Italia

Il rebus oleicolo dell’estate. Chi acquisterà Bertolli?

Unilever ha messo in vendita il settore olio d'oliva e con esso un marchio leader. E’ partito il toto acquirenti che, per ora, vede in vantaggio un gruppo italiano

21 giugno 2008 | T N

Era da tempo che si sussurrava che la multinazionale Unilever avesse intenzione di abbandonare il settore olio d'oliva, considerato poco remunerativo.
Insieme a Bertolli sono in vendita anche le collegate confetture Santa Rosa e i marchi Dante e San Giorgio e Maya. Il progetto di vendita assume così la connotazione di una fuga dall’Italia della compagnia anglo olandese.

Assai timidi i tentativi dei vertici Unilever di smentire la notizia: “Bertolli non è in vendita è un brand solidissimo e nel quale crediamo fortemente. L’intenzione è invece quella di trovare un partner strategico in grado di mettere l’azienda nella condizione di crescere nella direzione di uno sviluppo a lungo termine che garantisca continuità occupazionale”.
Dichiarazione tattica studiata per dimostrare che Unilever non ha fretta, non vuole svendere Bertolli che oggi ha un valore di 600-700 milioni di euro.
Unilever, inoltre, ha manifestato l’intenzione di non voler abbandonare il settore delle salse, dei sott’oli e dei sottaceti, avendo dunque necessità di un acquirente collaborativo, con cui instaurare rapporti di collaborazione per il reperimento delle materie prime.

Da che Unilever ha annunciato, de facto, la vendita di Bertolli, all’inizio di maggio, i contatti si sono moltiplicati, anche se è da diversi mesi che la diplomazia commerciale è al lavoro.
Sono molti i nomi circolati.
Prima la società portoghese Nutrivest, attiva nel settore degli oli di semi e che voleva sbarcare nel comparto degli oli di oliva.
Tramontata questa ipotesi, il nome più accreditato per l’acquisizione è stato quello della onnipresente Sos Cuetara, la spagnola già proprietaria della Carapelli. Un possibile ricorso all’antitrust per eccesso di posizione dominante ha frenato le ambizioni iberiche che ora sono alla finestra, in attesa di eventi.
Si è anche affacciata una pista italiana, quella della Monini che ha fatto sapere pubblicamente di essere disposta a entrare in una cordata nazionale per Bertolli.
Nelle ultime settimane, tuttavia, è la lucchese Salov dei fratelli Fontana ad aver avviato trattative più concrete tanto da dare addirittura per imminente un possibile accordo.
Nulla, comunque, è ancora deciso e non possiamo escludere clamorosi colpi di scena, anche se Salov, al momento, appare nettamente favorita.

In gioco c’è il brand leader del mercato italiano con una quota del 15%, seguito da Carapelli, dai private label, da Monini, Farchioni e via via tutti gli altri.

Non potremo che essere felici se Bertolli tornasse in mani italiane, non perché non riteniamo che altri possano gestire proficuamente questo brand, ma perché consideriamo strategico, per il futuro oleicolo del nostro Paese, mantenere know how e una classe dirigente legata a questo comparto.
Oggi i blend di oli studiati e realizzati in Italia sono esportati con successo in tutto il mondo ed è nelle sedi italiane dei vari marchi leader di mercato che si definiscono piani e strategie.
Non tutti i gruppi agroalimentari esteri hanno tuttavia sempre rispettato pienamente l’italian style, oltre che i nostri dirigenti, alcuni hanno considerato i nostri marchi come grimaldelli con cui aprire le porte di nuovi mercati. Un atteggiamento piratesco che può dare buoni frutti all’azienda acquirente ma che può distruggere l’immagine di un intero Paese, faticosamente costruita negli anni, nei secoli.

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