Italia
Vogliamo l’olio extra vergine di oliva di qualità nella ristorazione!
Il mondo della ristorazione colto di sorpresa dall'attenzione data sul web all'appello per le etichette "in chiaro" sui tavoli. L’idea della “rivoluzione culturale” proposta dall’Università di Bari è semplice: offrire l’olio in bottigliette sigillate della capacità di 50-100 ml
15 giugno 2017 | Serena Ferrara
Rischia di diventare un vero e proprio fenomeno mediatico. Le avvisaglie ci sono tutte: prima un video diventato virale in una settimana (https://www.facebook.com/ristorantipugliesiinitalia/videos/1929643467280600/ 15.000 visualizzazioni al momento in cui scriviamo), poi un articolo a tutta pagina sul più importante quotidiano del Sud, quindi una pagina Facebook, priva di autore ufficiale, che raccoglie il grido buono di produttori, università, consumatori: “Vogliamo l’olio di qualità nella ristorazione!”.
Tutto nasce dall’appello di Maria Lisa Clodoveo, ricercatrice del dipartimento di Scienze Agro – Ambientali e Territoriali dell’Università di Bari e direttore dello short master “La scienza dell’olio di oliva in cucina”, che non si spiega come in tutta Italia è ancora frequente, in barba alla legge, trovare al ristorante, ampolle anonime di olio o bottiglie rabboccate.
È un diritto di tutti sapere che cosa stiamo introducendo nel nostro corpo, soprattutto alla luce di quanto osservato dai più recenti studi medici sui grassi. Già dire extravergine oggi potrebbe non bastare.
"Non tutto l’evo – spiega, rincarando la dose Antonio Moschetta, ordinario di Medicina interna presso l’Università di Bari e ricercatore AIRC - è uguale. Anzi ciascuno ha il suo. Ad ogni cultivar corrispondono caratteristiche nutrizionali differenti e dalle stesse cultivar, date pratiche colturali, clima e tecniche di trasformazione, possono ottenersi tipi di olio dalle proprietà sensibilmente differenti."
Portando in tavola bottiglie ben etichettate, meglio se da stappare al momento, come accade per il vino (per evitare i fenomeni di ossidazione), si va nella direzione della doppia consapevolezza: quella del ristoratore e quella del consumatore. Ma soprattutto si rivendica il diritto all’igiene, alla conservazione delle proprietà salutistiche ed organolettiche nella forma più integra possibile, alla certezza che il contenuto corrisponda alla dichiarazione esterna.
L’idea della “rivoluzione culturale” proposta nel video dell’Università di Bari è semplice: offrire l’olio in bottigliette sigillate della capacità di 50-100 ml, che, al termine della consumazione, il cliente possa portare a casa, come promemoria per gli acquisti.
Semplice ma geniale, hanno decretato gli utenti di Facebook, che al video promosso con coraggio dalla pagina Facebook Ristoranti Pugliesi in Italia dedicata alle attività ristorative che propongono la cucina pugliese in Italia, (il video lo si trova qui https://www.facebook.com/ristorantipugliesiinitalia/videos/1929643467280600/) ha risposto con un fervore che ha superato ogni aspettativa.
L’argomento è talmente sentito, che alla pagina Facebook Olio nella ristorazione creata successivamente, sull’onda dell’entusiasmo, si sono iscritti quasi in mille pugliesi nell’arco di sette giorni.
Il sintomo è chiaro: si inizia a capire che ad una bottiglia aperta settimane o mesi prima corrisponde il più delle volte un olio che non è più extravergine, in quanto alterato dal tempo e dalle condizioni di conservazione. E si inizia a capire anche che un olio così non solo non fa bene ma può anche procurare danni alla salute.
Sul gruppo c’è chi ha cominciato a postare fotografie di profumi in bottiglia, chiedendosi se li acquisteremmo una volta privati dell’etichetta, chi ha iniziato a pubblicare, con sdegno, foto di ristoranti con olio di provenienza comunitaria o decorative oliere d’arredo, tanto belle quanto inutili ai fini nutrizionali. Qualcuno ha commentato: «Un buon ristoratore lo si riconosce dalla qualità dell’olio che utilizza», qualcun altro si è posto la domanda: «Se un olio non è chiuso ed etichettato bene, come facciamo a sapere cosa stiamo introducendo nel nostro corpo?».
Sono tutti consumatori comuni, che la rivoluzione vogliono farla dal basso.
I migliori nella ristorazione si rifugiano nella Carta degli oli, ma quest’ultima ha senso solo se le peculiarità sensoriali per cui è creata riescono a giungere intatte al cliente. Non è fatta, quindi, per un carrello degli oli con decine di bottiglie aperte.
La strada è altrove, suggeriscono i consumatori. Sono forse ormai maturi i tempi per un radicale cambiamento nell’uso dell'olio nella ristorazione?
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