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Il futuro dell'olio di oliva italiano passa dalla sostenibilità

Il futuro dell'olio di oliva italiano passa dalla sostenibilità

La filiera olivicola viene considerata già a ‘scarto zero’ ma soltanto il 15% dell’oliva che si trasforma in olio viene utilizzato. La gestione dei sottoprodotti non deve essere un costo

13 settembre 2024 | Giosetta Ciuffa

Presentato in Confagricoltura, a Roma, il Manifesto della produzione olivicola sostenibile di Costa d’Oro: un percorso di sviluppo chiamato “Planet O-live” che grazie a agronomi, tecnologi ed esperti e nell’ambito di una Academy mira a “diffondere la cultura della sostenibilità ambientale, sociale ed economica e ad affrontare le sfide della filiera con l’approccio delle tre C: conoscenza, condivisione e crescita”, come ha annunciato Pascal Pinson, direttore generale dell’azienda spoletina: “Conoscenza poiché molti olivicoltori potrebbero non avere accesso a determinate informazioni; condivisione perché si fa rete e l’intento è la crescita di tutta la filiera, e senza distribuzione equa anche economica non c’è crescita”. Il progetto vuole promuovere un know-how e “con la Planet O-live Academy fanno sistema vari mondi: università, associazioni di settore, agricoltori e frantoiani. Insieme per codificare tutte le migliori pratiche di produzione sostenibile in un Manifesto da divulgare al maggior numero possibile di olivicoltori”.

Induce a una riflessione sull’effettiva valorizzazione della filiera olivicola Maurizio Servili, docente del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università di Perugia, dopo una prima osservazione sul fatto che i costi di produzione più alti rispetto all’estero e il maggior numero di cultivar al mondo ci ‘condannano’ alla biodiversità e a produrre qualità (“Se non ho cv biodiverse non avrò oli biodiversi e questo ce lo consente solo la genetica”). “La filiera olivicola viene considerata già a ‘scarto zero’ ma soltanto il 15% dell’oliva che si trasforma in olio viene opportunamente utilizzato e l’inefficace gestione dei sottoprodotti diventa addirittura un costo. Questo, appunto, scarto è smaltimento, non valorizzazione: nocciolino, sansa, biometano sono valorizzazione? Il digestato chi se lo riprende? Dove sono gli stabilimenti perché siano trattati e valorizzati? Dove sono le centrali a biogas?”. Iniziare chiamandoli quindi sottoprodotti o coprodotti, non prodotti di scarto. Le acque di vegetazione contengono il 50% di polifenoli, l’oliva solo il 3% e quella percentuale ha già un possibile percorso di valorizzazione.

“Far dialogare gli attori della filiera, condividere esperienze e soluzioni. Questa è la missione che anima la Planet O-live Academy – dice Luca Sebastiani, docente dell’Istituto di Produzioni Vegetali della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa - Un progetto molto stimolante, perché mette in contatto i protagonisti della produzione olivicolo-olearia. Apprendere come un agricoltore vede la produzione e vive i problemi che affronta quotidianamente è per noi tutti un incentivo in più per focalizzare l’attenzione sugli aspetti che vanno approfonditi. Questo rende la ricerca scientifica più vicina alle necessità degli olivicoltori. Se le storie di Academy attireranno l’attenzione, proponendo soluzioni concrete, sarà per noi un grande successo, perché desideriamo produrre qualcosa che anche altri imprenditori agricoli possano utilizzare in maniera proficua”.

Le testimonianze degli olivicoltori coadiuvati dall’agr. Sebastiani in questa prima fase sono due: quelle di Pierluigi Taccone dell’omonima azienda agricola e di Sabina Cantarelli e Pier Riches dell’azienda agricola di Montemelino. Il primo descrive come la minor produzione dovuta al passaggio alla concimazione mediante presidi organici sia stata compensata dalla maggior qualità, in terreni nella piana di Gioia Tauro storicamente vocati alla produzione di olio lampante (15mila le piante di olivo tradizionale, 25mila di intensivo ma anche la sperimentazione di un ettaro di superintensivo). Sul Trasimeno invece Montemelino in biologico coltiva seimila olivi con cv autoctone e un superintensivo con mille piante per ettaro (cv Favolosa, Don Carlo, Giulia). L’obiettivo per Cantarelli e Riches è stato abbattere i costi di potatura e raccolta per non pesare troppo sul consumatore finale.

“Abbiamo condiviso il progetto che ha portato alla redazione del Manifesto della produzione olivicola sostenibile e partecipato alla stesura grazie all’esperienza di prestigiose aziende e al lavoro dei tecnici agronomi delle nostre sedi – conclude il presidente della Federazione Nazionale Olivicola di Confagricoltura, Walter Placida - Apprezziamo il metodo scelto da Costa d’Oro, che parte dalla condivisione delle esperienze e delle soluzioni, e collaboreremo per lo sviluppo futuro, anche commerciale, dell’intesa”.

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