Italia

L'utopia di una filiera unita per l'olio extra vergine d'oliva di qualità

Facile per un certo mondo della produzione etichettare la categoria degli industriali come “sfruttatori”, sempre e comunque. Stesso discorso vale per i confezionatori che spesso preferiscono evitare rapporti diretti con i produttori e con i loro rappresentanti per legarsi piedi e mani con gli intermediari

20 marzo 2019 | Elia Fiorillo

Quando partecipi ad un convegno come relatore puoi correre il rischio di parlare a te stesso più che agli altri. Nel senso che t’innamori a tal punto del tuo “dire” che l’uditorio scompare, non esiste più. Nel tuo immaginario ci sei tu che declami e… basta. Così si spiegano certe “relazioni” a senso unico, che non tengono in alcun conto delle reazioni del pubblico che dovrebbe ascoltare e capire quello che viene detto. Ma spesso c’è un gioco delle parti tra chi parla e chi dovrebbe ascoltare. Anche il pubblico è lì per presenziare, per far un piacere a qualcuno, più che seguire il dibattito. Insomma, più che un momento d’apprendimento, di riflessione, il “convegno” si trasforma in una sceneggiata napoletana.

Ho avuto questa sensazione mentre aspettavo il mio turno per parlare dei benefici salutistici dell’olio extravergine d’oliva ad un’iniziativa promossa dalla Lega italiana per la lotta contro i tumori. E, allora, più che declamare in modo scientifico ed appropriato, sono passato alle provocazioni. Ho raccontato la storia di Poppea Sabina, che fu la seconda moglie dell'imperatore romano Nerone, che ad Oplonti – oggi Torre Annunziata in provincia di Napoli –, puntualmente faceva il bagno nell’olio d’oliva per la cura della pelle. Eppoi, ho ricordato dei tanti recipienti trovati a Pompei pieni d’olio di oliva, segno che i pompeani ne facevano un uso alimentare, non solo per curarsi il corpo. La provocazione ha funzionato. L’uditorio comincia a sorridere e, allora, mi spingo a raccontare che l’olio extravergine d’oliva non può essere definito un condimento, ma è a tutti gli effetti un alimento dei più salubri. Parlo delle sostanze antiossidanti, i fenoli, che l’extravergine contiene e che prevengono le malattie cardiovascolari e che abbassano il livello di colesterolo nel sangue. Mi soffermo sulla vitamina E di cui è ricco l’Evo, che ha una funzione anti invecchiamento della pelle. C’è poi lo squaleme che combatte i tumori della pelle. Ci sono i polifenoli che danno all’olio un sapore piccante ed amaro: tutta salute.

Insomma, tre cucchiai d’olio extravergine d’oliva al giorno… “levano il medico di torno”. Ma non bisogna esagerare. Se i cucchiai diventano quattro o più il colesterolo sale.

L’Italia non è seconda a nessun altro paese in fatto di qualità dell’olio extravergine di oliva. Bisogna però che la facciamo finita con le divisioni ed i sofismi strumentali finalizzati ad evitare confronti, dialoghi, assunzioni di responsabilità. È più facile per un certo mondo della produzione etichettare la categoria degli industriali come “sfruttatori”, sempre e comunque. Più difficile è confrontarsi con loro e provare a ragionare tenendo in conto il loro punto di vista. Stesso discorso vale per i confezionatori che spesso preferiscono evitare rapporti diretti con i produttori e con i loro rappresentanti per legarsi piedi e mani con gli intermediari.

L’ho ripetuto tante volte: ci vuole un “patto di lealtà” tra tutti i componenti della filiera se vogliamo tornare in gioco in campo mondiale. Insomma, “cooperare per competere”. E più si è leader naturali - per rappresentatività, per storia, per cultura - , più si ha il dovere morale di non chiudersi a riccio, autoesaltandosi mentre la casa crolla.

L’Italia in fatto di olivicoltura non è seconda a nessuno. Questa verità però non va ripetuta nelle solite cantilene convegnistiche, autoassolutorie, ma fatta constatare nei fatti. Ce la possiamo fare se la nostra parola d’ordine sarà “unità”. C’è bisogno di campagne promozionali che vedano assieme – appassionatamente - produttori e confezionatori. Una campagna che scardini certe interessate prese di posizione sugli Extravergini di qualità italiani. Va ricordato che il nostro Paese, in quanto a controlli, non è secondo a nessuno. Per non parlare poi della legislazione Italiana ed UE, estremamente rigida su controlli e tracciabilità, che non ha paragoni al mondo, su nessun prodotto, anche in Usa. Certo, campagne pubblicitarie ah hoc, ma bisogna anche sostenere e incentivare investimenti in nuovi oliveti, efficienti e competitivi, anche a conduzione cooperativa, nelle aree vocate con l’obiettivo di arrivare, entro un decennio, a soddisfare un fabbisogno minimo di 200 mila tonnellate di Evo italiano di Alta Qualità. Bisogna, inoltre, tutelare le due anime della filiera olivicola olearia italiana, quella produttiva e quella commerciale, affinché s’impegnino sempre più a realizzare prodotti con requisiti etici e qualitativi restrittivi.

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