Italia

Raccontare l'agroalimentare non conviene più, meglio presentarlo

Non esiste più, oppure è in via di estinzione, la figura del giornalista. Si è trasformato in un opinion leader che non scrive più, ma promuove, diventando l'imbonitore del Terzo Millennio

23 gennaio 2015 | Maurizio Pescari

Ha ancora senso fare il giornalista al giorno d'oggi? Ha ancora senso raccontare, narrare storie e fatti, presentare notizie ed ergersi a garanti del loro valore? Oppure sono passati quei tempi ed è meglio diventare promoter? Promoter di sé stessi, di qualche azienda, di qualche interesse. Poco importa chi, come, dove, quando. In una congiuntura negativa bisogna pur vivere. Questa è la sostanza della triste realtà raccontata nei giorni scorsi sul blog di Luciano Pignataro, giornalista autorevole di nome e di fatto, dove Cosimo Torlo, giornalista, ha chiosato su un dato figlio di questi tempi: “Fare giornalisti non conviene più, trasformiamoci tutti in organizzatori di eventi…”.

Forse che è semplicemente facile fare il giornalista in tempi di vacche grasse, ma meno facile diventa in tempi di vacche magre, quando il budget si contrae e si spengono i lustrini della festa. Certo, sono cambiati anche i tempi. E' ben diversa l'aria che tira oggi in questo settore. rispetto a quella che ha segnato gli anni a cavallo del Duemila.

I sistemi di comunicazione contemporanei, stanno dimostrando di poter arrivare dove nessuno era mai riuscito, fino a far perdere di vista e di valore al concetto di certificazione della qualità di ciò che si scrive. Tutti si sentono in grado di scrivere quello che vogliono, quando vogliono, di chi vogliono, con un linguaggio che, nel caso dell’italiano, raramente ha a che fare con il vocabolario Zingarelli. Ma questo non conta. Il giornalismo è svilito. Il saper scrivere messo in secondo piano rispetto alla velocità di condivisione.

Se è sostanziale la differenza che esiste tra un giornalista ed un blogger, è invece sottile la linea ideale che divide l’informazione dalla promozione, la comunicazione dal marketing. Ho assaggiato questo vino…; ho degustato quest’olio….

Tutto ciò sta accadendo senza il minimo rispetto per l’attore più importante di questo spettacolo: il lettore. Oggi il lettore è diventato un ‘mi piace’, un ‘follower’, tanti più ne ho, tanto più sono bravo, ambito, seguito. Non conta chi c'è dietro un mi piace. Quantità, non qualità.

Perchè questo cambiamento? A cosa è dovuto? Perchè non abbiamo più giornalisti che scrivono ma opinion leader che promuovono?

La verità sta nel fatto che è cambiato il mondo. Negli anni è cresciuta una grande platea di consumatori consapevoli, che non accettano più che siano altri a sancire cosa è buono e cosa non lo è. Hanno maturato conoscenze per poter determinare da soli cosa piace e cosa non piace. Ed i consumatori consapevoli amano gli eventi.

La verità sta nel fatto che anche gli opinion leader sono destinati a scomparire, almeno nell'accezione con cui li conosciamo. Non guidano più, presentano, diventando gli imbonitori del Terzo Millennio.

Lo dimostra la storia del vino, molto meno quella dell'olio.
Lo dimostrano le quote di mercato che dividono ancora di più il vino dall'olio, le scelte di posizionamento che la GDO ha fatto, scegliendo di mettere certi “vini” tra le bevande ed altri in scaffali accoglienti, suddivisi per regioni, con i bianchi da una parte ed i rossi da un'altra e sovente un esperto a descriverne le caratteristiche e gli abbinamenti.
E l'olio? Niente di nuovo. E' sempre tutto lì, insieme.

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