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Abbandonati 25mila ettari di oliveto nell'Italia centrale

Abbandonati 25mila ettari di oliveto nell'Italia centrale

Un allarme e un'opportunità per l'Italia olivicola che ha visto decrescere il suo potenziale produttivo nel tempo, con il 10% dell'olivicoltura in Italia centrale in stato di abbandono

14 giugno 2023 | T N

Con i suoi 207mila ettari tra Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e Molise che rappresentano il 21% del totale olivicolo nazionale, l’olivicoltura delle regioni appenniniche italiane può contribuire al rilancio della produzione nazionale. Sarebbe sufficiente il ritorno alla piena efficienza produttiva di almeno 25.000 ettari di oliveti, attualmente in condizioni di totale abbandono o con una gestione non ottimale presenti nelle regioni dell’Italia centrale. Si stima che solo in Abruzzo 5.000 ettari di oliveti potrebbero essere oggetto di un piano di ristrutturazione e di riconversione tale da aumentare la produzione media annuale del 40% nel giro di 5 anni.

Sono queste le riflessioni emerse durante il convegno che si è svolto a Casoli, in provincia di Chieti, dedicato al tema della competitività e resilienza dei sistemi olivicoli tradizionali dell’Appennino, organizzato dall’Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio.

La perdita del 10% del potenziale produttivo olivicolo dell'Italia centrale è, al tempo stesso, un allarme e un'opportunità. Un allarme perchè bisogna comprendere le ragioni dell'abbandono degli oliveti e intervenire su tali fattori che sono molteplici, dalla polverizzazione aziendale, alla vetustà dei proprietari fino alll'antieconomicità della gestione. Un'opportunità perchè intervenendo su tali fenomeni e incentivando la ripresa produttiva di questi oliveti, così come l'ampliamento della base produttiva in altri territori, l'Italia può riprendere almeno il secondo posto nella produzione di olio di oliva a livello europeo, mediterraneo e mondiale.

Nel 2022, il tasso di autoapprovvigionamento ha raggiunto il minimo storico, in quanto la produzione nazionale ha coperto appena il 48,2% del consumo. Le importazioni hanno raggiunto il massimo di sempre con 2,2 miliardi di euro e si sono attestate ad un livello superiore al valore delle esportazioni che sono state pari a 1,9 miliardi di euro.

Nel convegno di Casoli sono state affrontate problematiche tecniche, agronomiche e commerciali dei sistemi olivicoli caratterizzati da spinta frammentazione fondiaria, da localizzazione prevalente in aree diverse dalla pianura irrigua, da un elevato valore paesaggistico ed ambientale e composti prevalentemente da varietà autoctone. La sfida per il prossimo futuro sarà quella di puntare sulla riconversione e ristrutturazione degli impianti, favorendo la meccanizzazione, l’incremento delle dimensioni delle aziende olivicole, la razionalizzazione delle operazioni colturali ed un’attenzione costante al miglioramento qualitativo, puntando sulle varietà tipiche del territorio.

Le condizioni per la diffusione sul territorio di modelli aziendali di successo non mancano. L’olivicoltura delle colline appenniniche presenta abbandonati superfici e un patrimonio di varietà ad alto valore commerciale. Sarà determinante cogliere le opportunità provenienti dalla riforma della Politica Agricola Comune, con gli eco-schemi e l’architettura verde, dalla strategia ‘Farm to Fork’ con la spinta verso sistemi produttivi sostenibili e il Pnrr con misure di sostegno specifiche come quella per il rinnovamento dei frantoi oleari. Uno scenario su cui innescare un percorso virtuoso per una nuova e moderna imprenditorialità olivicolo-olearia che sappia cogliere le dinamiche di mercato, tra interesse per la qualità e la distintività delle produzioni, per garantire una maggiore redditività nella filiera e un futuro roseo per il comparto.

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