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L’alba e il suo contrario

Un viaggio nella memoria e nell’anima, tra sogni, allucinazioni, incontri disperati e amori appassionati. La scrittrice Elena Pigozzi ci invita a leggere Il quinto passo è l’addio, di Sergio Atzeni

30 ottobre 2010 | Elena Pigozzi



“Bocca aperta alle mosche, Ruggero Gunale guarda con occhi umidi e impietriti la città che si allontana”. Inizia così Il quinto passo è l’addio, romanzo di una delle voci più autentiche della narrativa italiana, Sergio Atzeni, scomparso prematuraturamente più di dieci anni fa, il cui valore e la cui opera meritano di essere ricordate e degnamente riconosciute.

“Bocca aperte alle mosche”, un settenario che cattura il lettore nell’incedere vorticoso quale è la storia di Ruggero, il protagonista, che “con gli occhi della memoria vola per i vicoli del paese dove ha vissuto”.

Eccolo, dunque, Ruggero dal ponte della nave diretta alla capitale, osservare la sua città, Cagliari, svanire all’orizzonte, fermare lo sguardo sui “bastioni pietrosi invalicabili a piede d’uomo, dove pendono chiome di capperi al vento, di un verde che ride.” E proseguire con i ricordi, i sogni, le speranze e le sconfitte di una vita.

Al ritmo di una prosa che si snoda come una ballata – “Altro non so/ che inanellare / parole / una poi l’altra / in fila / canticchiando / in blues” scriverà in una poesia; e del resto il “passo” del titolo rimanda a un ballo – inizia così il viaggio nella memoria e nell’anima, tra sogni, allucinazioni, incontri disperati e amori appassionati, che porteranno Ruggero ad allontanarsi dalla sua terra, la Sardegna, così come da se stesso, per una meta che niente ha dell’arrivo, benché meno del traguardo, mentre invece si prefigura quale ulteriore fuga e ulteriore viaggio.

Due i registri narrativi che si impastano dando alla storia di Ruggero profondità e spessore. Il comico-grottesco e il lirico-epico: due piani che, grazie all’intreccio sapiente e fermo di chi il mestiere lo conosce e lo impiega con l’autenticità di scrittore davvero necessario, arricchiscono di sfumature e penombre la vicenda di Ruggero, oltre che fornire al racconto una velocità che disorienta e al tempo stesso incanta.

Di qui, i passaggi da un registro all’altro, che Atzeni modula con la sapienza di un antico rapsodo, non si sciolgono mai in artifici retorici, mentre invece trasmettono al lettore – grazie all’andamento paratattico della frase – il ritmo di un racconto orale antico e insieme universale.

Chi è, allora, Ruggero, se non l’espressione di un disagio non solo individuale, ma generazionale, di un disorientamento che affanna l’uomo alla ricerca di una libertà e di uno spazio di felicità? Chi è, allora, Ruggero Gunale se non un altro inetto? Un altro da inserire nell’elenco degli inetti che la letteratura italiana (e internazionale) del Novecento ha prodotto così numerosi negli ultimi anni.

Senza cedere mai ad artifici retorici, ma regalando immagini dense di rimandi e di suggestioni, - grottesche, oniriche e liriche – Sergio Atzeni racconta un viaggio che avviluppa e toglie il fiato anche dopo aver chiuso il romanzo. Quando dal ponte della nave accanto a Ruggero si scorge l’alba, ma anche il suo contrario.



Sergio Atzeni, Il quinto passo è l’addio, Ilisso 2001, Mondadori 1995
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