Economia

SARANNO PURE UN MALE NECESSARIO, MA LE ORGANIZZAZIONI DI CATEGORIA PERMETTONO LA SOPRAVVIVENZA DEL MONDO AGRICOLO

Si è concluso il nostro sondaggio con un risultato prevedibile: "politicizzate", è questo il lato negativo dell'associazionismo. Ma è proprio così? Lo abbiamo chiesto ad Alfonso Pascale e Antonio Ricci. C'è una serpeggiante e latente forma di dirigismo, ma nuovi e decisivi impulsi vengono da donne e giovani

26 giugno 2004 | Luigi Caricato

E infine abbiamo chiuso il sondaggio. I risultati sono così evidenti da non ritenere necessario prolungare oltre il dovuto. La domanda che abbiamo rivolto ai nostri lettori, è stata alquanto diretta ed esplicita: Quale aggettivo descrive in modo più appropriato le organizzazioni agricole di categoria? Abbiamo individuato tre espressioni positive, tre invece a valenza negativa ed una a carattere intermedio, in modo da orientare il lettore verso una scelta che non lasciasse spazio a equivoci o fraintendimenti.

Il riscontro era forse prevedibile. Hanno prevalso di gran lunga le accezioni negative (politicizzate, inadeguate, inutili), quindi l’unica posizione intermedia (accettabili) e, in ultimo, le voci a carattere positivo (affidabili, costruttive, combattive). Sia chiaro, noi siamo a favore delle organizzazioni di categoria, in linea di principio, ma è pur necessario un mutamento di rotta, o comunque l’assunzione di un impegno che sia tutto a vantaggio del mondo rurale. Per ora non si intravede, se non occasionalmente, o in ragione di alcune rare eccezioni, un momento dialettico forte, che punti a formulare un pensiero che si possa opportunamente definire rurale. Ecco, lo spirito di “Teatro Naturale” sta tutto in tale proposito: concepire e promuovere le basi per un solido e propositivo “pensiero rurale”. Vedremo cosa accadrà. Intanto, accogliamo in modo sereno e proficuo gli esiti del sondaggio. Sono stati espressi complessivamente 1.065 voti per definire le organiozzazioni di categoria, di cui 808 per definirle "politicizzate", 123 "inadeguate", 54 "inutili", 49 "accettabili", 15 "affidabili", 13 "costruttive" e 3 "combattive".



Perché ci si attendeva un riscontro così scontato? Semplice, è sufficiente sentire quel che si avverte in giro tra la gente. C’è aria di insoddisfazione, di malcontento. Sì, c’è proprio un atteggiamento di rifiuto, per certi versi. Forse a causa di un passato inglorioso, perché, a ben vedere, oggi le organizzazioni agricole di categoria si sono in parte riscattate. In parte, però, perché a nostro parere il percorso non è ancora stato completato. Il passaggio verso una più credibile qualificazione del nostro associazionismo è ancora lento e contrastato al suo interno. Resistono ancora le sacche di arretratezza culturale, di basso profilo, quelle in un senso largo da intendersi con l’accezione di “politicizzate”, ovvero quelle che puntano a una gestione affaristica della cosa pubblica. Però le premesse sembrano buone. Soprattutto a livello locale si può concretizzare la svolta tanto attesa. Tanto attesa, sì, perché non mi sembra che sia ancora avvenuta; e voluta. Penso solo alle unioni dei produttori olivicoli, per fare un esempio. Mentre noto una grande intelligenza e capacità di fare da parte di alcuni presidenti e direttori locali (non tutti, purtroppo: il Sud è piuttosto lontano dal traguardo della buona amministrazione), a livelli alti qualcosa non convince. Ci sono figure che accentrano i poteri e il controllo decisionale in maniera orribile, con accumulazioni di presidenze che minano il buon senso alle radici. C’è un signore, per giunta giovane, attivo nel mondo olivicolo, che ne vanta almeno cinque di presidenze. Come ciò sia possibile vorrei ancora capirlo. Nel medesimo tempo osservo tanta brava gente, capace, che se ne sta in ombra, inoperosa perché non gli si affidano incarichi importanti. E’ questo il sentimento che evidentemente pervade gli agricoltori, quando esprimono giudizi negaticvi espliciti, come nel caso del sondaggio. Eppure vi è un’anomalia incredibile, sono tanti gli agricoltori che si affidano all’associazionismo come fosse la “grande madre” dalle enormi mammelle da cui ricavare nutrimento. Forse le responsabilità è da addebitare soprattutto agli agricoltori, incapaci di sottrarsi a un legame così carico di contraddizioni.

Intendiamoci, noi non abbiamo nulla di contrario al ruolo di primo piano da riservare a tali realtà. Anzi, ci auguriamo che l’associazionismo assuma il coraggio di osare e di andare oltre, di compiere quel salto di qualità in avanti che in tanti per decenni hanno atteso invano. Non può esserci una valorizzazione della società rurale senza il prezioso apporto delle organizzazioni. Manca però la spinta giusta, affinché tale approccio si manifesti in tutta la sua luce positiva. Troppe volte abbiamo assistito al trionfo dei facili ma sterili opportunismi.
Sul tema abbiamo ascoltato alcuni protagonisti, più o meno direttamente coinvolti. Da Alfonso Pascale ad Antonio Ricci. Il primo è coordinatore della rete nazionale delle Fattorie sociali per la Confederazione italiana degli agricoltori, oltre che articolista per varie testate, tra cui “teatro Naturale”. Il secondo è direttore scientifico del mensile “Olivo & Olio”, nonché direttore responsabile del bimestrale di informazione agro-ambientale “Il Divulgatore”, ma vanta anche una militanza dirigenziale nell’ambito di Confagricoltura. All’appello manca invece la Coldiretti, la quale, essendo evidentemente una struttura elefantiaca, non è riuscita a fissarci i tempi per un’intervista con il presidente Paolo Bedoni: sarà per una prossima occasione.



INTERVISTA AD ALFONSO PASCALE



Dottor Pascale, intanto un profondo grazie per i preziosi contributi di pensiero che apporta alla nostra rivista con la sua collaborazione…
Grazie a voi per l’ospitalità. Quando ho visto “Teatro Naturale” mi sono detto: finalmente una espressione libera in cui si può discutere, cosa alquanto rara nel nostro settore.

Politicizzate. Così sono state apostrofate le organizzazioni agricole di categoria dai nostri lettori. Come mai, secondo lei, ha prevalso in generale - considerando anche le altre risposte - un quadro d’insieme a tinte fosche?
Un problema di rappresentanza esiste. E’ ammesso da tutte le organizzazioni. Siamo in un momento di particolare calo della capacità di rappresentare gli interessi delle categorie. Ciò tuttavia vale non solo per l’agricoltura, ma, più in generale, per le organizzazioni dell’impresa diffusa. La stessa Confindustria ha modificato la strategia degli ultimi anni, ch’era quella un po’ del collateralismo con il governo. E’ tornata ora con Montezemolo a un rapporto di autonomia. C’è un problema di carattere generale, che va affrontato. Sono necessarie delle forme di integrazione tra le varie organizzazioni, in modo da incidere concretamente sulle scelte. In agricoltura poi è necessario recuperare il valore dell’unità tra le associazioni agricole, aspetto che invece è stato ritenuto un elemento secondario, concentrandosi invece di più sull’elemento dei servizi. Se le organizzazioni si limitano ad essere solo delle agenzie di servizi, viene meno il ruolo fondamentale ch’è quello della rappresentanza.

La disaffezione da parte degli agricoltori non è forse dovuta a una poco felice gestione delle organizzazioni nel passato? Mi pare di notare che oggi semmai qualcosa stia seppure lentamente mutando, in senso positivo, anche se soprattutto a livello locale. Noto inoltre come le persone più qualificate e capaci, nell’ambito delle organizzazioni, vengano spesso sacrificate e non hanno i ruoli giusti…
E’ un problema che riguarda un po’ tutte le organizzazioni. Dipende anche dal fatto che non matura quel pluralismo che va fondato adesso su nuovi elementi rispetto al passato. Un tempo avveniva intorno alle componenti partitiche, oggi il profilo della realtà è cambiato, ma non ci sono nuove forme di pluralismo aperte a una progettualità. Ciò dipende in parte anche dai mezzi di comunicazione che non favoriscono con il loro atteggiamento tale approccio. Mentre il tentativo che sta facendo lei di aprire una tribuna molto libera sui temi, suscita interesse. Ecco io noto invece che in generale sulla stampa specializzata agricola si tenda soltanto a riportare le veline delle organizzazioni e non piuttosto a stimolare una riflessione molto più libera sui temi forti.

Manca un dinamismo interno, un cambio ai vertici…
Le racconto un episodio. La riforma della Pac. Noi abbiamo fatto l’anno scorso una trattativa come sistema Paese contro il disaccoppiamento. Oggi che siamo andati ad attuare la riforma, la scelta prevalente, soprattutto da parte di quelle organizzazioni che più si sono battute contro il disaccoppiamento, è stato invece quella di applicare il disaccoppiamento totale. Ora, o abbiamo sbagliato l’anno scorso, o non c’è alcuna riflessione critica. Tutto avviene senza neppure fare autocritica sugli errori che magari sono stati commessi. Oppure, qualora vi fossero oggi nuovi e ulteriori dati, sarebbe opportuno sapere il perché abbiamo fatto certe scelte, diverse rispetto a quanto si prospettava l’anno precedente. Tutto ciò rappresenta un evidente elemento di debolezza delle organizzazioni.

Ci sarà un futuro diverso?
L’agricoltura sta evolvendo. Sta assumendo sempre più una nuova fisionomia, diventando qualcosa di diverso rispetto a un’agricoltura soltanto di tipo tradizionale, legata alla produzione di beni alimentari. In qualche modo anche le organizzazioni saranno investite da tali segnali di novità, da tali modifiche. Si imporranno quelle organizzazioni che riusciranno a rappresentare la nuova ruralità. A essere maggiormente impegnati su tale fronte sono le forze giovani e soprattutto le donne nell’agriturismo e nelle produzioni di qualità.

Ci saranno anche donne all’interno dell’associazionismo, con un ruolo di primo piano, come già sta accadendo a livello locale…
Sì, a livello locale ciò sta già avvenendo, anche se persistono delle resistenze all’interno delle organizzazioni. Occorre dunque fare in modo che la situazione si sblocchi. La Cia in questo momento si sta avviando al cambio di presidente, in vista dell’assemblea nazionale del 28 luglio. Si presenta con due candidati, quindi con una novità rispetto al passato. Vi saranno due programmi, si sta svolgendo una discussione nel merito dei programmi e ci sono delle posizioni interessanti da parte dell’associazione “Donne in campo” e anche da parte dei giovani. Purtroppo tali elementi di novità restano nel chiuso dell’organizzazione e non sta diventando oggetto di osservazione di coloro che si occupano di cose agricole. Ciò dunque non aiuta un fenomeno di rinnovamento e di vivacità che pure si sta manifestando all’interno delle organizzazioni.




INTERVISTA AD ANTONIO RICCI



Abbiamo chiuso il sondaggio sulle organizzazioni di categoria agricole e non potevamo certo trascurare la tua testimonianza. Del resto hai iniziato la tua attività proprio a partire dal mondo dell’associazionismo…
Sì, sono stato attivo in parecchie realtà associazionistiche, tra l’altro in qualità di direttore della Confagricoltori di Foggia, Venezia, Bologna. Il mondo associazionistico posso dire di averlo vissuto in prima persona.

Partendo dalla tua personale visione della realtà, che giudizio complessivo formuleresti nei confronti delle organizzazioni agricole di categoria. Positivo, negativo? O penseresti piuttosto alla classica via di mezzo, a una soluzione più accomodante, che punti a un futuro diverso e più costruttivo rispetto a ciò ch’è stato e all’oggi?
Il mondo associazionistico ha subito una evoluzione che ha offerto molte opportunità in questi anni. Anche se – va detto – fino a poco tempo fa tali opportunità non erano state utilizzate appieno, restando più su un piano virtuale che sostanziale. La parte che riguarda sia gli aspetti burocratici, sia gli aspetti normativi, e di conseguenza anche fiscali, certamente non hanno consentito di accelerare il fenomeno di mutamento che pure è in atto nella società. Sono convinto che se si volesse fare un ulteriore salto in avanti, si rende inevitabilmente necessario concepire delle forme di associazioni libere, tra imprenditori e piccoli coltivatori, che puntino a realizzare insieme dei contratti di prodotto, cercando di massimizzare al meglio le risorse non solo della terra, che ne costituiscono la base, ma soprattutto le economie di scala che si verranno a determinare lasciando una certa libertà, non vincolistica. E’ importante facilitare, promuovere e incentivare un libero associazionismo. Ciò non significa che non ci sia un libero associazionismo, ma attualmente tale realtà è ancora legata a una serie di cavilli, di adempimenti e limiti di carattere giuridico-fiscale che senz’altro sono un po’ in antitesi con gli obiettivi che invece ci si pone di raggiungere. Dovremmo guardare a titolo di esempio a ciò che hanno realizzato inglesi e francesi, i quali già trent’anni fa seppero cogliere le necessità del mondo agricolo, di avere strutture e organismi snelli. L’associazionismo è per l’Italia non dico un male necessario, ma può essere una grossa opportunità per cercare di colmare e ridurre il gap con le altre agricolture europee, in quanto noi abbiamo una struttura fondiaria diversa, con una proprietà parcellizzata che non ci consente di raggiungere quell’economia di scala che il mercato invece richiede.


Rispetto al sondaggio di “Teatro Naturale” quale aggettivo avresti scelto per definire le organizzazioni agricole?
Affidabili. Nel senso propositivo ed esortatorio. Oggi si invoca tanto una impostazione liberistica dell’economia che costituisce però un falso problema. Non si può infatti accettare che questo mondo associativo sia poi soggetto a una forma serpeggiante e latente di dirigismo. E’ questo il punto cruciale.

I lettori hanno invece risposto senza esitare optando per l’aggettivo “politicizzate”. Si tratta di una valutazione errata o c’è qualcosa di vero in tale giudizio?
Una volta lo erano. Fino a sette, otto anni fa. Adesso c’è un movimento trasversale. C’è per fortuna, in questo grande salto culturale, una impostazione diversa. Oggi nulla si è risolto ancora, però siamo sulla buona strada. La politica dirigistica va comunque al di là della politicizzazione, perché il potere economico è sempre superiore a quello politico.

E’ possibile per l’associazionismo guadagnare la fiducia e il consenso pieno degli agricoltori?
L’associazionismo è l’unica opportunità che i produttori agricoli hanno per trovare uno spazio di autonomia e sopravvivenza. Chi non ha acquisito tale sensibilità, è destinato a essere soltanto un semplice salariato del sistema economico. Magari il produttore pensa di fare ciò che richiede il mercato, ma in realtà i mercati sono sempre condizionati dai poteri forti. In più il rischio è di perdere la propria identità di imprenditore agricolo, piccolo, medio o grande che sia. L’associazionismo può piacere o meno, ma è il male necessario per la sopravvivenza.




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