Italia

Non per vendere ma per far vendere

Faccia a faccia col neo Presidente dell'Associazione nazionale Città del Vino. Giampaolo Pioli, sindaco di Suvereto, è un accanito e ostinato fautore della tipicità e del legame col territorio ma dice no al tradizionalismo conservatore

07 novembre 2009 | Alberto Grimelli

Giampaolo Pioli, sindaco di Suvereto, nella magnifica cornice della Val di Cornia, sulla rinomata Costa degli Etruschi in provincia di Livorno, è il nuovo Presidente dell’Associazione nazionale Città del Vino.

Lo incontriamo per capire se questo cambio al vertice porterà sconvolgimenti, cambi di rotta o si proseguirà nel solco già tracciato.

“La mia idea – ci risponde immediatamente Pioli – è un ritorno al passato per Città del Vino, un ritorno alla mission originaria. Città del Vino è nata per far dispiegare le ali al settore vitivinicolo attraverso un’azione incisiva da parte dei piccoli Comuni che la compongono e che offrono, e possono offrire, le migliori condizioni e il migliore contesto economico e sociale affinché si sviluppi una solida imprenditoria vitivinicola nei loro territori.”

Un obiettivo raggiunto se si pensa che da un’indagine condotta proprio per Città del Vino, i Comuni con il tessuto rurale più sviluppato sono quelli aderenti all’Associazione. Attraggono più investimenti, più tecnologie (vedi banda larga), vi è più rispetto del territorio, minore dissesto idrogeologico.
Verrebbe quasi da pensare che la mission di Città del Vino si sia esaurita.

“Magari – risponde Pioli – le esigenze cambiano. Spesso ci si dimentica che dietro le aziende agricole ci sono famiglie e occorre fornire loro servizi, dall’asilo ad altri mille attività, che pesano enormemente sui bilanci dei piccoli Comuni. Lo ripeto, per attrarre risorse e investimenti occorre creare il giusto contesto, che non sono solo feste, sagre e promozione, bisogna pensare anche alla vita quotidiana di chi vive in campagna.”

L’Associazione tornerà quindi prepotentemente a bussare cassa a Roma?

“Non si tratta solo di soldi – ci interrompe subito Pioli – anche se i bilanci dei piccoli Comuni sono ridotti veramente all’osso. Alle volte le istituzioni centrali dovrebbero offrire il supporto legislativo per permetterci di operare e salvaguardare il nostro patrimonio: la campagna. Presto pubblicheremo una revisione del piano regolatore delle Città del Vino. Può sembrare un progetto astratto, in realtà fornisce suggerimenti e indicazioni, forniti da esperti di livello nazionale, alle amministrazioni locali che non avrebbero le risorse per accedere a questi saperi.”



Non si rischia di cadere nell’autoreferenzialità e nel presenzialismo?

“E’ assolutamente lecito, anzi utile, che i piccoli Comuni vitivinicoli facciano azione di lobbing uniti – replica Pioli – singolarmente possiamo venire ignorati, insieme rappresentiamo una forza che deve essere presa in considerazione. Insieme abbiamo ottenuto di sederci al tavolo della Commissione sul turismo enogastronomico istituito dal Ministero del Turismo. Insieme critichiamo l’Ocm vino che con l’espianto libero può creare problemi paesaggistici e idrogeologici.”

Città del Vino sarà una struttura a metà tra una froza politica e un’associazione di categoria.

“Niente di tutto questo – dice Pioli – siamo un gruppo, bipartisan, preoccupato per lo sviluppo del proprio territorio che vuole dialogare con i produttori senza sostituirsi ai loro organi di rappresentanza. Dialoghiamo con loro su un altro piano per collaborare a far crescere il territorio e di conseguenza l’economia locale e il fatturato, senza volerci però sostituire agli imprenditori. Il nostro compito non è vendere ma mettere loro nelle migliori condizioni affinché vendano di più e meglio.”

Il dialogo tra vitivinicoltori e Città del Vino non è stato sempre quieto. A volte appariva uno scontro tra tradizionalisti e innovatori.

“E’ naturale, ma sbagliato, per gli amministratori voler arroccarsi sulle tradizioni, su un conservatorismo sterile – afferma Pioli – d’altro canto è anche errato considerare il territorio qualcosa che si può modificare, plasmare, cambiare a seconda del vento, del trend economico o agronomico. Gli imprenditori vitivinicoli devono capire che si salveranno solo ancorandosi ancor di più alla tipicità e al territorio ma gli amministratori locali devono lasciare spazio all’innovazione.”

L’Associazione si limiterà solo a una comunicazione trilaterale con le istituzioni centrali e con i produttori? Gran parte delle energie un tempo erano spese per la comunicazione e la promozione.

“Così sarà anche in futuro – replica Pioli – ma con un cambio di strategia. Perché anziché portare i nostri produttori nel mondo non facciamo arrivare il mondo dai nostri produttori? In alcune aree la vendita diretta rappresenta già il 20% del fatturato per le aziende. In più il turismo enogastronopmico offre un vantaggio d’immagine che non è immediatamente quantificabile in incassi ma che dà buoni frutti.”

Crisi permettendo, con l’aggiunta delle severi leggi sull’uso di alcol, gli allarmismi sull’abuso da parte dei giovani.

“L’anogastronomia sta divenendo traino del nostro turismo – conclude Pioli – perché non agganciarci? Quanto all’abuso la posizione dell’Associazione è chiara. Siamo per un consumo responsabile anche se ho sempre considerato poco efficaci le campagne basate sul messaggio “bevi meno, bevi meglio”. Troppo predicatorie e cattedratiche. Preferisco altre iniziative: ricostruire, a partire dalle scuole, un modello culturale e di vita più sano e meno spregiudicato. Vi sono poi altre iniziative utili. Partendo dal basso. A Suvereto, nel corso della scorsa edizione di Calici di Stelle, abbiamo invitato la Polizia Stradale che, al proprio stand, eseguiva il test alcolimetrico. Ne è risultato che i due bicchieri di vino, dopo una normale cena, non facevano superare il limite di legge. Un messaggio chiaro che cancella, in un colpo, certi messaggi allarmistici che troviamo sui media.”

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