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GLI ULIVETI: ABBANDONARLI O DIFENDERLI MEGLIO? NUBI MINACCIOSE ALL’ORIZZONTE DI UNA TIPICA COLTURA NOSTRANA

Con effetto sorpresa per chi ci legge, presentiamo uno stralcio di un documento del luglio 1981. Resterete stupiti, o forse – già convinti di come vada per davvero il mondo – sorriderete soltanto, ma con un profondo senso di inguaribile amarezza e di grande impotenza. Eppure, a ben cercare, le responsabilità per l’attuale stato delle cose si trovano. Volete i nomi?

24 settembre 2005 | Luigi Caricato

Ecco un classico esempio di come in Italia non si combini nulla di buono. Con una classe politica a dir poco disastrosa – destra, sinistra o centro che sia – non c’è da attendersi alcunché.

Soffermiamoci sull’olivicoltura. Il PIANO OLIVICOLO NAZIONALE è diventato una farsa. Una discesa nel ridicolo dagli esiti comici, al punto tale da lasciarmi perfin stupito di come tutti i ministri agricoli (tutti, tutti, tutti, nessuno escluso) non si vergognino di andare in giro per le strade senza coprirsi il volto per la vergogna.

Come si fa a ritenere credibili certi personaggi di fronte alle tante promesse di un varo (sempre arditamente annunciato, mai però concretizzato) di un piano olivicolo nazionale? L’intento è degno di lode: risollevare le sorti dell’olivicoltura nostrana? Sì, e poi?

Poi siamo sprofondati – di anno in anno, di decennio in decennio – nel grottesco più cupo. Avete presente Eugène Ionesco? Ebbene, è come se vivessimo di volta in volta, da spettatori impotenti, una tra le più esilaranti e drammatiche storie del grande commediografo.

La situazione attuale la conoscete molto bene: siamo nella merda, come amano dire senza falsi giri di parole i francesi. L’olivicoltura italiana, da sempre abbandonata (dalla politica, quindi da tutti), un po’ tira a campare (perché c’è ancora gente che combatte, che si da’ da fare, che si agita, che cerca di produrre, che cerca in qualche modo di resistere), un po’ invece si adagia e si siede su se stessa in attesa del grande tonfo: nel nulla.

Non sono espressioni dure, puramente retoriche, pronunciate per il gusto di suonare irriverenti. No, sono anni che mi batto per migliorare questo comparto così mal ridotto, così abbandonato a se stesso, così ingloriosamente umiliato. Ma è fatica vana, a volte ci si chiede perché continuare a lottare di fronte al disinteresse esplicito e sfrontato delle Istituzioni (con la i maiuscola? Siamo sicuri?). E’ tempo perso, mi dico, energie sprecate: l’olivicoltura si regge solo per l’impegno di pochi; gli altri in parte assistono (in attesa di qualche aiuto finanziario dato a pioggia, a chicchessia), in parte remano addirittura contro, anche se a parole sembrano che diano piuttosto l’anima (ma ce l’hanno un’anima?).

Invece ecco un documento che inchioda lo stato di fissità, di immobilismo, di inerzia assoluta, di inedia necrotica.
Il titolo di questo articolo è preso pari pari da un servizio pubblicato dal settimanale “Famiglia cristiana” il 26 luglio 1981.
Ho solo invertito l’occhiello con il titolo:

Da allora sono trascorsi 24 anni ed è la solita storia, la solita nenia.



Così tra l’altro Giuseppe Malandrucco, all’epoca presidente del Cno:
“Noi stiamo perdendo un grande patrimonio che potrebbe produrre un’enorme ricchezza. L’olivicoltura è in profonda crisi perché manca una politica organica di settore. (...) Sinora si è cercato di tamponare i mali dell’olivicoltura (...). Intanto Spagna e Grecia rinnovano continuamente le colture, migliorano la produzione, sono sempre più agguerrite. (...)

Cosa è cambiato da allora? Molto, nella forma; ma nella sostanza la realtà è la medesima. I tanto promessi Piani olivicoli sono stati appunto solo promessi, ma la volontà era di non farli partire mai. Le responsabilità (e i responsabili) per l’attuale stato delle cose si trovano. Si trovano sì gli artefici di questo malo destino. Volete i nomi? Non li faccio, non occorre: è un lungo elenco, a capo dei quali vi stanno tutti i ministri agricoli, senza distinzione. Ma scendendo tuttavia verso i piani bassi, con grande sorpresa e imbarazzo, scoprirete che in realtà tutti coloro che si sono occupati di olivicoltura, nei vari ruoli, a livello istituzionale o paraistituzionale (tutti, tranne rare eccezioni; ma assai rare: non c’è da farsi illusioni), hanno avuto delle precise responsabilità in merito.

Allora, per concludere, questi uliveti sono da abbandonare o da difendere meglio?
C’è una risposta seria e credibile da parte dei presunti responsabili di questo grottesco stato di cose?
Che argomenti hanno, costoro, per giustificare il disastro verso cui ci hanno finora condotto?
E voi che ci leggete, cosa pensate? Parole al vento?
E’ forse qualunquismo di basso profilo, questo? O è un grido coscienzioso e motivato?

Grazie per le risposte.

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