Gastronomia

EDOARDO RASPELLI: "A ME PIACCIONO PRETI E SUORE. LA MIA VITA E' STATA POSTA IN SALVO DA ALCUNI LUMINOSI ESEMPI DI RELIGIOSI"

Televisione da folclore, improvvisati gastronomi da bar, confessioni intime, censure, odi e amori. In vista del Natale, abbiamo incontrato il noto critico. Molte le dichiarazioni forti, le polemiche, gli appunti e i disappunti, espressi sempre con atteggiamento piacevole e credibile, mai fuori luogo

20 dicembre 2003 | Luigi Caricato

E’ Natale e tutti diventano più buoni o quanto meno fingono di esserlo. Come percepisce e vive invece il Natale Edoardo Raspelli?
Lo trovo insopportabile. Detesto ricevere le centinaia di bigliettini con gli auguri prestampati o elaborati con il computer, con cui le persone che fingono di ricordarsi di me non appongono neanche la propria firma. E’ tutto delegato alle segretarie ed è privo di qualunque valenza, tranne qualche raro caso, ed è una cosa davvero insopportabile. C’è l’obbligo dei regali, ed è un altro aspetto che non sopporto. A me piace fare e ricevere regali, però fuori dall’obbligo delle scadenze fisse. Quando trovo qualcosa in giro da potermela permettere, la prendo e la regalo a me, ai miei figli o a mia moglie, ma che a date fisse uno debba fare un regalo obbligatorio lo trovo molto antipatico. E poi, questo Natale è uno dei più tristi della mia vita. La situazione mondiale è catastrofica. Che Dio ce la mandi buona.

Sei un credente?
Sì, certo.

Anche praticante?
Beh, sì, vado sempre a messa, tranne magari quelle domeniche che sono in giro per “Melaverde”, a registrare; oppure quando sono in partenza o sono sommerso dal lavoro; e allora, ahimé, nella mia vita fatta di tante cose, tra gli aspetti più importanti c’è appunto il lavoro. Non è bello, ma è così.

Appartieni a Comunione e Liberazione?
No, non appartengo a Cl. Io non ho nessuna tessera. Credo di non aver mai avuto nessuna tessera. Non mi ero nemmeno iscritto al club di Topolino, quindi figuriamoci. Diciamo che a me piacciono i preti, piacciono le suore, ho sempre avuto degli esempi luminosi di religiosi nella mia vita.
La mia vita è stata salvata anche da alcuni personaggi religiosi, sconosciuti per l’amor del cielo, che sono stati però determinanti per me. La mia vita è stata molto tribolata da ragazzo, quando ero giovane, e quindi mi sento piuttosto legato a questo mondo. Guardo con grande attenzione a Cl e a ciò che non si ferma alla materialità della vita presente, a ciò che va al di là degli odi, delle antipatie e delle contingenze per approdare invece a discorsi più ampi.

Si è creato negli anni una sorta di sodalizio con Paolo Massobrio. E’ il frutto di un pensiero comune che vi lega nell’ambito della gastronomia?
Siamo molto amici. Ci siamo conosciuti perché avevamo due pagine, l’una a fianco dell’altra, sul settimanale “Il Sabato”; lui scriveva di vino e io di gastronomia. Sicuramente tutti e due abbiamo una concezione che ci accomuna. Noi nel buono vediamo anche il divino. Io per esempio mi emoziono e “tocco” la felicità davanti a un piatto, ch’è evidentemente una felicità corporale, sensuale; e poi penso alla bravura di chi ha preparato quel piatto da fiaba e dico, come afferma suor Germana, che lo stomaco è vicino al cuore. Quando suor Germana annuncia “ditelo con un piatto”, cosa vuol dire? Significa che l’affetto, l’amicizia verso una persona si dimostra anche preparando un certo piatto. Quando mia moglie mi prepara una volta l’anno la cassoeula, non solo mi prepara qualcosa che mi piace, ma è anche un preciso atto d’affetto, io credo. C’è un significato dunque più recondito.



Rispetto agli altri tuoi colleghi, come ti rapporti? Quali colleghi, in particolare, stimi di più? E quali, invece, di meno?
Stimo di più le persone alle quali ho dato la mia fiducia, poi ricambiata nell’ambito di un lavoro collettivo. Con Paolo Massobrio e Marco Gatti, quando mandavamo avanti la guida dell’Espresso eravamo insieme una squadra. Evidentemente una persona che stimo di meno professionalmente è invece colui che ha preso il mio posto nella guida dell’Espresso. Perché i vice che prendono il posto dei direttori secondo me hanno sempre dietro dei compromessi. Io ho la massima disistima gastronomica di un principe-editore come Carlo Caracciolo o di un amministratore delegato come Marco Benedetto, che mi hanno licenziato in tronco non perché fossi un incapace, ma perché non avevo ubbidito ai cambiamenti dei loro voti. Io faccio il giornalista, il critico, quindi non posso rinunciare alla mia libertà.

Esiste una certa ruggine con Luigi Veronelli. Come mai?
Sono cose molto antiche legate a questioni professionali. Quando lui era in auge e io solo un ragazzo, recensivo in modo entusiastico i suoi libri. Ecco, ora invece da almeno vent’anni non dice più nulla nella gastronomia italiana. E io dico che le sue guide ai ristoranti sono fatte malissimo, sono disinformate, ma non lo dico adesso, lo sostengo da vent’anni. Su “La Stampa” dell’anno scorso per esempio ho raccontato quando Veronelli ha riferito dei tre fratelli che gestivano il Lancellotti di Soliera e io ho precisato che sì, è bravissimo Emilio Lancellotti, peccato però quel ristorante non esista più, che sia chiuso da un anno e che l’Emilio Lancellotti si sia tolto la vita due anni fa. Veronelli questo errore l’ha effettuato per due edizioni di seguito nella sua guida; e non si trattava certo di un ristorantino sconosciuto, ma di uno tra i più famosi locali italiani e dell’Emilia Romagna.

Non credi che vi sia un nugolo di persone pronte a sbandierare presunte conoscenze in ambito agroalimentare senza averne competenza? Una “Linea verde” condotta ad esempio da Paolo Brosio non è certo paragonabile a quella, storica, condotta da Federico Fazzuoli. C’è troppa spettacolarizzazione nell’ambito agroalimentare. Concordi?
Sicuramente sì. Io francamente sono la persona meno adatta a parlarne, perché sono il conduttore della trasmissione che cerca di fargli concorrenza e ci riesce anche. La prima parte di “Melaverde” fa uno share che si avvicina di molto a quello di “Linea verde”, pur essendo noi Retequattro. Io invidio a Paolo Brosio la grandissima disinvoltura e parlantina. Mi rendo conto che al di là di questo, dal punto di vista professionale – ma l’hanno scritto già i vari critici televisivi – è tutto folclore. In Tv occorre essere molto spigliati, certo, peccato però che dietro questa facilità nella gestione del mezzo televisivo ci sia una preoccupante inconsistenza di informazione, dal punto di vista agricolo e gastronomico. Ma questo vale anche per Gianfranco Vissani, il quale va in giro a chiedere quali siano le razze di peperone. E questo è inconcepibile, visto che la trasmissione dice di essere “in diretta dalla natura”, ma è invece registrata. Fosse in diretta, per l’amor del cielo, non ci sarebbe niente da fare, ma essendo registrata allora le castronerie di italiano e gastronomia dovrebbero essere tolte. Evidentemente vi è una superficialità nel fare la trasmissione ch’è molto pesante.

Sì, ma come mai l’agricoltura, e in generale l’alimentazione, vestono sempre più i panni del folclore in televisione?
Innanzitutto si tratta di un tema assai di moda, la gastronomia. Poi, oggi c’è chi crede che basti mangiare due, tre volte al giorno per ritenersi competenti in materia di cibo. Il problema è che si è trasferito in televisione il discorso da bar. Una volta si parlava di sesso, ballerine e pensione, ora anche di gastronomia. E noi così ci ritroviamo da anni, in televisione, folclore, marchette o macchiette soprattutto.

Ma non c’è anche una precisa volontà nel non riferire o trattare tematiche reali, concrete e utili per l’agricoltore o per chi si occupa in generale di alimentazione?
Diciamo subito che il potere in Italia è detenuto dalla pubblicità e dalla grande distribuzione. Quindi qualunque critica, programma, idea o frase che si scontri con la pubblicità è abolita, ma non solo in televisione, anche sulla carta stampata. Sui giornali è infatti più facile criticare il Papa, un ministro, un presidente del consiglio, piuttosto che scrivere in modo critico dell’industria alimentare. E’ più facile stroncare il motore di un automobile piuttosto che una salsa al cioccolato.
In Italia non ci sono più giornali liberi. Ci sono censure su censure. Vale solo il potere pubblicitario.

Parliamo di ristorazione. Che giudizio complessivo si può dare di quella italiana?
Ha fatto passi da gigante. Quando ho iniziato nel ’75 c’era dappertutto panna, piselli e prosciutto. I ristoranti cucinavano, precucinavano e stracuocevano. Adesso la qualità è grande. Rimangono però i problemi di sempre. E’ sufficiente andare nei grandi ristoranti di ogni parte del mondo e trovare le medesime schiume, gli stessi cucchiaini e bicchierini, però la qualità della materia prima è grande. Certamente vi è ora una certa globalizzazione ad alto livello.

Quale messaggio augurale intendi rivolgere ai lettori di “Teatro Naturale”?
Diciamo che ritengo importante, dal punto di vista dell’augurio, l’avvertimento “occhio ai prezzi”. Siamo in un momento di recessione e secondo me sarà ancora peggio in futuro, toccando ferro. La gente sta sempre più attenta al portafogli. I ristoranti sono mezzi vuoti e invito soprattutto quest’ultimi a non esagerare con i ricarichi.

Un libro che consiglieresti di leggere?
Consiglio sempre le Ricette regionali italiane di Anna Gosetti della Salda. Un libro che esiste mi pare da quarant’anni e che ha raggiunto ben venti edizioni. Una summa, ancora adesso, che ritengo fondamentale.

Infine, sul fronte della gastronomia, a chi darebbe del carbone per la Befana?
Alla guida Michelin che continua ad arrivare in ritardo su tutto, fino a nascondere il numero dei suoi ispettori. Continua a far credere che dieci persone possano visitare ogni anno otto mila locali pubblici. E’ qualcosa che meriterebbe un naso lungo come Pinocchio.

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