Economia
E' NECESSARIO TORNARE CON I PIEDI PER TERRA. MAI COME ORA IL “CARO VINO” INIZIA A DESTARE MOTIVI DI PREOCCUPAZIONE
Prezzi elevati. Ricarichi stratosferici. A chi imputare le responsabilità? I produttori correggono il tiro, ma faticano a riconquistare le quote di mercato. Nostra inchiesta sull’arretramento di un comparto ritenuto per molto tempo vincente, ma che oggi dimostra i primi segni di cedimento
24 gennaio 2004 | Luigi Caricato
Una delle preoccupazioni più attuali riguarda un fenomeno che ha messo in forte imbarazzo un comparto che sembrava essere in piena salute. Invece, tra gli addetti ai lavori si profila un futuro piuttosto complicato e impervio. Il mondo del vino, dopo i grandi successi degli ultimi anni, si sta un po’ ripiegando su se stesso e nel frattempo sta cercando di trovare risposte in merito a una crisi non ancora del tutto evidente, ma che apre a scenari poco incoraggianti.
Una delle cause di un lento ma inarrestabile arretramento è stato individuato nell’abusato fenomeno del cosiddetto “caro vino”, che unitamente a una presenza massiccia sui mercati internazionali di vini prodotti in nuove aree del Mondo pone problemi nuovi e di non facile soluzione.
Già, i prezzi dei vini. Qualcuno – o forse in tanti? – ha un po’ calcato la mano e senza neppure riflettere a sufficienza sulle conseguenze dei rincari sta ora percependo pian piano i primi segnali di un preoccupante stato di crisi futuro.
Sul tema abbiamo ascoltato i pareri di alcuni rappresentanti di diverse categorie professionali e l’opinione di un consumatore.
Franca Ciccarelli è analista di mercato presso l’Ismea.
Severino Garofano, enologo, è consulente per varie aziende.
Fabio Denti è giornalista esperto del canale Horeca e caporedattore del mensile “Bar Business”.
Carlo Lavuri è titolare della enoteca omonima ad Agliana, in provincia di Pistoia.
Angelo Ricci è sommelier e patron del ristorante “Al Fornello da Ricci” a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Ampelio Bucci è produttore di vino nelle Marche, a Ostra Vetrere, in provincia di Ancona.
Angelo Ruta, regista cinematografico e teatrale, nonché disegnatore, è stato sentito in qualità di consumatore.
A chi attribuire la responsabilità del “caro vino”?
Franca Ciccarelli: Sicuramente è stata molto determinante, per il vino da tavola e da massa, la flessione del 2002 e del 2003. La produzione scarsissima ha portato, soprattutto nel 2002, a una forte crescita dei prezzi all’origine.
Severino Garofano: Come sempre non è mai da una sola parte. Vi è una somma di responsabilità che va opportunamente ripartita. Anche il produttore ha le sue colpe. Il palcoscenico di tale situazione è il ristorante, con gli eccessivi ricarichi praticati. Ma è sempre il consumatore che finisce per pagare le conseguenze.
Fabio Denti: Tutti i rappresentanti della filiera hanno contribuito in qualche modo. Non si tratta solo dei pubblici esercizi. I forti ricarichi non sono avvenuti tanto sui grandi vini, ma su quelli che costano dai tre ai quattro euro, messi poi in lista anche a 25 o 30 euro. Non è solo responsabilità dei ristoratori tuttavia. Certo, alcuni ristoranti stellati, di alta fascia, hanno proprio sul vino i più alti guadagni. Di sicuro gli esercenti hanno la principale responsabilità, ma la si può ripartire comunque su tutti i componenti della filiera.
Carlo Lavuri: La richiesta c’era e tutti andavano sui prezzi alti. E’ stata la moda e il mercato di qualche anno fa a spingere in tale direzione. La richiesta e l’euforia del mercato, perciò sono stati i punti di partenza. Non si è purtroppo valutato il vino da farsi come primo obiettivo; i produttori hanno invece preferito scegliere da subito la fascia di prezzo su cui collocarsi.
Angelo Ricci: Penso sia dovuta al rincaro di tutto ciò che ha riguardato l’ultimo periodo. Anche noi come ristoratori abbiamo dovuto aumentare il prezzo, inevitabilmente. Lo stesso è accaduto per i produttori di vino. Si tratta, io credo, di un fattore contingente.
Ampelio Bucci: Fa un po’ paura questa specie di moda esplosa un po’ su tutti i mezzi di comunicazione, quella di parlare di “caro vino”. Tranne alcune eccezioni, non è vera. È fastidioso pensare che il tema ricorrente di oggi sia il caro vino. Siamo in un mercato saturo, certo, ma in un Paese ricco. Siamo dunque abituati a vivere bene e a segmentare gli acquisti. Si possono comprare camicie a basso come ad alto prezzo. Siamo in grado di dare una immagine diversa a prodotti diversi. È strano che ora di colpo vi sia un atteggiamento di riserva nei confronti del fenomeno vino. In mezzo ci sono pure i vini cari, indubbiamente; ma si tratta di prodotti di seconda fascia che hanno cercato di incalzare l’effetto trainante dei vini mitici. Un consumatore più attento, comunque, è in grado oggi di valutare la differenza.
Angelo Ruta: Credo che sia da attribuire ai distributori; e poi ai meccanismi della pubblicità, che indirettamente contribuiscono a incrementare i prezzi dei vini. Entrare all’interno di un canale di vendita e pagare l’ingresso, implica un costo aggiuntivo che peserà poi sul prodotto.
Perché si è giunti a tale eccesso?
Franca Ciccarelli: Con tassi di crescita a due cifre della materia prima impiegata è difficile che poi non ci sia una ripercussione sul prezzo dell’imbottigliato. E’ molto difficile valutare l’effetto dell’euro perché vi è stato un aumento molto forte del prezzo della materia prima, determinato da fattori produttivi. Per le denominazioni di origine invece è stato più contenuto. Più che altro c’è un po’ una differenziazione dovuta alle tipologie dei prodotti presentati. Vi è in genere la tendenza, da parte del mondo della produzione, ad aumentare i prezzi laddove si nota che il mercato recepisce l’aumento ed è possibile farlo finché questo è possibile.
Severino Garofano: Perché il vino ubriaca senza rendersene conto. E’ il fenomeno dell’euforia che ha preso forza. Questo successo, portato al massimo dalla stampa che ha elogiato alcune aree vitivinicole, ha dato la stura a un entusiasmo che ha fatto smarrire alcuni punti base. Vi è oggi troppo entusiasmo per una bevanda che in fondo rimane povera e non consente grandi profitti.
Fabio Denti: Il grande successo del vino ha creato senza dubbio le condizioni, così com’è capitato in altri settori diventati di moda. E’ questo, io credo, ad aver contribuito ad alzare il prezzo. E’ il consumatore che richiede il vino. In molti però non hanno mai riflettuto abbastanza sulla ragionevolezza del prezzo. Adesso però il consumatore è diventato più attento. D’ora in avanti avranno successo i produttori che riescono a coniugare la qualità con un prezzo più accessibile.
Carlo Lavuri: E’ il movimento che si è creato intorno al vino a determinare l’eccesso. La possibilità economica non è mancata. Il buon mercato nel territorio, l’aumento di interesse, la diffusione, hanno portato qualcosa. Molti vini sono stati cercati e pagati ad alto prezzo, ma sono risultati però poco bevuti. Faceva moda avere una data bottiglia, perché averla era un oggetto di culto in certi ambienti. L’eccesso si è verificato in questo senso. Si acquistava a tutte le cifre e di conseguenza la stessa stampa promuoveva tale moda. Si iniziava con vini importanti, ma non si comprendevano bene questi vini.
Angelo Ricci: Non riesco a capirlo. Non lo so, è un fatto che non comprendo. E’ stata una grossa necessità. Se non avessimo adeguato i prezzi alla vita corrente, ci avremmo rimesso. Il fattore scatenante però non riesco a capirlo. Il costo del lavoro stesso incide oggi moltissimo.
Ampelio Bucci: E’ un allarmismo che io non avverto. Con i marchi di prestigio ci sono anche spese enormi in ricerca, in marketing… Fossero tutti cari i vini, potrei capire. La corsa a innalzare i prezzi sicuramente sì, c’è stata, ma occorre fare le opportune distinzioni. Intanto l’idea di un eldorado in cui poter guadagnare facilmente è finita. In compenso esiste una qualità media dei vini che si è elevata. Alcuni prodotti di alto prezzo presto si assesteranno. A preoccupare, semmai, è che ora di vino nel mondo ce ne sia tanto. Ci sono nuovi impianti che certamente creeranno molti problemi.
Angelo Ruta: Perché alla base c’è stata una maggiore domanda da parte del mercato, alla quale la categoria non era pronta a far fronte con una offerta adeguata; quindi c’è stato un po’ di arrembaggio.
C’è il rischio che il consumatore esprima perplessità e si allontani?
Franca Ciccarelli: E’ la realtà, perché tanto poi alla fine adesso stanno tornando indietro. In ogni caso il mondo delle denominazioni di origine è molto vario per cui è difficile generalizzare. Sicuramente ci sono prodotti che sono andati molto bene negli ultimi anni – Chianti, Barolo, Barbaresco – che poi hanno risentito degli aumenti dei prezzi all’origine. Sicuramente poi ci sono i prodotti di fascia medio o medio-bassa in cui gli aumenti sono stati più contenuti. Possiamo concludere che nel caso dei vini da tavola a determinare i rialzi sono stati gli andamenti della produzione; per i vini a denominazione di origine, invece, vi è stato l’adeguamento dei produttori alle risposte del mercato. Laddove il mercato, soprattutto estero, acquistava entusiasticamente tali prodotti, i produttori si sono spinti oltre con i prezzi.
Severino Garofano: Il rischio è soprattutto sottolineato dal fatto che di vino se ne parla troppo. Oggi ad appropriarsi del vino sono categorie estranee e non professionali che banalizzano con l’inesperienza e la mancanza di sapere il prodotto. Si sta eccedendo peraltro in manifestazioni dedicate al vino. Il vino dovrebbe esprimere cultura, ma non è così. Anche per il cibo, come per il vino, la troppa TV nell’esagerare sta recando forti danni. E’ diventato un cavaranserraglio. E’ quasi una corsa all’oro, con la grossa delusione di non individuare però l’oro che si pensava invece di trovare.
Fabio Denti: In questo momento no, credo però che i produttori e il settore della distribuzione debbano darsi una regolata. Il consumatore non è più così facilmente “giocabile”. Occorre rifletterci. Tra breve può svilupparsi una controtendenza. Il consumatore abituale può per esempio rinunciare all’acquisto del vino.
Carlo Lavuri: Un po’ sì, bisogna lavorare molto, ma senza allarmismi, cercando di indurre il consumatore verso la strada buona, ch’è quella della conoscenza. La mancanza di cultura del prodotto è stata un po’ la causa di un certo disorientamento successivo. Pagando caro un vino, in molti pensavano di compensare in questo modo la mancanza di conoscenza. Acquisire delle conoscenze circa la provenienza e la qualità dei vini, può contribuire a riprendere il consumatore che si sta allontanando. Occorre lavorare un po’ tutti per comprendere le esigenze del mercato attuale, altrimenti si perderanno importanti quote di mercato. Nell’ultimo anno il controllo del prezzo è partito da una certa cifra in poi. Quando c’è da spendere più di 20 euro a bottiglia si riflette un po’ sull’opportunità dell’acquisto. Si può comperare anche il vino da 70 euro, ma occorre essere convinti. Prima vi era una maggiore disponibilità di danaro, ora si sta invece più attenti. E’ chiaro che c’è una programmazione più meditata degli acquisti. In passato la diffusione è stata troppo frettolosa e disarticolata, molti prodotti per esempio non si vendevano nei posti giusti. Ora si cerca di individuare, per ciascun vino, uno specifico posizionamento di mercato.
Angelo Ricci: Sicuramente sì. Le bottiglie di buon vino a prezzi considerevoli non sono più richieste come un tempo. Adesso si punta a vini dall’ottimo rapporto qualità-prezzo.
Ampelio Bucci: Sì, questo rischio esiste. La ristorazione purtroppo ricarica troppo e non considera che l’importante non è il guadagno, ma il giro, il turn over.
Angelo Ruta: Penso di no, però possono sorgere difficoltà riguardo alla scelta, che sarà senza dubbio più lunga e complessa.
Quali soluzioni per il futuro?
Franca Ciccarelli: Le soluzioni se le dà il mercato stesso. Nel senso che i prezzi sono scesi. Parlo ovviamente dei vini all’origine, perché seguo molto di più questa tipologia di mercato, piuttosto che quella al consumo. Però è chiaro che quanto succede a monte, è il riflesso di ciò che succede a valle. I produttori automaticamente correggono il tiro. Per cui laddove hanno perso quote di mercato provvederanno a far qualcosa. L’aspetto più preoccupante è che ci sono quote di mercato non più facili da riconquistare. Se i tedeschi lasciano il Barolo o il Chianti per un’altra denominazione di origine o per un altro Paese con prezzi più bassi, è molto più difficile che poi i compratori ritornino sui propri passi.
Severino Garofano: Le condizioni per fare un vino devono essere metabolizzate, occorre insistere sul territorio visto nel suo insieme. Occorre puntare sulla storia. Possedere una storia è importante. Senza storia non si può fare un vino. Non si può replicare un grande vino. Difendere i concetti cardine del territorio, come per esempio l’alberello nel Salento, o i vitigni autoctoni, anche se su questo aspetto c’è molto da discutere. Occorre tener presente che il consumatore oggi giudica la qualità del prodotto finale. Combattere i vini creati per soddisfare un certo orientamento della moda è altrettanto fondamentale. Sono i vini del farmacista che non possono più essere concepiti. I vini “farmaceutici” possono essere ottenuti in ogni parte del mondo. Quanti vini sono oggi tutto tannino, ma senza muscolie sostanza. Un vino non può contenere più di quanto c’è nell’uva da cui si ricava, per intenderci.
Fabio Denti: E’ il rapporto qualità-prezzo il fattore più determinante. E’ necessario tornare con i piedi per terra e cercare di compiere, tutti, uno sforzo per trovare soluzioni alternative, come per esempio la mezza bottiglia o il vino al bicchiere al ristorante. Non si può più pensare che il consumatore beva tutto ciò che gli si passa. Occorre calmierare un po’ i prezzi. Ci può essere il rischio di un disinnamoramento.
Carlo Lavuri:. Continuare a bere con il giusto criterio e con gusto, perché il bere deve dare soddisfazione. Il vino è piacere, ti porta in tanti luoghi diversi, si abbina alle tante cucine, fa parte di un’identità. Non si può abbandonare il campo, perché troppo interessante. La “zonazione” viene avvertita come un valore di primaria importanza, ma occorrono più denominazioni di origine vere e meno di quelle politiche. Seguire il lavoro di qualità, ecco cosa occorre fare. C’è da rivedere tutto in un ristorante, vanno rivisti i prezzi, sia del distributore, sia dell’esercente. Un onesto ricarico, né troppo basso, né troppo alto, è la soluzione giusta. Occorre adeguare i prezzi e ridimensionarli. Non c’è onestà verso il cliente, spesso. Trovare in carta vini a meno di 12 o 15 euro a bottiglia in un ristorante sta diventando raro.
Angelo Ricci: Con gli aumenti dei prezzi si rende necessario prestare molta attenzione alla qualità, garantendo il rapporto qualità-prezzo si possono superare molte difficoltà.
Ampelio Bucci: Il risultato positivo è che non ci si trova più nel Paese di Bengodi. La concorrenza è alta. Occorre far fronte alle nuova realtà. Il lato negativo è il terrorismo che si fa sul “caro vino”. Bisogna pensarci molto. Questo fatto influenza molto il mercato del vino. Intanto molti investimenti sono stati fatti per giungere a una rendita, quando invece gran parte del mondo agricolo conosce ben altri ritmi evolutivi. Con i tanti investimenti compiuti nel comparto, c’è ora il rischio che si vendano i nuovi vini già a un prezzo da vino mitico, sin dall’esordio sui mercati. Il problema è che l’agricoltura non è l’industria. Non si può rallentare la produzione agricola. C’è però chi sta tentando un po’ troppo nuove collocazioni. Ma anche in altri settori si sono verificati eccessi di dinamismo. Si è avuto un fenomeno simile molti anni prima, infatti, con altri prodotti, tanto che ora non si notano più gli effetti. Mentre però nell’industria si può correggere il tiro, con le produzioni agricole non è così facile. Fare proiezioni su quel che è successo è sbagliato. In ogni caso, che in ogni parte del mondo si impiantino tanti vigneti non facilita di certo il futuro, anche considerando il fatto che in molti Paesi la legislazione ha maglie piuttosto larghe, tanto da permettere di tutto.
Angelo Ruta: E’ necessario che vi sia una maggiore chiarezza e trasparenza del processo. Forse una maggiore chiarezza circa le denominazioni e la qualità del prodotto contribuirebbe a risolvere ogni problema di comunicazione. Il consumatore è disposto a spendere tanto, ma solo se ritiene che il vino valga il prezzo. Solo in questo modo è più tranquillo e fiducioso.
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