giovanni breccolenti
16 maggio 2012 ore 21:32

Sig. Guidorzi,ma sara' un caso che le allergie da glutine fino a trenta anni fa erano praticamente inesisteni e oggi vanno per la maggiore (stranamente dopo l'ottenimento di grani con le metodiche da lei ricordate)? Ecco lei fa bene a ricordare questo esempio ed è proprio questo uno dei pericoli,le allergie,di ogni organismo geneticamente modificato,in qualunque modo si ottenga.Sarebbe un'ottima cosa inserire geni in una pianta per aumentarne la resistenza a patologie o a stress,il problema è poi valutarne le ricadute sulla popolazione, con tempi molto lunghi e difficili da sperimentare.Meno daccordo sono sull'inserimento di geni di altre specie o di geni che aumentino la produzione, con molte piu' incognite e quindi nancora piu' difficili da testare.Insomma bisogna andarci piano con le modifiche,purtroppo la selezione naturale rifatta in laboratorio e in tempi brevi, puo' presentare piu' rischi che benefici.
Che adesso il tipico si salva solo apportando modifiche genetiche e non con buone metodiche agronomiche e magari con la giusta valorizzazione di quel prodotto,me sembra una sparata un po' grossa,forse un po' troppo.

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
16 maggio 2012 ore 19:47

Caro Landini

Sugli OGM non le dirò che è indottrinato, perché dalle motivazioni che adduce capisco che, come tanti altri, fate l’errore di considerate una pianta modificata in un gene con sistemi biotecnologici come una pianta “nuova” e mai esistita, mentre accettate senza discutere tante altre piante veramente nuove e anch’esse non sempre esistite. Le faccio qualche esempio: il grano duro non è esistito per molto tempo, il grano tenero pure (sicuramente i Romani non mangiavano pane di grano tenero o al massimo in piccola percentuale), il colza esiste dal Medioevo, il triticale esiste da un secolo, la fragola ananas che ora noi mangiamo esiste a partire dal 1700. Sono esempi nei quali non è cambiato un solo gene, ma ben genomi (tutti i cromosomi) interi. Lei sicuramente avrà seminato il frumento Creso ottenuto per irraggiamento del genoma del frumento duro della varietà Cappelli e per modifiche apportatevi nel modo più incontrollato immaginabile; il bombardamento con raggi gamma ha sicuramente provocato inversioni nei cromosomi, delezioni, perdita di geni, attivazione di altri ecc. Se non è un OGM questo non so più cosa fare per convincere una persona che elabora le notizie scientifiche autonomamente. Quante persone sono state nutrite con pasta e pane ricavati dalle farine del Creso?

IL trasferimento con mezzi biotecnologici di un gene da una pianta di una specie ad un’altra della stessa specie (cisgenesi) e il trasferimento di un gene da una pianta di una specie ad un’altra di altra specie, di altro genere, di altra famiglia,ordine ecc. ecc o altro regno (transgenesi) è solo un mezzo o un nuovo strumento di miglioramento vegetale al pari dell’incrocio, dell’ibridazione somatica, delle mutazioni indotte ecc. (pratiche accettate e mai messe in discussione) che si usa se ne vale la pena o non lo si usa se un altro mezzo si presta meglio allo scopo. Io non ho mai visto un meccanico rinunciare alla pinzetta perché dispone già della tenaglia, sono strumenti simili, ma non uguali, e che l’operatore usa in funzione dell’operazione che deve eseguire. Non solo ma ma non ho mai visto l’utilizzatore del manufatto messo a punto dal meccanico rifiutare l’opera perché il meccanico ha usato la pinzetta. Perché un agricoltore, che è imprenditore agricolo, deve essere obbligato a rinunciare a priori a coltivare una pianta modificata in meglio se questa gli apporta benefici, almeno gli si lasci la libertà di scegliere in funzione del contesto in cui opera? Sono veramente inconcepibile comportamenti da inquisizione messi in atto da Coldiretti e accoliti!!!

Ma vi un’altra grande contraddizione di cui non vi rendete conto. Con i precedenti mezzi di miglioramento che ho citato e che sono ammessi senza discussione, il caso del Creso è emblematico, nessuno si è sognato di chiedere un controllo ufficiale dell’organismo vegetale modificato che si è ottenuto, ma si è lasciato al genetista che ha operato la modifica il compito di stabilire se il prodotto che proponeva per la coltivazione era idoneo anche al consumo alimentare. Nel caso degli OGM invece si sono imposti tali e tanti controlli che solo chi è dotato di mezzi economici enormi può sobbarcarsi ed in questo modo avete escluso la ricerca pubblica dal potersi servire delle biotecnologie di trasferimento dei geni. Non solo ma quando l’EFSA vi dice che ci si può fidare ecco che si insorge nel dire che sono prezzolati. In altri termini, si sono imposte prove su prove, inoltre dei protocolli e delle risultanze se ne sono pretese le verifiche da parte di un organismo europeo ad hoc e poi quando questo emette il verdetto non ci si fida. Non solo, ma a questo punto, si impone ai vari Ministri dell’agricoltura (e qui la Coldiretti è elemento di forte pressione e ricatto politico) di legiferare andando contro ad altre leggi approvate. E’ informato di quanto Corte di Giustizia Europea e Consiglio di Stato italiano, hanno cassato come provvedimenti emanati dal Ministero dell’Agricoltura in fatto di proibizione alla coltivazione di piante OGM approvate dall’EFSA in opposizione alle richieste dell’agricoltore Dalla Libera?

Veniamo alle motivazione che lei adduce circa il tipico italiano, indipendentemente che in Italia vi sono zone che vivono producendo derrate che sono in diretta concorrenza con altre mondiali che usano senza remore le piante geneticamente modificate che regolarmente importiamo e che quindi concorrenziano gravemente i produttori italiani. In pianura padana esistono grossi agricoltori che vivono producendo mais e soia e quindi perché a questi non si deve lasciare la possibilità di scegliere le loro strategie produttive?

Lei parla di produzioni che caratterizzano il Made in Italy e che verrebbero danneggiate, su quali fondamenti obiettivi basi questo suo giudizio non lo so, ma passiamone in rassegna qualcuno:

Pomodoro San Marzano – la prduzione di questo pomodoro in 20 anni è calata dal 35% al 3% a causa di virosi generalizzate (imbrogliamo i clienti vendendo conserve di Sam Marzano che non esiste più). Unica soluzione il trasferimento di geni di resistenza, che conferirebbero la resistenza, lasciando invariate le caratteristiche tipiche del pomodoro. Istituti Sperimentali del MIPAF, Università, CNR e privati (Metapontum Agrobios di Metaponto) hanno già creato questi cis e transgeni, ma sono dovuti rimanere nel cassetto.
Meli delle varietà renetta e Golden coltivate sui pendii esposti al sole della valle d’Aosta sono colpiti nelle radici da un coleottero devastante. Si calcolano perdite di 3,2 milioni di €. La soluzione con mezzi tradizionali è gravosissima, emntre il Prof. Sala, recentemente scomparso ha creato un portainnesto GM non attaccato dall’insetto.

Riso Carnaroli, Vanto della nostra risicoltura e della nostra cucina tipica. E’ affetto da un fungo devastatore che è pressoché impossibile trattare con i fungicidi. Un gene di resistenza è già stato individuato nelle piante di Mais, si tratterebbe di inserirlo nel riso, ma nessun progetto costoso può partire per l’incertezza della possibilità di darne sbocco pratico e che ripaghi delle spese di studio e approvazione. Oggi sono coltivati solo 7000 ha di Carnaroli perché ormai tutti gli anni il 25% della produzione è persa per il 25%.

Non voglio tediare i lettori del blog, ma le posso citare ben altri 24 esempi di piante che fanno parte del nostro produrre tipico che si potrebbero rendere più produttive con modifiche genetiche mirate, cioè che permettano di lasciare intatto il complesso genetico che fa di questi prodotti e piante delle specialità. Non solo, ma a lungo andare sono destinate ad una sempre più grande marginalizzazione e quindi alla sparizione. Non solo ma non crederà impossibile che qualche altro possa prendere il nostro materiale genetico delle specialità a rischio e modificarle e prodursele altrove in quantità tali da rendere antieconomico proseguire la coltivazione in Italia.

Le viti Garganega, Aglianico, Nero d’Avola sono minate da virus e creano i nostri migliori vini del Sud, non solo ma non appartengono alla categoria dei vitigni internazionali da cui si ricavano i vini che vanno per la maggiore, non crede che varrebbe la pena renderle resistenti ai vari virus e creare un vino tipico che nessuno ancora possiede? Cosa crede che vignaioli californiani, sudafricani, australiani non comprenderanno di fare loro quello che dovremmo fare noi con i nostri vitigni autoctoni?

Sig Landini è esattamente il contrario di quello che lei pensa: il tipico si salva solo apportando modifiche genetiche con strumenti biotecnologici e voi imprenditori agricoli prima lo capite e lo imponete alla vostre associazioni. prima vi salvate. Il presidente Marini con due mandati a Presidente della Coldiretti ha risolto tutti i suoi problemi economici e sicuramente quando non avrà più la carica non emulerà Cincinnato.

Chiedo scusa ai lettori di Teatro Naturale ed al Dr. Luigi Caricato per la prolissità. Mi sono lasciato trascinare.

GIANLUCA RICCHI
GIANLUCA RICCHI
16 maggio 2012 ore 18:57

Salve a tutti, vi consiglio di digitare su google" quanto guadagna il presidente degli stati Uniti d'America" vedrete che il suo compenso si aggira intorno a 400.000 Euro all'anno tutto compreso,.................... Caro Landini visto che non ritiene attendibile le voci di corridoio del Cibus, si documenti. Ma sicuramente non le interessa saperlo perché a prescindere per lei sarà comunque giusto così. Buona serata a tutti,

Vincenzo Lo Scalzo
Vincenzo Lo Scalzo
16 maggio 2012 ore 17:40

Al 37° intervento non ho resistito di scrivere questo:

Non ho interessi di parte nè nel a riguardo di OGM nè a riguardo di OGM nella specifica applicazione alla filiera dell'olio d'oliva che in Italia e nel pianeta si caratterizza per il suo precipuo indirizzo ad applicazioni d'alimentazione umana per il succo del frutto.

In qualità delle mie conoscenze chimiche di scienza dei materiali anche in materia di cellule vegetali per applicazioni in alimentazione, ho avuto modo di approfondire la tematica, anche recentemente, in rapporto all'ammissione NEGATA PER 14 ANNI della varieta OGM Amflora focalizzata sulla sua applicazione quale crop competitivo per la produzione di amido, con esclusione di qualsiasi applicazione per usi alimentari.

Ho pubblicamente esposto la definizione della posizione personale assunta nei confronti del Governo italiano che ha univocamente rifiutato l'applicabilità della delibera comunitaria con aggettivi che assomigliano a "assurdo, primordiale, autocastrante" in quanto il tubero ha ormai,in Italia, unico impiego industriale non alimentare in farmaceutica, cosmetica, colla, tessile e adesivi,oltre che tra i crop di alimentazione anche tra le materie prime da crop per la bio-raffineria di Terni. Novamont SpA, il cui centro ricerche ha sede a Novara, ha sviluppato prodotti e processi nelle facilities della ex struttura di ricerca dell'Istitutp Donegani.

Novamont è società leader e pioniere nella nuova chimica autosostenibile, derivata da risorse rinnovabili, e la derivazione di materie prime naturali e di derivati polimerici non solo è in rapida evoluzione ma si prospetta in grado di sostenere sviluppo di prodotti e volumi confrontabili con la storia del polipropilene, altrettanto patrimonio originale della scienza italiana.
Ricordo il Nobel al prof Natta, come ricordo quasi cento anni prima il Nobel al prof Golgi, scopritore con la reazione nera della visione oltre che di neuroni e materiale cerebrale anche di quei misteriosi "corpi del Golgi" che tutto il mondo riconosce tra i nano-archivi di caratteri e patrimoni di ogni materiale organico vivente.

Le ragioni esposte dal Dr Landini a riguardo di preferenze italiane di crop OGM sono perfettamente compatibili con lo scenario e le premesse esposte nel suo commento, ma anche per il succo d'oliva si prospetta ricco di potenziale energetico di sviluppo per una chimica derivata adatta a applicazioni che non hanno nè da guadagnare nè da perdere se derivanti da un frutto naturale o geneticamente manipolato.

Non è questa la sede per entrare in dettaglio nel tema, tuttavia è bene che il pubblico dei lettori sappia che le sempre più frequenti olive che restano inutilizzate sulle piante, sia per non adattamento alla qualità di prodotto alimentare-gastronomico che per semplici ragioni di convenienza economica tenuto conto dei costi di raccolta e di cartomania-modulistica-barriere-complicazioni-ecc!
Rispetto all'utilità di una valorizzazione anche esclusivamente per usi energetici, lo "scenario" è già reso cosi complesso da avere perso grosse opportunità per l'economia oleicola di proteggere il suo protaginismo da strategie aggressive anche per un utile ricupero anche soltanto energetico.

L'ignoranza del nostro paese in termini di divulgazione e diffusione di cultura basata sulla scienza rende facile influenzare un'opinione pubblica con lo spavento, in presunzione di "pericolo", salvo quello molto serio della promozione di reati per denominazione di prodotto.

Resto cultore della qualità e del piacere per l'olio non solo gastronomico, per il "buono" e "bello", e forse non avrò più motivo di seguire i dibattiti di questo eccellente teatro, spesso sordo alla musica e attento più ai rumori di portineria che al giardino che a volte non siamo capaci di apprezzare, amare, proteggere, condividere con ogni comunità del pianeta, empaticamente amica.


massimo occhinegro
massimo occhinegro
16 maggio 2012 ore 17:25

1) I soldi che Marini prende, a differenza di quelli di Obama, che vengono pagati da tutti i cittadini Americani, democratici o repubblicani che siano, non sono soldi pubblici.
2) Dato che i redditi di Marini vengono dai soci Coldiretti, se uno non è d'accordo basta che non rinnovi la tessera ed automaticamente smette di pagare.

Caro Landini, rispondo alle sue osservazioni.
1) I soldi che Marini ed altri Coldirettiani prendono sono di origine pubblica. Le dirò di più sono europei ed italiani. Infatti la Coldiretti percepisce fondi dell'Unione europea e nazionali. Non si sostenta solo con i soldi degli assistiti. (si legga ad esempio l'articolo di Grimelli del link dove parla della liaison tra Coldiretti-Unaprol-AIFO ed alla tecnica delle scatole cinesi per intascare contributi)

http://www.facebook.com/note.php?note_id=240044462689936

Dov'è l'economicità di aprire tante società? Non si deve pagare forse di più per la loro gestione? Non ci sono dunque sprechi? NOn le sembra strano?

2) seconda questione. E' vero i tesserati possono "strappare la tessera" , ma non è che funziona in alcuni casi come nei sindacati, che pagano senza neanche saperlo? Inoltre non sarebbe giusto che loro sappiano quanto prende Marini;

è proprio sicuro che ne sarebbero contenti perchè giudicano il suo operato meritevole?

Sig. Landini, non mi faccia anche lei l'allineato, per favore. A me pare che in Coldiretti ci sia oscurantismo, ma le sembra normale che in dal 1944 ad oggi in Coldiretti ci siano stati solo 5 Presidenti? In confindustria ad esempio la carica di Presidente dura 4 anni, mentre in Coldiretti abbiamo una media di 14 anni!
Le chiedo solo una cosa: rifletta. Grazie

Andrea Landini
Andrea Landini
16 maggio 2012 ore 16:13

Caro Guidorzi, mi permetto di intervenire e di dire la mia sulla questione OGM e sul problema di mancata produttività delle coltivazioni italiane.
Il problema a mio avviso non è etico o morale, ma prettamente economico, l'Italia, per la sua conformazione, ha un territorio in gran parte collinare o addirittura montuoso e solo in piccola parte pianeggiante, un territorio che mal si presta a coltivazioni estensive, dal grande rapporto prodotto/ettaro. Se ci mettessimo a gareggiare, in termini di produttività, con altri paesi che hanno condizioni territoriali più favorevoli, ne usciremmo inevitabilmente perdenti.
Ma quello che è un limite per la produttività può, e deve, diventare un vantaggio per la competitività dei nostri prodotti. Avere terreni, esposizioni e, come si dice, con un termine francese, terroir diversi ha portato, nei secoli, l'Italia ad avere una straordinaria varietà di produzioni tipiche territoriali, che non saranno il massimo, dal punto di vista di ottimizzazione delle rese, ma che soprattutto negli ultimi anni hanno riscontrato sempre di più il gradimento dei consumatori anche a prezzi più alti rispetto a prodotti analoghi.
E' partendo da queste considerazioni che sono contrario agli OGM che inevitabilmente tendono ad uniformare e a massificare il prodotto, tagliando fuori dalla produzione tutte quelle varietà di piante che non sono altamente performanti, ma che concorrono in maniera essenziale a mantenere quel patrimonio di biodiversità e di sapori che fa si che l'Italia sia in Europa e nel mondo la nazione che ha più DOP.
Capisco la ragione per cui paesi come Francia Germania o Canada sono favorevoli agli OGM, e per la stessa ragione capisco e concordo con l'Italia che ha scelto invece di essere OGM free.
So già che mi verrà risposto che la mia posizione è frutto dell'indottrinamento di Coldiretti che impone una linea da seguire ed alla quale non ci si può ribellare, ebbene vi prego di credermi, le cose che ho detto le pensavo ancor prima di diventare dirigente Coldiretti e se qualcuno riuscisse a convincermi che gli OGM sono un bene per l'agricoltura italiana non avrei problemi a diventare un sostenitore degli organismi geneticamente modificati, se questo poi dovesse comportare la mia uscita da Coldiretti almeno economicamente non sarebbe poi un gran danno visto che per la carica che ricopro (presidente di Coldiretti Prato) non percepisco alcun compenso.
Mi dispiace di non poter soddisfare la curiosità del sig. Occhinegro ma non conosco l'entità del compenso di Marini, e se devo dire la verità non mi interessa poi neanche molto saperlo, a Marini io chiedo che sappia portare avanti le istanze che Coldiretti ritiene giuste per il bene dell'agricoltura italiana e finchè riesce a farlo con la serietà e competenza che sta dimostrando il suo stipendio mi sembra un argomento secondario.
Peraltro la voce sentita in un corridoio di Cibus non mi pare essere la fonte più attendibile per stabilire la realtà delle cose, e in ogni caso qualunque sia la cifra che Marini percepisce mi confortano due considerazioni :
1) I soldi che Marini prende, a differenza di quelli di Obama, che vengono pagati da tutti i cittadini Americani, democratici o repubblicani che siano, non sono soldi pubblici.
2) Dato che i redditi di Marini vengono dai soci Coldiretti, se uno non è d'accordo basta che non rinnovi la tessera ed automaticamente smette di pagare.

massimo occhinegro
massimo occhinegro
16 maggio 2012 ore 13:57

Gent.mo Satolli, quanto ho scritto a proposito del campione di formula 1 era solo un esempio. In generale ritengo sempre corretto premiare per merito cosa che in Italia non accade. Ovviamente personalmente credo che sarebbe opportuno che Sergio Marini dichiarasse pubblicamente i suoi emolumenti, diretti ed indiretti (spesso in Italia si fa uso di altri sistemi premianti ancorché leciti). In questo dibattito c'è Andrea Landini forse lui lo sa quanto prendono il suo Presidente ed altre alte cariche. Se Sergio Marini lo merita perché non divulgare l'ammontare dei suoi redditi visto che tutti ne parlano ma nessuno lo sa?

Romano Satolli
Romano Satolli
16 maggio 2012 ore 12:52

Su Wikipedia, c'è il curriculum di Obama e risulta che guadagna circa 24.000 euro al mese, molto meno di quanto prenda di pensione Giuliano Amato e tanti altri personaggi della casta. Paragonare lo stipendio di un manager che porta guadagni all'azienda (in Italia vengono premiati anche quelli - Alitalia docet- che hanno ottenuto delle perdite) con un campione di F.1 o della Moto Mondiale, non è attuale, perchè questi rischino la vita. E' giusto comunqu che chi ottiene dei risulatati positivi per la propria organizzazione e per i suoi iscritti è giusto, ma perchè non renderli pubblici? Sappiamo ch il capo della nostra Polizia guadagna molto più del direttore dell'F.B.I., quindi perchè non conoscere gli stipendi (con tutti gli annessi e connessi) dei dirigenti sindacali,mi sembra sia una dimostrazione di trasparenza e di onestà verso l'opinione pubblica.

massimo occhinegro
massimo occhinegro
16 maggio 2012 ore 11:56

Desidero chiarire fin da subito che chiedere a quanto ammontino gli emolumenti del Presidente Coldiretti o del suo segretario non e' voler fare demagogia. Sono dell'avviso che una persona può anche guadagnare moltissimo a patto che i risultati ottenuti siano degni di nota per l'azienda o per la comunità che rappresenta. Il grande campione di formula 1 che grazie alle sue capacita' porta benefici all'azienda , merita un compenso elevato.
Nel caso di specie visto lo stato dell'agricoltura non mi pare che tali importi elevati, che peraltro come giustamente evidenziato non sono di dominio , non dico pubblico , ma neanche degli stessi agricoltori, siano giustificati. Le voci si susseguono c'e ' tra gli addetti ai lavori parla di cifre vicino ai 3 milioni..Questa era una delle 10 domande che mi sarebbe piaciuto fare..ma in Italia non si conoscono nemmeno gli stipendi dei capi sindacalisti.

Romano Satolli
Romano Satolli
16 maggio 2012 ore 11:03

Sono sconvolto nell'apprendere la notizia. Ritengo che il governo, oltre che attuare la trasparenza sugli stipendi e sui limiti degli stessi ai manager pubblici, ci vorrebbe una campagna per obbligare alla trasparenza sugli emolumenti dei dirigenti delle organizzazioni che ricevono denari dai loro associati, sia tramite versamenti volontari che prelevati dagli stipendi o dai redditi. Mi riferisco ai sindacati ed alle organizzazioni di categoria.
I loro associati, ed i cittadini che con enormi sacrifici affrontano il periodo di crisi, devono sapere se esistono i privilegiati e quanto guadagnano. Sono sicuro che la stampa veramente libera aderirebbe con entusiasmo, come in tanti hanno aderito alla campagna di Aldo forbice, direttore storico della trasmissione Zapping su Rai 1 sta conducendo contro i gli sprechi.

GIANLUCA RICCHI
GIANLUCA RICCHI
15 maggio 2012 ore 18:38

Caro Sig Satolli,
vuol sapere quanto guadagna il Presidente di Coldiretti???
beh ho sentito dire in questi giorni al Cibus di Parma che guadagna circa il doppio del Presidente degli Stati Uniti d'America. Quanto guadagna il Presidente Obama? basta digitarlo su google e molto semplicemente appare il suo compenso annuo.
Se così fosse non è incredibile? io penso di si.



Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
15 maggio 2012 ore 17:04

Grazie Romano dell'apprezzamento, ciò mi spinge a continuare la mia opera di divulgazione sui temi che cono stati il campo della mia vita di lavoro di agronomo.
Un aspetto che la repulsione verso l'uso oculato, ragionato, calcolato e sperimentato delle tecniche di miglioramento genetico in genere ed ora di cisgenesi prima di tutto e poi di transgenesi è l'ancoraggio del prodotto tipico alla pianta tipica o meglio antica.

Siamo di fronte ad un vero imbroglio per produttore ed anche per il consumatore.

Ci si rende conto che una Coldiretti che non interviene fermamente nello spiegare e quindi nel combattere la credenza che il sapore antico del pane si ottiene solo con farine attenute coltivando grani antichi cioè sorpassati è un danno per l'agricoltura italiana?

Nessuno disconosce il lavoro fatto da Strampelli sul frumennto, ma è stato fatto più 80 anni fa cioè un abisso di tempo.

Se passa una cosa di questo genere come volete che vengano finanziati istituti di ricerca che fanno miglioramento genetico per darci piante migliori e più adatte ai nostri climi? Come volete che facciano a vivere gli associati della Coldiretti se gli si toglie la valvola della produttività. Non si accorge la Coldiretti che il plusvalore che sono disposti a pagare i consumatori che hanno idealizzato il prodotto di gioventù o delle loro terre di provenienza, non va a favore del produttore, ma degli intermediari che vendono sui mercatini del prodotto tipico che non sono agricoltori?

Con questa filosofia qualsiasi innovazione troverà ostacoli e i media incompetenti troveranno terreno fertile per scrivere articoli scandalistici contro l'agricoltura tutta che, come tutte le attività economiche, progredisce con le innovazioni.

L'ultimo articolo che è apparso si Spazio Rurale a mia firma e che porta il titolo di "Breve storia del miglioramento vegetale" parla di questo, ma il titolo iniziale era "Insegniamo miglioramento genetico a Mario Capanna" "guru caro alla Coldiretti.

Romano Satolli
Romano Satolli
15 maggio 2012 ore 12:53

Seguo da lungo tempo Alberto Guidorzi su Spazio Rurale e ammiro il suo coraggio nel parlare degli OGM con profonda conoscenza, libero dalla demagogia di chi ha trovato la maniera per campare con riconoscimenti vari, anche e soprattutto finanziari, in una battaglia contro gli OGM, che ostacola ogni sperimentazione in agricoltura.
Leggendo anche quello che dice Occhinegro sulle compartecipazioni della Coldiretti, soprattuttocon la RAI, mi ha lasciato basito.
Trovo che entrambi hanno tutte le ragioni e che sia ora di finirla con questa dittatura dei Media, soprattutto della TV di Stato, con le solite sigle e con le solite facce. In uno spirito di trasparenza, perchè non vengono pubblicati gli stipndi ed i benefit connessi per i dirigenti sindacali e delle Organizzazioni Agricole? Penso che sarebbe un atto di onestà e di trasparenza nei confronti dei loro associati.

massimo occhinegro
massimo occhinegro
15 maggio 2012 ore 07:11

Gent.le Marco Bignardi, lei ha colpito nel segno ed ha compreso perfettamente cosa si vuole denunciare. C'e ' in Italia un appiattimento di idee molto pericoloso, derivante dallo strapotere di Coldiretti e di Unaprol. E' impressionante come nella comunicazione agricola non ci sia pruralismo. Su tutti i media lo spazio concesso a Coldiretti e' impressionante ed e' come se in televisione si sentisse solo una voce politica. Sembra che in campo agricolo non sia garantita a livello mediatico, la democrazia e questo e' un grave problema per il comparto oleario in particolare. La Coldiretti e' ovunque con i suoi uomini ed ex uomini perfino nei ministeri dell'agricoltura. Si arriva perfino a proporre una legge che contiene assurdità ed illogicità come e' il caso degli 1,5 centimetri di altezza di carattere che in concreto equivarrebbe all'etichetta della foto ( peraltro da litro) Si beve tutto perché lo dicono Coldiretti o Unaprol. Quello che si desidera e' garantire il pluralismo dell'informazione in campo agricolo. Ho scoperto ad esempio che la Coldiretti tra le sue innumerevoli scatole cinesi societarie ( che tra l'altro in periodo di profonda crisi economica sono rese stesse causa di sprechi) ne ha una in partnership con la RAI e con la Asscurazioni Generali. Ecco perché si chiedono due cose: trasparenza assoluta della Coldiretti e che sia garantito il pluralismo dell'informazione. Abbiamo potuto notare che in decenni di "gestione" Coldiretti nulla e' cambiato per gli agricoltori, anzi no, le cose sono cambiate nel senso che stanno peggio di prima . A questo punto non e' forse il caso di interrogarsi sul perché e comprendere bene di chi sono le responsabilità ? Apprezzo persone lucide come Landini perché dimostrano acume e disponibilità al dialogo ed e' solo in il confronto che si cresce, diversamente si sprofonda sempre di più . E' vero Landini io non sono repubblica e lei non e' Sergio Marini , le dieci domande in effetti sarebbero per il Presidente e provengono dal basso e non avrei alcun modo di fargliele pervenire, lui sta 3 metri sopra al cielo.

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
15 maggio 2012 ore 01:21

Sig. Landini

Ho caracollato in lungo ed in largo le agricolture di Francia e Italia per 40 anni e ne ho seguito l’evolversi
Mi sa dire perché dopo alla morte dei partiti politici di riferimento sono rimasti in vita ancora tutti sindacati agricoli di loro emanazione? L’agricoltura aveva bisogno di una rappresentanza sindacale unica che la rappresentasse nelle assise comunitarie, cioè laddove si prendono le vere decisioni in fatto di politica agricola. Non lo si è fatto perché si sono incancrenite delle prebende, delle cariche ben remunerate e soprattutto "potere".

Le associazioni o sindacati agricoli che dir si voglia hanno indirizzato le scelte agricole verso la crescita dell’agricoltura italiana?

Certamente no! Sa il perché? Per il semplice fatto che da sempre si sono fatte tacitare da aiuti economici dati e distribuiti indipendentemente dall’ottenere una crescita imprenditoriale degli associati e la creazione di strutture produttive efficienti. Anche gli agricoltori francesi hanno ricevuto tanti soldi, ma guarda caso non hanno solo concorso a aiutare il reddito, ma hanno fatto progredire molto l’agricoltura transalpina. Vuole qualche esempio?
- Noi in 40 anni di mercato comune dello zucchero, in Italia siamo passati dal produrre mezzo kg di zucchero per mq al produrne 700 g, mentre i francesi da 750 g sono passati ad 1400 g/mq
- Non abbiamo varietà italiane valide di frumenti, e la nostra produzione media è negli ultimi 20 anni diminuita invece che aumentare; tanto è vero che il 50% e più del pane di grano tenero è fatto con farine già assemblate per i vari tipi di pane e che ci vendono i francesi.

- Quando l’ammontare degli aiuti comunitari al grano duro non ha fatto più reddito
ettariale da solo, gli agricoltori hanno smesso di coltivare il grano duro perché non
perchè non avevano la produzione che li compensava.

- Quanti aiuti hanno ricevuto gli uliveti italiani dalla Comunità, eppure dobbiamo
comprare l’olio altrove e l’unica difesa che sapete porre a questo stato di cose è il disprezzo della qualità degli altri oli.

Vuole che continui? Chi si deve incolpare di questo stato di cose se non i sindacati ed in particolar modo la Coldiretti che ha creato sempre Ministri dell’Agricoltura a sua immagine e somiglianza?

Come si può tacere ai consumatori italiani la precarietà sempre maggiore del loro rifornimento alimentare di produzione nazionale? La Coldiretti li illude con il km zero e con i mercati contadini che sono una condanna ai “lavori forzati” per i produttori che vi partecipano e quindi un modo per far pagare ai consumatori deì surplus di prezzo che non sono giustificati.

I consumatori italiani devono sapere che il loro rifornimento alimentare di produzione nazionale è talmente precario, che in caso di penurie sui mercati mondiali verrà chiesto loro di svenarsi per mettere qualcosa nel piatto. Si informi cosa sta succedendo in Grecia in questi giorni? Esorti quindi la sua Associazione a non narcotizzare i consumatori con trovate e comunicazioni irreali, così facendo non si ha il rispetto dei consumatori e dei propri associati, ai quali non è dato sapere che vi saranno riservate sorprese amare.

Se passa l'etichettatura obbligatoria in fatto di origine delle materie prime usate si scoprirà che il "mangiare italiano pressochè non esiste" e coloro che lo vogliono devono avere un portafoglio ben fornito, vale a dire avremo consumatori figli e figliastri.

Possibile che la Coldiretti vada a rimorchio di Slowfood? Ma che associazione di categoria è?

marco bignardi
marco bignardi
14 maggio 2012 ore 23:24

Teatro Naturale non parla solo di olio, per questo tante persone lo seguono. Questo articolo in particolare parte dall'olio per parlare di comunicazione. Comunicazione agricola, e non solo, che in questi anni è monopolizzata da Coldiretti e tutti i monopoli sono pericolosi, perchè limitano la libertà.
Per questo mi ha colpito l'articolo, perchè evidenzia un fatto che tanti hanno notato, ma che Caricato ha avuto la forza di denunciare. Non credo sia una critica sulle politiche della coldiretti verso le filiere corte, verso la difesa delle filiere italiane, verso il no agli OGM, ma io ho percepito sopratutto una critica al monopolio dell'informazione, al potere politico, neppure troppo nascosto, che fa della coldiretti non l'organizzazione più rappresentativa, ma certamente la più potente. Non credo che il numero delle tessere sia direttamente rapportabile con la rappresentatività, semmai la % dei soci che credono nella necessità della struttura, che pagano "volentieri" la tessera per sostenere l'organizzazione, non che la pagano perchè costretti dal sistema ad avere un'organizzazione di riferimento.
Questo articolo di Caricato è una critica secondo me centrata sul sistema Coldiretti che, con una struttura da Partito fatta di dirigenti nazionali strapagati e di ottimi ragazzi sul territorio invece ridotti ad un quasi volontariato, ottiene spazi di comunicazione non tanto per comunicare e approfondire fatti seri, ma per avere visibilità, quella che serve per ottenere le poltrone che contano o per lo meno per decidere chi ci si deve sedere. In un'eterna difesa di se stessa più che del mondo agricolo.

Andrea Landini
Andrea Landini
14 maggio 2012 ore 22:54

Gent.mo Sig. Occhinegro
Forse nel mio commento precedente non mi sono spiegato bene, proverò a farlo in maniera più chiara adesso, ho già detto e ripeto che chi vende olio o qualunque altro prodotto senza etichetta, non solo non rispetta i regolamenti dei mercati di Campagna Amica, ma non rispetta neppure le leggi della Repubblica Italiana e per questo andrebbe sanzionato, il fatto che lo faccia in un mercato targato Campagna Amica, pone Coldiretti addirittura nella posizione di danneggiata, perchè il cattivo comportamento di uno solo può screditare il comportamento virtuoso di tutti gli altri, andando ad incidere sulla credibilità dei mercati.
Nei mercati chi vende e chi è responsabile del prodotto sono, solo e soltanto,i produttori perchè, solo e soltanto questi, sono ammessi a partecipare, Coldiretti si limita a fornire assistenza logistica e coordinamento.
Vendere bottiglie di olio senza etichetta è sicuramente frode in commercio ed è vero che non potrò mai trovare in un qualsiasi supermercato italiano o estero bottiglie di olio senza etichetta, ma a mio avviso è sicuramente meno grave che, come è successo nei supermercati, vendere mozzarelle che al contatto con l'aria assumono le colorazioni più svariate, incolpare Coldiretti perchè un produttore, in uno dei tanti mercati agricoli che si tengono tutti i giorni, vuol fare il furbo, sarebbe come incolpare la GDO per le mozzarelle in questione.
Quanto ai quesiti che mi vuole porre lei mi attribuisce troppa importanza, non sono Berlusconi e tra l'altro credo neanche lei lavori per Repubblica.
In ogni caso, se vuole, posso raccontarle la mia esperienza in Coldiretti anche se dubito che tutto ciò possa interessare gli altri lettori.

massimo occhinegro
massimo occhinegro
14 maggio 2012 ore 21:35

Non ho parole.

angela orsini
angela orsini
14 maggio 2012 ore 21:12

Ho capito! Qui non si parla di olio deodorato, di alchil esteri, di origine dell'olio e di etichette ingannevoli, ma solo di Coldiretti e di Unaprol. Ma vogliamo parlare degli oli gentili,fragranti, e robusti nonché a bassa acidità che sono illecitamente etichettati secondo le norme europee e che tuttavia si trovano normalmente in vendita nei supermercati? Lo vogliamo chiedere a Federolio il perché sono etichettati in questo modo?

massimo occhinegro
massimo occhinegro
14 maggio 2012 ore 19:44

Gent.mo Sig. Landini, mi fa piacere che Lei la prenda con estrema filosofia politica. Vendere bottiglie di olio senza etichetta è frode in commercio. Lei non potrà mai trovare in un qualsiasi supermercato italiano o estero bottiglie di olio senza etichetta. Se la Coldiretti avesse riscontrato una cosa del genere con prodotti di aziende non a loro aderenti sicuramente l'avrebbe sbandierato su tutti i giornali. Il fatto che poi un altro olio posto in commercio sia venduto a 3,30 Euro quando ormai sbandierate ovunque che l'olio extra vergine di oliva di qualità non possa essere venduto a meno di 6,00 al litro, dicendo una enorme bugia, tra l'altro e Lei sa bene perchè, è altrettanto eclatante e degno di nota. Predicate bene e razzolate male, caro Landini. Mi ricordo che quando venne istituita l'obbligatorietà per i frantoiani di non vendere olio non etichettato ossia in bidoni anonimi, si sollevo' una enorme polemica che partì, se non ricordo male dalla Liguria. La Coldiretti è molto potente ma nello stesso tempo poco trasparente e devo riconoscerle la sua correttezza nel partecipare al dibattito, cosa che i suoi "capi" non fanno. Vista la sua disponibilità, sarebbe disponibile, le chiedo a rispondere a 10 quesiti che le porrei che riguardano la Coldiretti? Me lo faccia sapere, farebbe credo una cosa gradita a tutti in nome della trasparenza.La ringrazio.

Andrea Landini
Andrea Landini
14 maggio 2012 ore 18:58

Fino ad oggi di naif non me lo aveva dato nessuno, prendo atto e non so se offendermi o se esserne lusingato.
Vedo che anche a lei, signor Guidorzi, non è sfuggito che la Democrazia Cristiana è morta 20 anni fa, so benissimo che le radici della Coldiretti sono quelle che lei dice e se la discussione che stiamo affrontando oggi fosse avvenuta 20 anni fa mi sarei ben guardato dall'affermare che Coldiretti non ha referenti politici, il fatto è che siamo nel 2012 e oggi le assicuro all'interno dell'associazione nessuno fa pressione per indirizzare il voto dei soci da una parte o dall'altra.
Diversa è la questione di " fare politica", Coldiretti ha un suo progetto per la politica agricola italiana, un progetto che prevede la valorizzazione di una filiera agricola tutta italiana, con questo caro direttore non intendo dire che i prodotti che vengono da fuori sono necessariamente peggiori dei nostri, sono comunque necessariamente diversi, ed in ogni caso i prodotti italiani (olio compreso) sono internazionalmente riconosciuti come prodotti di alta qualità, altrimenti non si capirebbe il fenomeno dell'italian sounding e di tutti i falsi prodotti italiani che vengono venduti nel mondo, e quindi, coerentemente, Coldiretti collabora e fà del sano lobbismo con tutti quei politici di destra di sinistra o di centro che dimostrano sensibilità verso i temi della tutela del prodotto agricolo italiano.
Caro Guidorzi stia attento, la seconda parte del suo intervento la condivido parola per parola e, non se ne abbia a male, ma è quanto sta dicendo Coldiretti da almeno dieci anni.
Una risposta anche per Massimo Occhinegro, se è vero che al mercato Coldiretti di Bracciano si vende olio non etichettato e per giunta a prezzi stracciati questo non significa che sia giusto, in teoria questo non dovrebbe accadere perchè i regolamenti interni dei mercati Campagna Amica lo vietano, ma i furbi (o i disperati) ci sono in tutte le categorie e quindi anche fra i soci Coldiretti. In ogni caso un episodio o un singolo comportamento non può pregiudicare il lavoro e l'impegno che mettono migliaia di produttori onesti che ogni giorno vendono i loro prodotti nei tanti mercati di Campagna Amica.
Caro direttore , non sono riportato dalla piena, come si dice da noi, e lo so anche io che il km 0 o la filiera corta non potranno mai risolvere tutti i problemi dei produttori italiani, ma soprattutto per i più piccoli e per chi ha una produzione relativa, sono un interessantissima fonte di reddito aggiuntiva e immediata che in certi casi ha significato la stessa sopravvivenza di alcune piccole aziende, certo i numeri sono piccoli e la quota di mercato infinitesima però in costante crescita, e forse è proprio per questo che sono così avversati.
Andrea Landini

Romano Satolli
Romano Satolli
14 maggio 2012 ore 17:49

Sig. Occhinegro,
non credo che qualcuno riesca a cancellare le sue foto "scandalose" inviate a TeatroNaturale! Non è comunque una novità il fatto che in queste fiere-mercato organizzate dalle organizzazioni di categoria si trovino prodotti che, in qualsiasi mercato o negozio, sarebbero state sequestrate dai servizi di controllo. Le bottiglie di olio "trasparenti"? Ma sono più ruspanti, quelle certificate proprio a Km. zero, perchè prive di quelle etichette che le farebbero assomigliare a quelle dell'industria, mentre quelle sono state riempite e portate all'attenzione dei consumatori gonzi ad 7 euro l'una: il prezzo è la garanzia, altro che l'etichetta o la certificazione dell'ente di controllo! Ho assistito a questi mercatini, in Sardegna! Tutto costa più caro, anche se non hanno spese come ha qualsiasi negozio di verduraio. La garanzia è data dalla bandiera gialla che garrisce tra i banchi di chi, con quello che vende in quei giorni, intende rifarsi rifarsi pelando i consumatori. Tra l'altro, chi controlla i rivenditori che sono passati prima al mercato all'ingrosso? Mi complimento con Luigi Caricato per aver pubblicato l'articolo che ha sollevato tanti commenti: è stato un sasso nello stagno!

massimo occhinegro
massimo occhinegro
14 maggio 2012 ore 15:50

Gent.mo Direttore, desidero portare alla sua attenzione un (presumo) problema tecnico. Avevo inserito come commento al presente articolo, alcune foto da me postate su facebook e scattate al mercato Coldiretti di Bracciano ieri. Tali foto, riferite all'olio extra vergine di oliva o presunto tale, mostravano bottiglie da 1 litro di olio extra vergine vendute a 3,30 euro al litro con un'immagine bucolica di campagna e di un bel castello ed inoltre, cosa ancora più sorprendente, bottiglie di olio veramente trasparenti.....ossia senza etichetta, ovviamente in vendita al pubblico questa volta a 7 euro. La trasparenza evidentemente si paga. Pero' dopo aver ricevuto l'approvazione del commento, presumo da Lei in quanto direttore responsabile di TN, tale commento contenente links, scomparivano.Successivamente mi sono pervenuti altre approvazioni, sempre relative allo stesso commento. Bene andavo sul link che mi appariva nella mail e voila' il 18 ' commento scompariva. Adesso 3 sono le soluzioni. 1) guasto tecnico; 2) le foto sono troppo scandalose) 3) qualcuno a sua insaputa le toglie. Può cortesemente spiegare l'arcano? A proposito, poiché sono stato bandito dalla pagina fb di UNAPROL per aver detto una verità documentata, ho timore di essere stato anche bandito dalla sua rivista. La ringrazio anticipatamente per un suo chiarimento. Massimo Occhinegro

massimo occhinegro
massimo occhinegro
13 maggio 2012 ore 17:37

Sig.ra Orsini. Mi pare di aver scritto che il consumatore medio comprerebbe comunque l'olio più economico. Quindi mi sembra anche di aver detto proprio ciò che il dott. Caricato ha enfatizzato ossia di evidenziare l'origine del prodotto. Quindi non vedo la questione. Per altro verso in passato la Carapelli aveva perso in giudizio proprio sulla questione dell'evidenza della città , posta isolata dal contesto. Ed in questo concordo con lei. Ribadisco che tutti i confezionatori dovrebbero avere più coraggio.

Donato Galeone
Donato Galeone
13 maggio 2012 ore 16:34

Concordo che"sbagliano" coloro che non "valorizzano" le caratteristiche di qualità deli oli di ollva provenienti dai territori italiani "etichettando in grande evidenza" con:
-il marchio commerciale di propdotto;
-la indicazione del luogo di origine;
-la descrizione analitica dei dei contenuti di qualità degll'olio offerto;
-l'anno di produzione.
E' questa la "identificazione" di tutti i prodotti agrialimentari italiani:
dai produttori ai trasformatori e confezionatori dei "succhi di olive" che offrono olio ddi alta qualità ai mercati di tutto il mondo.
Concordo anche con l'osservazione della Sig.ra Angela Orsini per la citazione della ex democrazia cristiana" che verosimilmente collegata alla Coldiretti favorisce "nulla" ed anche, quale unitile polemica, è proprio fuori luogo nel "confronto" sulle etichettture degli oli di oliva. quanto, invece,lo "scivolone pubblicitario di "strisscia la notizia- Marini Presidente Coldiretti" non è neppure informazione-conoscenza di prodotto per il consumatore.
Così come non lo è soltanto la "etichetta" - pur " con caratteri tipografici pari o superiore a 1,2 mm (art. 1 del DM n. 5464 del 3 agosto 2011, pubblicato sulla Gazz.Uff. il 22 novbmenbre 2011).
Ma è essenziale quanto necessario, ripeto, il convenire ed il definire "aggregazioni" per aree olivicole intercomunali - differenziate per varietà di olive - ed in "filiera di prodotto" da offrire al mercato, comunicando ai consumatori "con nuovi linguaggi che puntino a informare sulla sostanza e sui fatti tangibili"( Montagna in TN del marzo 2011.
Già nel giugno dello scorso anno il decreto dell'ex Ministro Romano che si dice "perso" al Miniastero delle Politichie Agricole (lo dice Marini)fu preannunciato da Ernesto Vania e da noi commentato ampiamente ("Etichettature da rifare".....TN del 4 giugno 2011).
A mio avviso le Associazioni dei Produttori Olivicoli, condividendo localmente,dovrebbero riconoscersi - con priorità - nelle "aggregazioni territoriali di scopo" per un prodotto extravergine di alta qualità da ottenere in "fliera" econ commercializazzione societaria partecipata (sperimentazione Vallecorsa-basso Lazio).
Pur differenziandosi, nell'autonomia di organizzazione professioanale,la Coldiretti,Cia,Copagri e Confagricoltura dovrebbero sostenere ogni iniziativa "aggregratrice" comprensoriale locale nella "rappresentatività" provinciale, regionale e nazionale, convenendo di informare su "fatti tangibili" le differenziate qualità dei prodotti agrialiementari "italiani tracciati e certificat" per i consumatori
europei acquirenti competitivi, anche, dei legittimi "oli comunitari o extracomunitari".
Donato Galeone

angela orsini
angela orsini
13 maggio 2012 ore 15:00

Si, dr. Occhinegro grazie per gli auguri! Ritorno sul concetto che è quello di vendere un olio di oliva picual con paesaggi agricoli e la scritta di Firenze, quella si con i caratteri macroscopici come quelli della foto a fondo articolo. La legge prescrive, come lei osserva giustamente, che bisogna riportare la sede dello stabilimento di confezionamento, non mi sembra che su queste bottiglie vi sia scritto oltre a "Firenze" sede di confezionamento, o no? Immagini se ci fosse scritto con le stesse dimensioni "Jaén" che magari è la zona da dove proviene quell'olio e che per legge non deve essere indicato. Suvvia, ha ragione il dr. Caricato, un pò di coraggio, oppure pensiamo che il popolo bue italiano non comprerebbe più quell'olio. Tranquilli a 2,50 lo comprano tutta la vita e anche io, basta usarlo solo per la frittura.

Romano Satolli
Romano Satolli
13 maggio 2012 ore 12:46

C'è la Coop che sta facendo una campagna martellante sui prodotti a marchio. Si rendono conto, i difensori dei cappelli gialli e del Km. zero, che in futuro i marchi aziendali spariranno dal mercato, e che il consumatore non potrà piu' scegliere il suo fornitore di fiducia perchè ci sarà solo l'Olio extra vergine di oliva a marchio Coop? Certamente la Coop non siamo noi consumatori, nonostante lo stantio e vuoto slogan della catena, per cui non fa beneficenza. Quando il nome del produttore preferito dal consumatore sparirà dalle confezioni, essi dovranno subire i prezzi che gli impone la GDO perchè, se non vorrà rimetterci o avere un minimo guadagno, la Coop (e le altre GDO, non è la sola) troverà sempre chi sarà disposto a pratic are dei prezzi poco o nulla remunerativi. Quindi potenziare il nome dell'azienda produttrice o imbottigliatrice, ed applicare etichette trasparenti, anche se la sede dell'imbottigliatore richiama un nome famoso: il consumatore sa riconoscere la differenza tra la sede dell'imbottigliatore e la provenienza del prodotto. A tal proposito, perchè non si obbliga a far si che il nome della sede dell'imbottigliatore, quando si identifica con il nome di una DOP o di una parte di essa non viene limitata in altezza nei 3 mm. come previsto per le etichette dei vini?

massimo occhinegro
massimo occhinegro
13 maggio 2012 ore 12:09

Gent.ma sig.ra Orsini mi permetta di obbiettare su alcuni suoi convincimenti. Lei parte dal presupposto che il consumatore sua un profondo conoscitore di olio extra vergine di oliva. Se l'olio extra vergine Picual non piacesse, i consumatori a qualsiasi prezzo fosse venduto semplicemente non lo acquisterebbe tanto in Italia quanto nel mondo. L'unica possibilità che si ha e' dunque quella di educare il consumatore facendogli apprezzare le diverse caratteristiche degli oli, spiegando loro perché un olio italiano o europeo o extra europeo sia migliore rispetto ad un altro. Le ricordo che in Italia si produce anche olio vergine di oliva oltre che tanto lampante. Per quanto concerne invece il " vietare" l'uso di immagini agresti dalle etichette beh forse dovrebbe pensare che non siamo solo noi italiani ad avere dei bei paesaggi di campagna.....inoltre per quanto concerne il nome delle città tipo Firenze o altro, non può certo impedire che aziende che imbottigliano in un certo stabilimento produttivo localizzato a Firenze dia un altro nome, magari di una città spagnola. La legge prevede che si indichi il luogo di confezionamento mi pare, per questioni di rintracciabilità oltre che per trasparenza. Buona festa della mamma a Lei, se lo e'. Grazie .

GIANLUCA RICCHI
GIANLUCA RICCHI
13 maggio 2012 ore 09:31

Un giorno qualcuno disse: "L'olio extra vergine di oliva è come una bella donna, non ha importanza la sua provenienza ed il suo Paese di origine,è bella"!
Caro Sig. Landini di Prato, il mondo sta cambiando il nostro Paese no. Invidio molto il Presidente della Coldiretti soprattutto per il suo compenso annuo, ma continuo a domandarmi come sia possibile che, in un mercato internazionale fatto di tanta competitività la nostra missione sia quella di auto distruggerci. Gli spagnoli sono increduli difronte a questa battaglia interna nel nostro bel Paese, si augurano ovviamente che si possa proseguire in questa direzione al fine di screditarci agli occhi del mondo e diventando loro i maggiori exportatori di olio di oliva. Questo stiamo facendo e a questo arriveremo. Viva l'Italia.

angela orsini
angela orsini
13 maggio 2012 ore 08:39

Mi scuso ma vorrei cercare di capire cosa c'entra la democrazia cistiana e la politica agricola comune con l'indicazione dell'origine sulle confezioni di olio extravergine. Dice Occhinegro.. cosa c'è di cui vergognarsi? Forse non bisogna far sapere che quell'odore di picual non è una caratteristica varietale di un oliva spagnola, ma quello di un oliva solo leggermente fermentata? Ribadisco, il consumatore comune che legge la free press per non pagare il quotidiano, perchè dovrebbe pagare 8 euro per una bottiglia di olio di oliva quando lo trova a 2,50 e nessuno gli spiega le differenze, tantomeno la pubblicità! Viva il tavernello ma viva anche il Brunello di Montalcino! Nell'olio viva la miscela di oli di oliva extracomunitari ma per favore dite agli imobittigliatori di togliere dall'etichetta le immagini rurali nonché la scritta Firenze in bella mostra.

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
13 maggio 2012 ore 00:37

Ho finalmente trovato un naif nella persona di Andrea Landini.
Non so quanti anni abbia Lei Sig. Landini, ma mio padre è stato quello che è andato ad avvisare l'on Ferdinando Truzzi che era stato eletto. Quindi la storia della Coldiretti la conosco benissimo. Non mi dirà che l'On Bonomi e l'On Truzzi, ambedue presidenti della Coldiretti (l'On Truzzi anche della Federconsorzi) non erano sodali della Democrazia Cristiana vero? Non mi dirà che la Coldiretti non faceva eleggere un centinaio di deputati proni al suo Comando? Lo è stato anche l'ineffabile On Scalfaro. Non mi dirà che da Lo Bianco in poi i presidenti della Coldiretti avevano in tasca la tessera del partito Comunista. La politica agricola italiana è sempre stata dettata dalla Coldiretti e ora ne possiamo constatare la lungimiranza all'incontrario. Lei personalmente potrà anche aver votato diversamente rispetto all'ordine di scuderia, ma sappia che è stato un'eccezione.
Lei mi dirà che la Democrazia Cristiana è finita 20 anni fa, ma non per questo la Coldiretti non ha avuto sempre l'ultima parola nel far nominare Ministri dell'agricoltura di suo gradimento. La Coldiretti è contro gli OGM e tutti i Ministri sono stati contrari agli OGM, non solo ma hanno legiferato in spregio alle regole comunitarie con provvedimenti da azzeccagarbugli.

Mi scusi, ma per lei produttore italiano, non sarebbe un bene che il consumatore italiano fosse informato se nella bottiglia vi è olio italiano o greco o spagnolo?
Non sarebbe anche più corretto che di molto dell'olio toscano si dicesse che è olio abruzzese o pugliese venduto come prodotto in Toscana? Mai fatto il conto di quanto olio si produce in Toscana e quanto se ne vende con questa origine? Al consumatore bisogna dare la massima informazione, poi sarà lui a scegliere, pensi che io che sono favorevole agli OGM obbligherei a dichiarare nell'etichetta di un alimento anche se vi è meno dello 0,9% di materia OGM. Sarà il consumatore a scegliere.

Andrea Landini
Andrea Landini
12 maggio 2012 ore 22:46

Caro direttore
Da produttore di olio in toscana vorrei anche io partecipare al dibattito che il suo articolo ha provocato.
Le confesso subito che sono un servo della Coldiretti, la quale mi ha così tanto plagiato, da farmi addirittura credere che sia mio interesse di produttore, difendere l’origine dell’olio che produco.
Leggendo Teatro Naturale apprendo invece che, per il bene della filiera olivicola italiana, è meglio che nelle manifestazioni come Cibus , dove si promuove l’eccellenza del made in Italy, l’olio sia di provenienza estera.
Credo che la sua testata sia matura per proporre la messa al bando dell’olio italiano, in fondo avete anche ragione, chi ve lo fa fare di promuovere l’olio italiano che viene prodotto da migliaia di piccole aziende italiane e che costa anche molto quando ci sono gli “oli Colavita, dove campeggiano bottiglie di extra vergini argentini, australiani, greci e di altri Paesi”.
Tra l’altro se le piccole aziende ( quelle che presidiano il territorio, che fanno prodotti spesso eccezionali, che rendono il settore agroalimentare italiano il più copiato al mondo) sono come dice Guidorzi “aziende invivibili, ma comunque funzionali a moltiplicare i cappelli gialli da portare in piazza, o da ammaestrare per il voto politico”, perché non proponete un esproprio forzato per le aziende che hanno meno di dieci ettari, potreste così ridistribuire migliaia e migliaia di ettari di terra a quelle poche grandi aziende che già oggi (perlomeno in Toscana) stanno mollando la filiera olivicola in modo da evitare di mettere in commercio l’olio italiano che può fare concorrenza, soprattutto in termini di qualità, agli extravergini Argentini Australiani o Greci che voi tanto amate.
Se la Coldiretti ha tanto seguito ed ha una voce così autorevole la ragione è solo una, si chiama RAPPRESENTANZA, se la maggioranza degli agricoltori italiani scelgono fra le tante organizzazioni che ci sono di tesserarsi per Coldiretti è anche giusto che la voce della organizzazione si faccia sentire, queste sono le regole della democrazia.
A proposito signor Guidorzi, mi saprebbe dire qual’ è l’indirizzo politico della Coldiretti, perché in tanti anni che la frequento non mi è stato mai suggerito di votare per un partito o per l’altro, forse sono stato ammaestrato male, se lei invece ne conosce il partito di riferimento la prego di dirmelo così da buon servo alle prossime elezioni saprò come votare.
Andrea Landini

massimo occhinegro
massimo occhinegro
12 maggio 2012 ore 22:12

Un articolo da incorniciare per ricordarlo. Che l'Italia sia importatrice netta di olio e' storia e forse anche preistoria. Se non ricordo male fu nel 1995 che l'Italia, per la prima volta nella storia vendette tanto olio di oliva alla Spagna che aveva subito un forte incendio. Ricordo che tutti erano contenti perché l'olio subì un'impennata mai vista pari all'equivalente di 5 euro al litro. Poi la Spagna fece un cambiamento strutturale che la porto'
Ad essere leader produttiva mondiale . Dopo di allora l'Italia comincio' ad arrancare ed oggi sempre di più . Quindi fatta questa premessa e' risaputo che ci troviamo a comprare olio da fuori o all'interno dell'UE o in aree extra UE. Quindi cosa aspettano i confezionatori che usano per necessita' olio di provenienza non italiana a dichiararlo in evidenza nell'etichetta? Tanto rebus sic stantibus le cose non cambiano, e' stato così quando si e' voluta l'origine ( per altri prodotti alimentari invece no) e lo sarebbe ancora qualora tutte le aziende su base volontaria lo facessero. Cosa c'è di cui vergognarsi?

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
12 maggio 2012 ore 17:12

"Secondo la Coldiretti" è ormai l'imprimatur di ogni notizia che riguardi l'agroalimentare italiano che passa sui media. Non so perchè Monti tenga ancora in piedi l'Istituto di Statistica l'INRAN e quant'altro, tanto vi è la Coldiretti, vi sono i suoi cappelli, le sue bandiere gialle ed il suo Presidente, che fanno tutto e sanno tutto.

Non sanno però che l'Italia è deficitaria per il 50% del suo alimentarsi. Di tipico in un prodotto italiano vi è rimasto solo il "savoir faire atavico" ( e meno male che ci è rimasto questo, che a mio avviso è la cosa più importante ), mentre per quanto riguarda la materia prima meglio non indagare (personalmente ritengo però che non sia basilare)

Spiego questo mio ultimo dire: Cosa c'è rimasto di tipico nel principe dei nostri prodotti immagine che è il Parmigiano-Reggiano? Vi è rimasto sicuramente il "savoir faire" dei nostri casari, mentre per contro le vacche non sono più della stessa razza di un tempo, i mangimi ammessi non hanno nulla di italiano (mais argentino o comunque americano e pure la soia è americana e per giunta OGM). Il fieno di erba medica non è prodotto totalmente in zona tipica (ho visto camion sloveni circolare per i mercati. Non per questo però il principe dei formaggi è scaduto di qualità.

Perchè la Coldiretti, che tanto aborrisce gli OGM, non ha creato una filiera soia italiana? Perchè la Coop, che tanto rompe nelle sue superfici commerciali con le filiere controllate, non ha convinto la Codiretti ad iniziare una filiera soia italiana sicuramenre OGM-free?

No alla Coldiretti interessa solo mantenere delle microaziende per incamerare quote associative (tante microaziende = tante quote associative) e appropriarsi sotto forma di competenze di parte degli aiuti comunitari dei suoi associati.

Volete una riprova di questo mio ultimo dire? Nel momento in cui si è parlato di vendere i terreni agricoli demaniali, il presidente dei giovani della Coldiretti (che dovrebbe essere, perchè giovane" più lungimirante) si è rallegrato perchè si potevano creare un tot di aziende agricole da assegnare ai giovani. Ebbene volete sapere quale sarebbe stata la superficie delle singole aziende agricole prefigurate? Ben 8 ettari! Cioè aziende invivibili, ma comunque funzionali a moltiplicare i cappelli gialli da portare in piazza, o da ammaestrare per il voto politico.

Sig Caricato quanti oliveti praticamente incolti, che producono olive pessime e che sono dichiarati e certificati biologici vi sono in Italia? Io dubito molti, ma dato che sono un pestaterra padano lo chiedo a Lei che forse me lo potrà dire? Grazie dell'ospitalità.

Romano Satolli
Romano Satolli
12 maggio 2012 ore 16:24

Come sempre, Luigi, hai fatto una descrizione della realtà e del servilismo dei media a certe sigle. Credo che jymmi Ghione non sia asservito, ma male informato si. In Italia c'e un appiattimento dell'informazione a determinati soggetti. Non perché io sia un dirigente nazionale, ma l'Unione Nazionale Consumatori, che da sempre ha difeso l'olio extra vergine (il suon fondatore, Vincenzo Donà, promosse e contribuì alla prima legge di tutela italiana) spesso non viene invitata nei talk show televisivi perché non fa demagogia. Infatti, quando denuncio' certi giochini che avvenivano nel gioco dei pacchi, solo Jymmi Ghione accetto' di intervistarlo per denunciare i, fatto, dopo che i Media nazionali più importanti si rifiutarono di farlo. Risultato? Venne estromesso dai controlli, affidati ad altre associazioni. La Coldiretti sta facendo il mestiere di un'associazione di consumatori anziché di una vera tutela dei propri iscritti. Sai che la settimana scorsa in Comitato vini voto' contro l'inserimento di certe zone del Comune di Asti, nella Docg del Moscato d'Asti?
Noi compriamo molte merci dall'estero, anche alimenti, soprattutto frutta, senza che nessuno si scandalizzi. Perché il consumatore non può comprare un olio spagnolo, o greco, o anche della Tunisia? Non sono bravi anche loro a produrre oli extra vergini? Hai ragione, le industrie devono avere più coraggio, non vergognarsi di dichiarare la provenienza degli oli anche non italiani. Più che nell'olio di oliva gli italiani dovrebbero dimostrare di essere meno esterofili quando acquistano le auto, gli elettrodomestici, quei beni che nella bilancia commerciale incidono ben più nelle importazioni di oli extra vergini.

angela orsini
angela orsini
12 maggio 2012 ore 12:41

.....Ecco, se tutte le aziende di marca dimostrassero un minimo di coraggio nell’uscire sul mercato con la provenienza degli oli ben in vista, i signori della Coldiretti la finirebbero una volta per tutte con le loro storielle smaccatamente ipocrite.....
Mi chiedo, ma perchè non lo fanno?
saluti

marco bignardi
marco bignardi
12 maggio 2012 ore 11:02

Leggo con grande soddisfazione che non siamo solo noi bio a percepire "eccessiva" la colonizzazione del mondo agricolo da parte della Coldiretti. Non solo l'informazione, ma la politica agricola italiana in generale è in mano a questa organizzazione, che nonostante la crisi riesce a mantenere un grande carrozzone che si alimenta con gran parte dei contributi che la Comunità Europea dovrebbe passare agli agricoltori e che resta invece in mano delle organizzazioni di categoria. Coldiretti con i suoi consorzi agrari, con le responsabilità del caso Federconsorzi e dei miliardi a questo legati, con i legami forti con la politica e coi i tanti suoi uomini messi negli anni sulle poltrone interessanti, riesce sempre, con anche grande capacità, a parlare a nome del mondo agricolo anche se questo magari non la pensa come lei. Ha cavalcato con intelligenza il lavoro di anni delle esperienze autogestite dei pionieri della multifunionalità, della filiera corta, dei mercati contadini, dei biologici, dei gruppi di acquisto, della vendita diretta negli spacci, senza mai appoggiare queste iniziative fino a quando una di queste non diventa "politicamente" interessante, a quel punto le fa sue, più per interessi personali che di categoria.

GIANLUCA RICCHI
GIANLUCA RICCHI
12 maggio 2012 ore 09:04

Complimenti Dott.Caricato.
Non le nascondo che dopo il servizio di Striscia la Notizia mi sono messo al computer e ho scritto loro una lettera con la speranza che non sia finita qui.E' davvero incredibile quello che le Imprese di categoria stanno vivendo negli ultimi anni e francamente credo sia diventato assurdo proseguire in questo cammino. Lei ha parlato di Carapelli,Sasso e Bertolli, aziende vendute in Spagna, le garantisco che non saranno le uniche, gli Imprenditori sono stanchi di questi continui attacchi ingiustificati da parte di tutti.Ricordiamo anche ai lettori,per dovere di cronaca,che l'Europa è pronta a deferirci qualora presentassimo la richiesta di aumentare la dicitura sull'etichetta.Siamo, come sempre, gli unici che pretendono questo.Quel decreto non è sparito al Ministero come è stato detto nel servizio. Questo non mi pare lo abbia detto nessuno. Grazie ancora Dott.Caricato, è sempre un piacere leggere i suoi articoli.

Vincenzo Lo Scalzo
Vincenzo Lo Scalzo
12 maggio 2012 ore 09:04

Luigi, ho cliccato in twitter. Visto che il box è ritornato ripeto la riflessione: la verità è valore e amore. E' nuda: Die Warheit ist nacht. Occorre ricominciare da tre, con pazienza. Anche sul tema dell'alimentazione del pianeta: dov'è il suo Cluster? Il tema si sta scaldando, anche nella fredda Milano, seppure con stanchezza. I Clusters sono raffigurati in isole di dibattito per Milano EXPO, nella edizione di Sette della settimana. Non vedo Olio. Elisabetta Soglio ha riproposto un servizio obiettivo, senza rancore, propositivo. Olio e Milano sono legate da iniziative storiche e di marketing importanti che ho scoperto nella ricerca della storia dell'olio fatta in occasione di Olio Officina Festival. E' un patrimonio storico del Mediterraneo, rilanciato dall'Italia, da Roma. Lo sa tutto il mondo. Eppure l'Italia se ne fa beffe! La non verità è sempre beffa, beffarda. Pare che se ne abbia vergogna e si lascia ...strisciare la notizia, se serve a fare luce e verità venga, come accadde l'anno scorso sugli additivi alimentari e sulle creatività gastronomiche. Alla fine abbiamo avuto un Ministero della salute che ha capito, perchè sapeva e ha osto rimedio alla speculazione d'ascolto, che alla fine si "è taciuta".