Italia

LA COMMISSIONE UE SVENDE I VINI EUROPEI. LA VOCE DELLA PROTESTA

Dopo il "primo piano" dedicato la settimana scorsa alla spinosa questione sul futuro delle denominazioni di origine, ospitiamo un documento congiunto delle più rappresentative organizzazioni del settore vitivinicolo italiano, unite per una battaglia comune contro l'irragionevolezza

14 febbraio 2004 | T N

Che fine ha fatto di quella idea di riforma che avrebbe dovuto indicare il nuovo iter di sviluppo per il nostro vino europeo?
La Commissione Ue ha deciso di modificare il Regolamento n.753/02 che disciplina le indicazioni che si possono apporre sull’etichetta dei vini, proprio in quella parte che dovrebbe invece tutelare alcune delle nostre produzioni più famose.
Questo nonostante il voto contrario, nel Comitato gestione vino di Bruxelles, dei principali Paesi produttori: Italia, Francia, e Spagna. Ma proprio per questo ci sentiamo maggiormente derubati. In pratica, con la nuova impostazione gli elenchi dei termini che si possono utilizzare per indicare sull’etichetta di un vino il metodo di produzione, di invecchiamento, o una particolare qualità, colore e luogo di produzione non sono più tutelati da possibili usurpazioni di produttori extra-europei.

A tutt’oggi, il regolamento prevede due liste: nella lista B del Regolamento sono elencate 17 denominazioni e indicazioni geografiche italiane, tra cui Amarone, Brunello, Gutturnio, Recioto, Sforzato, e il cui utilizzo è strettamente riservato ai soli vini italiani, nella lista A, invece, sono comprese 50 menzioni italiane tra le quali Classico, Cacc’e mitte, Fine, Passito, ecc., che godono però di una protezione meno forte, e potrebbero essere utilizzate a determinate condizioni anche da produttori stranieri.

Ma cosa verrebbe modificato con questo ultimo atto di Bruxelles?.
Intanto, le due liste vengono unificate e quindi i termini presenti nella lista B d’ora in avanti non saranno più di esclusivo uso dei produttori di quella specifica zona di produzione.
Inoltre, tutte le menzioni dei vini europei presenti in tale lista potranno essere utilizzate da un Paese extraeuropeo: sarà sufficiente che il proprio vino sia conforme alle regole vigenti in quella nazione affinchè possa scrivere in etichetta le nostre terminologie e quelle degli altri Paesi europei, compresa la Francia. Ad esempio, potrebbe essere permesso ai vini australiani o cileni l’uso in etichetta di nomi di fantasia che riprendono le terminologie dei nostri vini più famosi, generando possibile confusione nel consumatore.

Ma c’è di più: mentre i vini italiani e comunitari, per utilizzare tali menzioni, devono sottostare alla rigidissima normativa dei V.Q.P.R.D europei, nella modifica che si vuole imporre viene addirittura riconosciuta la possibilità per un vino non europeo di scrivere in etichetta delle indicazioni che potrebbero essere autorizzate e gestite dagli stessi gruppi di produttori, con l’evidente pericolo che nessuno potrà controllarne la veridicità e la fondatezza.

Siamo al paradosso! Non solo, dunque, liberi di vendere nei nostri mercati vini sottoposti a lavorazioni vietate in Europa, ma da ora liberi di usurpare il nostro patrimonio produttivo di elevata qualità, che il consumatore del mondo intero ha imparato a riconoscere attraverso le menzioni riportate in etichetta.
Ci troveremo quindi di fronte all’assalto dell’enopirateria internazionale!
Teniamo conto che già oggi , secondo una indagine Nomisma, solo negli Stati Uniti il mercato dei vini di imitazione del made in Italy è quasi uguale a quello è quasi uguale a quello delle nostre esportazioni : in altre parole, è “falsa” un bottiglia su due e si incontrano bottiglie di Chianti, Sangiovese, Barbera “rosè” e via dicendo con “origine” Napa Valley o Sonoma County.
Malgrado i notevoli sforzi del nostro Ministero delle Politiche Agricole, sul patrimonio vitivinicolo italiano (ed europeo) grava una reale minaccia proveniente proprio da quel sistema di governo Comunitario che dovrebbe invece tutelarci.
Le motivazioni addotte dalla Commissione, e cioè la preoccupazione che i paesi Extraeuropei possano sollevare obiezioni al in sede di Negoziati WTO, non sono sufficienti a giustificare questa “svendita” preventiva.
Ci sembra proprio che, in una Europa che ormai non è più costituita da una maggioranza di paesi produttori di vino, qualcuno abbia deciso che ci sono cose più interessanti che la tutela di un patrimonio produttivo e culturale unico al mondo, che costituisce una insostituibile fonte di reddito per milioni di agricoltori europei e da vita ad una filiera agroindustriale che dà un fondamentale apporto di valore all’economia comunitaria .

Pertanto, tutte le Organizzazioni del settore vitivinicolo italiano si ritrovano unite a pochi giorni dal voto di Bruxelles, nel ribadire con forza il totale rifiuto verso le posizioni che la Commissione Ue sta assumendo per il futuro del settore vitivinicolo nazionale ed europeo.

Roma, 4 febbraio 2004
Anca/Legacoop Assoenologi Cia Coldiretti
Confagricoltura Confcooperative
Federdoc
Federvini Unione Italiana Vini

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