Italia
La cavalcata della Xylella è conseguenza dell’anarchia ambientale
Dagli anni 80 regna la totale anarchia: è proprietà mia e faccio quello che voglio. Non esistono iniziative concrete ed efficaci da parte di chi governa il territorio atte ad “educare” alla cura responsabile della proprietà privata, anche con provvedimenti drastici, impopolari
01 novembre 2016 | Giorgio Greco
Abito nel Salento, in periferia, e sento chiaramente gli spari; sono giorni di caccia per gli appassionati, ma ancora per poco. Fra non molto i cacciatori di tordi e beccacce dovranno trasferirsi altrove perché qui non ci sarà più il bosco degli ulivi, luogo ideale per lo svernamento di queste specie migratorie.
Anche tale aspetto mi porta a pensare che ciò che sta accadendo qui toccherà tutti, proprio tutti. E non sarà certo l’olio del supermercato a colmare il vuoto dell’olio di qualità unica prodotto dai nostri nonni, per secoli; non saranno certo i filari superintensivi a sostituire lo splendido paesaggio salentino ridotto ad un cumulo di legna da ardere.
In questa Penisola è da almeno 40 anni che sarebbe dovuto iniziare l’esproprio dei terreni maltrattati. Dagli anni 80 regna la totale anarchia: è proprietà mia e faccio quello che voglio. Personalmente, non sono a conoscenza di iniziative concrete ed efficaci da parte di chi governa il territorio atte ad “educare” alla cura responsabile della proprietà privata, anche con provvedimenti drastici, impopolari, nel caso di ripetuti interventi educativi disattesi. Se ci sono stati, in questo mezzo secolo, evidentemente sono risultati sbagliati, inconsistenti, visto il disastro.
La grande contraddizione dei cittadini di questa terra, in genere, consiste nel fatto di non saper o voler considerare, un po’ per inerzia e un po’ per ignoranza, il limite tra la proprietà privata ed il Bene Comune; il suicidio collettivo che si sta consumando è la perseveranza in tale comportamento. Per fare un esempio: se nel terreno di mia proprietà ho fatto, per anni, e continuo a fare uso esagerato di veleni, devo capire che non sto avvelenando me stesso, la mia proprietà, e quindi è un fatto mio, personale, ma avveleno la falda acquifera che sta sotto, che è proprietà di tutti, altero l’equilibrio dell’ecosistema che regola la vita di tutti. Se permetto che il mio terreno diventi una discarica a cielo aperto sono responsabile, allo stesso modo di chi abbandona i rifiuti, dell’inquinamento prodotto e delle sue terribili conseguenze.
La cavalcata della Xylella Fastidiosa, che ha fatto e sta facendo il giro del mondo, è un’evidente conseguenza dell’anarchia agricola, ambientale, regnante in questa penisola. Credo, al riguardo, che occorra ragionare in maniera semplice ed ovvia, altrimenti si rischia di portare il discorso verso altre direzioni rispetto al punto di partenza. Non sono contadino di professione, sono proprietario di un oliveto di 34 alberi come lo sono in tantissimi nel Salento, terra olivetata al 90%; posseggo una casa, un’auto, etc…
Per mantenere efficiente la mia auto e farla funzionare sono necessarie continue attenzioni su: motore, carrozzeria, filtri, luci, batteria, freni, gomme, radiatore, spazzole tergicristallo, etc... Lo stesso dicasi per la casa: terrazza, balconi, pareti esterni ed interni, infissi, giardino, impianto luce, impianto riscaldamento, pavimento, piastrelle, canna fumaria, etc… E’ evidente che se non uso tali accortezze, nel giro di qualche tempo avrò grossi problemi sia con l’auto che con la casa. La prima non si metterà più in moto e sarà preda della ruggine totale, la seconda diverrà fredda e non più accogliente, tetra, inagibile per i bisogni di una famiglia. Ma la cosa ancor più importante è che per la manutenzione devo servirmi di prodotti adatti e non di derivati, magari pubblicizzati e più costosi che, se in un primo momento sembrano dare risultato, a lungo andare si rivelano distruttivi.
Ora, se ragiono così con l’auto e con la casa, perché non faccio lo stesso con l’oliveto? Forse perché l’auto, la televisione, il computer, il cellulare, una bella casa, etc…, il cui mantenimento e manutenzione comporta comunque spese rilevanti, sono figli legittimi di questo tempo mentre l’oliveto, figlio adottivo d’un tempo ormai vecchio, passato, può anche aspettare, seccare, morire, sparire. In fondo che mi frega dell’olio, della terra, del paesaggio, dell’ambiente, del Salento, della Storia? Sono preoccupazioni antiche, superate, nella società dei social network e dei new media, del denaro e del potere. Risiede proprio qui l'origine del disastro.
Eppure, per condurre un oliveto non ci sono costi particolari, si può partire da ciò che la stessa natura mette a disposizione nel campo. Io, per esempio, in piena zona interessata da disseccamento rapido, utilizzo una pratica agricola da me denominata PACE: P=Potatura, A=arieggiamento, C=Cenere, E=Erba. Per la potatura mi servo di una scala, leggera e allungabile in alluminio, e di un seghetto manuale, per l’arieggiamento di una forbice, per la cenere brucio lo scarto prodotto e per il taglio dell’erba mi servo di un decespugliatore medio. In un’era come la nostra, in cui proliferano continuamente nuovi prodotti chimici, moderni e all’avanguardia, tale pratica risulta a dir poco “antidiluviana” visto che cenere ed erba costituiscono la “povera mensa” degli alberi. Eppure i miei olivi ancora resistono, nonostante la pestilenza che dilaga e demoralizza chiunque! Chissà cosa darebbero, oggi, gli uomini per nutrirsi di caccia e di pesca, di frutti e miele selvatici, di foglie commestibili spontanee, di bacche e di germogli, in maniera sana e naturale, proprio come facevano i suoi antenati preistorici.
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