Italia

Riforma degli Ordini professionali. E'battaglia

Il testo del Dpr predisposto dal ministro Paola Severino ha destato allarme e sconcerto. Dura presa di posizione di Roberto Orlandi, il quale chiede l'intervento dell'Antitrust

23 giugno 2012 | C. S.

Il 15 giugno scorso, a sorpresa (con il testo portato “fuori sacco” e saltando anche il naturale passaggio al pre-Consiglio dei Ministri), il Governo ha approvato lo schema di DPR sulla “Riforma degli ordinamenti professionali”, destinato ad un iter velocissimo per poter entrare in vigore (come previsto dalla legge n. 148/2011) entro il 13 agosto p.v., condizione necessaria per evitare la caducazione di ampie parti degli attuali ordinamenti professionali (una “condizione capestro” introdotta dalla legge n. 148/2011).

Il testo predisposto dal Ministro Paola Severino ha destato vivo all'allarme e sconcerto, anche perché in questi mesi pressoché tutte le professioni ordinistiche, sia singolarmente che congiuntamente, avevano offerto al Dicastero di via Arenula la massima collaborazione, consegnando anche diverse ipotesi di intervento, discusse poi con la titolare dell'Ufficio legislativo del Ministero, dott.ssa Augusta Iannini, sia nell'ambito di incontri istituzionali che i tavoli di lavoro informali.

A fronte di una disponibilità sincera e così intensamente attuata, le professioni che l'avevano praticata si sarebbero attese perlomeno di essere messe a preventiva conoscenza del testo finale, prima dell’approvazione al Consiglio di Ministri, non certo per condizionare il Governo ma semplicemente per rilevare eventuali errori ed incongruenze che potessero "mettere in pericolo" l'iter del provvedimento.

Va infatti chiarito che e' oggettivo interesse delle professioni ordinistiche vedere approvato in tempo utile il DPR in quanto, diversamente, ad esserne maggiormente danneggiati sarebbero gli Ordini stessi (che vedrebbero decadere, a partire dal 13 agosto, parti rilevanti dei propri ordinamenti), insieme ai cittadini (che si vedrebbero privati di importanti strumenti di tutela, non essendo più possibile per gli Ordini sanzionare professionisti infedeli).

Invece il Ministro Severino ha ritenuto di non dovere compiere una consultazione finale sul testo redatto dall’Ufficio Legislativo di via Arenula che presenta purtroppo numerose criticità. In particolare:

Sparisce la definizione di “professione intellettuale”, che aveva sin qui trovato una propria connotazione precisa, ed il DPR ne vira la definizione in “professione regolamentata”, inoltre estendendola non solo agli iscritti negli Albi, per i quali è richiesto l’esame di Stato abilitante, ma anche agli iscritti in un qualunque “registro od elenco tenuto da amministrazioni o enti pubblici”.

Il DPR viene così ad applicarsi ad un amplissimo ed indefinito numero di soggetti, molto oltre la platea degli iscritti agli Albi professionali, producendo una confusione senza precedenti. Infatti, ad esempio, con questa formulazione, il DPR si applica identicamente tanto agli iscritti nell’Albo dei Dottori Commercialisti quanto ai soggetti iscritti nell’elenco degli Esperti del ruolo tributi tenuto dalla Camera di Commercio; si applica identicamente ad un laureato in Scienze agrarie iscritto all’Albo degli Agrotecnici e degli Agrotecnici laureati così come ad un soggetto privo di qualunque titolo specifico ed iscritto all’Elenco degli Assaggiatori di Olio d’Oliva.

Che vengano “confusi” i professionisti ordinistici con soggetti diversi emerge indirettamente anche dall’art. 5 del DPR, riferito all’assicurazione professionale, il quale prevede, oltre agli Ordini, anche “Associazioni professionale” (che sono una figura estranea al sistema istituzionale ordinistico) fra i soggetti giuridici che possono contrarre polizze collettive.

Ma è l’articolo 6, sul tirocinio professionale a destare maggiore preoccupazione, sia per la tecnica legislativa utilizzata che per il mancato coordinamento con la normativa pre-vigente; nell’insieme l’art. 6 del Decreto sembra spingersi ben oltre quanto previsto della legge n. 148/2011 e, nel dettare norme imperative, viene a confliggere con le disposizioni presenti nei vari ordinamenti professionali, creando una condizione di preoccupante conflitto.

Con l’art. 3 della legge n. 148/2011 il legislatore si proponeva di ridurre e facilitare i tirocini e di consentirne lo svolgimento anche con modalità alternative a quelle tradizionali (ad esempio prevedendoli nell’ambito del percorso di studi universitario), ma il Decreto in parola, affetto dall’insanabile vizio del mancato coordinamento con le disposizioni precedenti, fallisce clamorosamente l’obiettivo. Qualche esempio, riferito all’Albo degli Agrotecnici e degli Agrotecnici laureati, sarà utile a dimostrare l’affermazione:

a. l’art. 1 comma 2 della legge 6 giugno 1986 n. 251, istituitiva dell’Albo professionale degli Agrotecnici, prevede che i giovani praticanti possano svolgere il tirocinio presso “un agrotecnico ....iscritto all’Albo da almeno un triennio”; al contrario il comma 3 dell’art. 6 del Decreto in esame eleva l’anzianità di iscrizione a cinque anni, riducendo così il numero dei professionisti presso il quale il tirocinio stesso può essere svolto;

b. l’attuale Regolamento del tirocinio di Agrotecnico e di Agrotecnico laureato consente di svolgere il percorso formativo, attualmente della durata di 18 mesi, anche interamente presso Università, Istituti Agrari, Enti ed Associazioni, previa convenzione con l’Albo; al contrario il comma 4 dell’articolo 6 del Decreto limita questa possibilità a soli 6 mesi, così rendendo più difficile e più complicato lo svolgimento del tirocinio;

l’attuale Regolamento del tirocinio di Agrotecnico e di Agrotecnico laureato ammette a svolgerlo anche il dipendente pubblico in regime di part-time (non superiore al 50% del tempo di lavoro), e ciò nella considerazione che un pubblico dipendente in tale condizione è ammesso dalla legge a svolgere l’attività libero-professionale; al contrario l’art. 5, comma 5 del Decreto impedisce -illogicamente- al pubblico dipendente in regime contrattuale di part-time di poter svolgere il tirocinio di fatto così inibendogli (in violazione dell’art. 56 della legge 23 dicembre 1996 n. 662) l’accesso all’attività libero-professionale;

d. l’art. 6 del DPR 5 giugno 2001 n. 328 consente lo svolgimento del tirocinio professionale “in tutto od in parte durante il corso degli studi secondo modalità stabilite in convenzioni stipulate fra gli Ordini o Collegi e le Università .... e con gli Istituti di istruzione secondaria”. L’Albo professionale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici laureati ha fin dall’inizio condiviso e decisamente applicato questa disposizione, tanto che oggi sono 133 i corsi di laurea convenzionati con l’Albo e sono ben 75 gli Istituti Agrari analogamente convenzionati, nei quali i 18 mesi di tirocinio obbligatorio vengono per gran parte ovvero totalmente svolti durante il normale percorso di studi.

Al contrario il comma 4 dell’art. 6 limita, senza alcuna apparente logica, il tirocinio svolto in concomitanza del percorso di studi a soli sei mesi obbligando quindi migliaia di praticanti ad allungare di un anno il percorso per l’esame di Stato abilitante, che è il contrario esatto di quanto si prefiggeva il legislatore con l’art. 3 della legge n. 148/2011;

e. il fatto inoltre che non sia più possibile stipulare convenzioni direttamente fra gli Ordini professionali, le Università e gli Istituti secondari, (ma si debba transitare necessariamente da una “Convezione quadro” con il Ministero della Giustizia) lede irragionevolmente l’autonomia legislativamente attribuita a questi soggetti e moltiplica inutilmente agli adempimenti burocratici.

Totalmente negativo anche il giudizio al comma 9 dell’art. 6 del Decreto, che impone ai praticanti lo svolgimento di un corso di formazione minima di 6 mesi; questi corsi anche per la loro durata, non potranno essere gratuiti, costringendo i giovani praticanti ad assumersene i relativi costi, di certo non indifferenti. La circostanza poi che i corsi possano essere svolti anche da soggetti diversi dai Collegi ed Ordini ipotizza il nascere di un fiorente mercato della formazione a pagamento, un nuovo business tutto a spese dei giovani praticanti.

I corsi inoltre prevedono un esame finale innanzi ad una Commissione composta anche da docenti universitari, che avrà a sua volta costi non indifferenti (ovviamente tutti a carico dei tirocinanti) e che pare un’assurda ripetizione dell’esame di Stato abilitante che i giovani praticanti dovranno subito dopo affrontare.

Appare infine bizzantina la soluzione adottata per lo svolgimento dell’attività disciplinare dei Consigli Nazionali, dove il nuovo “Consiglio di disciplina” sarà di fatto composto dai soggetti che hanno concorso, perdendo, il ruolo di Consigliere nazionale. Dunque la lista “politicamente” autogestita al Consiglio in carica si troverà ad essere nominata nel ruolo di Collegio giudicante la disciplina ordinistica, il che non pare esattamente il massimo come esempio di terzietà.

Il Presidente del Collegio Nazionale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici laureati, Roberto Orlandi, dopo aver preso atto dell’inutilità di qualunque dialogo con il Ministro Paola Severino, ha precisato che interverrà nelle sedi parlamentari ed al Consiglio di Stato per chiedere che vengano eliminate le disposizioni che eccedono la delega concessa al Governo, che confliggono con la precedente legislazione e quelle anacronistiche, che rendono più difficile il percorso che i giovani devono seguire per accedere alla professione. Ed ove non vengano apportate le necessarie modifiche, il provvedimento una volta pubblicato, sarà impugnato innanzi al TAR Lazio.

Il Presidente Orlandi chiederà inoltre l’intervento dell’ANTITRUST , ad esso segnalando tutte le disposizioni che allungano irragionevolmente la durata del tirocinio professionale od impediscono l’esercizio della professione.

 

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