Gastronomia 14/05/2021

L'olio "sbagliato" può rovinare un piatto e la reputazione del ristoratore

L'olio "sbagliato" può rovinare un piatto e la reputazione del ristoratore

Vinceremo la sfida dell’olio di qualità, se riusciremo ad arrivare direttamente al consumatore, che, come è successo per il vino che odorava di tappo, protesterà con forza e pretenderà un olio migliore


Lo scorso 26 marzo ho celebrato vent’anni dal mio ingresso, nell’affascinante mondo dell’olio extravergine di qualità. Ero al Premio Versilia, a Pietrasanta, e mi fu presentato “Gino” Veronelli, che quel giorno ritirava un premio, dicendomi che stava affrontando la sua ultima sfida: far conoscere il vero olio extravergine italiano dei bravi contadini, al mondo della ristorazione, dei sommelier e dei consumatori. Furono due anni bellissimi in giro per l’Italia a conoscere olivicoltori, ristoratori e appassionati, provenienti dalle venti regioni dello Stivale. Persone che amavano Veronelli, e che avevano voglia di capire la differenza tra un olio da primo prezzo e un olio che, al quel tempo costava 15.000 lire al litro e quindi andava rivenduto ad almeno 25.000 lire.

Ma la vera sfida non era tra i Carapelli di turno e un Gianfranco Comincioli, tanto per citare uno che già quattro lustri or sono creava una Casaliva denocciolata da urlo e che, senza vergogna ma con grande orgoglio vendeva nei mercati esteri a 50.000 lire al litro.

La vera sfida era far capire al ristoratore la bontà di questo condimento nei piatti, negli ingredienti e nell’esaltazione della preparazione finale. Tre giri di olio, che andavano a impreziosire qualsiasi menù, grazie all’unicità del nostro Paese, che detiene il record mondiale di oltre 500 cultivar certificate.

Con gli anni speravamo noi comunicatori, di far comprendere questa “rivoluzione silenziosa”, attraverso i veri ambasciatori dell’olio: l’esercente che presentava al commensale un olio di qualità da apprezzare e magari da ritrovare nello scaffale del ristorante o dell’osteria e poterlo acquistare per casa. A distanza di vent’anni questa rivoluzione del gusto non c’è stata, e non me ne vogliano quei pochi ristoratori italiani di qualità che hanno extravergini di eccellenza nei loro tavoli e nelle loro cucine. Secondo i dati Ismea, in Italia ci sono circa 300.000 esercizi di ristorazione varia, possiamo dire che non arriveremo all’1% di quelli che, hanno avuto voglia di investire per educare il consumatore.
Dico questo, e sono molto avvilito nel farlo, perché non più tardi di due giorni fa sono stato a Castagneto Carducci, per girare delle puntate televisive per Discovery Channel. Due serie ben fatte dal canale, dove si comunicava le bellezze, storiche, culturali ed enogastronomiche di Bolgheri e Castagneto. Alla pausa pranzo, insieme alla troupe, all’assessore al turismo e al commercio e a vari ospiti provenienti da diverse regioni, è stato servito un olio totalmente rancido del 2019.

Ovviamente sul mio carpaccio denominato “Ganzo”, ma non so proprio cosa avesse di ganzo, c’era già abbondante olio esausto a completare il fallimento di quella pausa pranzo, che poi è divenuta una pausa indigesta. Alla mia rimostranza, di come mai ci venisse servito un olio di quasi due anni addietro, la risposta candida e quasi stizzita del “titolare” del locale di Castagneto è stata, che ancora non aveva pensato a ordinare quello nuovo.

Dentro di me mi sono sorte due reazioni; la prima, quella che mi accompagna da ormai 50 anni era di piantare una “bega” che non so neanch’io come sarebbe finita. La seconda, quella più mansueta, che ha prevalso in quel momento, era dettata da due considerazioni: Uno; la legge gli consentiva di tenere quel “troiaio” in tavola perché la scadenza in etichetta consente di consumarlo per almeno diciotto mesi. Seconda considerazione, che è la più grave, è che nessuno tra gli ospiti, attenti, colti, belli e benestanti, si era accorto che stavano rovinando il proprio piatto con un olio del genere.

A questo punto urge una riflessione seria. Vinceremo tutti insieme la sfida dell’olio di qualità, se riusciremo ad arrivare direttamente al consumatore, che, come è successo per il vino che odorava di tappo, protesterà con forza e pretenderà un olio migliore.

La pandemia dovrebbe essere alle porte, abbiamo tutti l’occasione per una ripartenza e il Rinascimento dell’olio passa anche da queste nuove opportunità. Basta oli difettosi, educhiamo al tavolo il commensale, mentre aspetta le pietanze, facendogli assaggiare due o tre tipologie diverse, sia in cultivar, sia in profumi. Questo allenamento servirà per far sì che il prossimo anno, quell’esercente di Castagneto Carducci, non presenterà più un olio del genere.

di Fausto Borella