Italia

Con la Gdo l’olio ha spiccato il volo, ma le promozioni lo fanno volare basso

A "Extra", a Bari, si è discusso sul futuro del settore. Le uniche speranze per un'equa remunerazione vengono solo dall'export. Per uscire dall'impasse, il presidente di Federolio Forcella auspica le Igp regionali

08 novembre 2008 | Luigi Caricato



Le fatiche dei produttori sono in pochi a comprenderle. E questo è un dato di fatto. Lo si è scoperto anche a Bari, nel corso della manifestazione "Extra", svoltasi presso la Fiera del Levante dal 3 al 5 novembre.

I dati di fatto non si possono smentire. E non sono soltanto percezioni, sono fatti concreti, che i volti degli operatori fanno trapelare.
Ma veniamo al punto centrale della questione. Vale ancora la pena mettersi a raccogliere le olive? Il mercato premia, appaga, soddisfa?

Non siamo ottimisti per natura, ma siamo abituati a guardare in luce positiva il futuro. Tuttavia, a Bari si è respirata un'aria buona ma nel medesimo tempo le parole era dei fendenti.

Iniziamo da Gennaro Forcella, il presidente di Federolio, il quale, intervenendo in pubblico durante il convegno sulle sfide dell'olio extra vergine di qualità nella distribuzione moderna, ha dichiarato senza mezze misure che l'Italia "è rimasta ferma agli anni Cinquanta e Sessanta". Non è un giudizio tranquillizzante, però una soluzione viene tracciata: "Anziché fare tante Dop, visto che sul mercato pesano poco, perché non fare piuttosto delle Igp regionali. Puglia, Sicilia, eccetera. Sarebbe più conosciuto l'olio, il mercato lo premierebbe volentieri".

Le riflessioni del presidente della Federazione nazionale del commercio oleario sono emerse quando la critica più feroce e destabilizzante la pronuncia Sergio D'Oria, dall'alto della sua esperienza maturata nel tessuto produttivo della Puglia. D'Oria quando interviene parla da consigliere di BuonItalia Spa, quindi nelle vesti di una figura istituzionale. E' investito dall'autorità del ruolo. Per lui l'extra vergine è sotto assedio e le Dop non risolvono i problemi.

Ma la miccia più terribile l'accende, seppure in modo pacato nei toni, ma destabilizzante nelle affermazioni, Mario Cifiello, consigliere delegato commerciale di Coop Italia. Per intenderci, non è che apre con una visione negativa, anzi. Afferma che "l'italianità degli oli è un valore insostituibile".
E infatti parlando dell’esperienza della Coop, svela che “essere radicati sul territorio significa avere una presenza forte. L’olio italiano vince nelle scelte dei consumatori, l’unica barriera semmai è il prezzo. Mica una questione da poco. Il massimo che il consumatore è disposto a spendere per un extra vergine è sei euro! Si capisce bene come vada la storia. Il fatto è che l’eccesso di promozionalità non aiuta. Ovvero ha aiutato nel veicolare e orientare i consumi verso l’olio extra vergine di oliva, ma ha reso questo prodotto pur così pregiato, un prodotto civetta.

“Perché succede questo? Di chi è la colpa? Industria, Gdo, consumatori? Non lo so”. Già, Cifiello dichiara di non saperlo. “Occorre pèrenderne atto”, dice. E insite, scendendo nei particolari: “Sul conto economico chiuderei i libri, difficilmente ci fa stare in pari l’olio extra vergine di oliva”. Senza promozione, l’extra vergine resterebbe al palo. Un prodotto da èlite. E’ la promozione a spingere i consumi.

Il futuro? Secondo Cifiello “non sarà radioso, si attende un anno di recessione e di arretramento nei consumi”.
Le soluzioni per fronteggiare la crisi? “Cercare il miglior equilibrio tra qualità e prezzo. In Coop ogni quattro mesi cerchiamo di capire cosa stia succedendo. L’errore più grande in cui chiunque può cadere è di pensare che la qualità non sia più un riferimento. Non è così. Occorre combattere e stringere i denti fino in fondo, ma la qualità deve rimanere come obiettivo da cui non si può prescindere. Da questa crisi – prosegue nella sua analisi Cifielllo – si può perfino uscire più forti. Non bisogna desistere: occorre puntare a una qualità che sia la più alta possibile con un prezzo che sia il più basso possibile”.
Insomma, a conti fatti non c’è da stare allegri.

Un po’ di ottimismo, ma non sappiamo quanto poi efficace, lo annuncia Cristina Goria, responsabile acquisiti di Eataly, proponendo la sua struttura come luogo antimodello per distribuire prodotti di qualità. Sì, ma anche qui l’olio non è che decolli. Su 22 milioni di euro di fatturato del 2007, l’incidenza del reparto oli è ferma al 2,3%, seppure nel 2008 ad oggi si registri un incremento del + 0,3%. “Occorre insistere sulla comunicazione”, ha precisato la Goria; non solo: “non occorre mai cedere sulla qualità offerta”, e poi: occorre abolire la parola nicchia, mantenendo sempre una promessa di prezzo sostenibile, rendendo il prodotto più democratico”. Già, alla fine è sempre una questione di prezzi, in fondo.

Quando si tocca l’argomento del sottocosto, osservando che la legge non è che venga poi osservata dalle varie catene di distribuzione, Cifiello osserva che tale legge parte da un concetto di fondo sbagliato. Sarà, intanto però se le varie catene si mettessero d’accordo sugli oli, nel cercare di favorire una loro buona tenuta dei prezzi, si potrebbe evitare di metterlo in promozione, di fatto svilendolo. Ma, è sempre Cifiello a chiarire: alla fine il vero nodo cruciale, dice, “è la mancanza di cultura di prodotto, e forse non è stata ancora del tutto affinata la capacità di parlare al consumatore”. Una dura stoccata, come se la Gdo non avesse responsabilità. Per Cifiello è facile dire la qualità più alta al prezzo più basso. Proviamolo a proporre ai produttori, già afflitti dagli alti costi di produzione.

La questione di fondo non si può smuovere. La giusta remunerazione è possibile averla solo all’estero, con l’export che finora ancora un poco premia, ma, chissà, con gli sviluppi di questa grave crisi internazionale cosa accadrà?

Intanto Wollfang Bach (che nome originale!), responsabile sviluppo prodotto e marketing dell’impresa L’Agricola, riferendosi alla Gdo tedesca e inglese, offre a tutti un consiglio: “Cercate – dice – di approfondire la qualità anche in funzione del prezzo più conveniente”. E per rincuorare gli animi aggiunge: “La qualità è l’unica valuta che paga nel settore dell’olio”.

Sì, ma, avete inteso? La qualità al prezzo più basso! E questo che la Gdo vuole (ma non è una novità).
D’accordo – si dirà: abbattere i costi si deve, ma, attenzione, non è che gli olivicoltori debbano per questo diventare i nuovi schiavi.
C’è qualcosa che non convince in tutte queste dichiarazioni.

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