Economia 03/03/2012

Crisi agricola, i problemi non si risolvono con la filiera corta

Crisi agricola, i problemi non si risolvono con la filiera corta

Le produzioni agricole? Pur avendo funzioni strategiche, pesano poco. A sostenerlo è l’economista Piero Augusto Nasuelli. E’ ridefinendo i rapporti contrattuali tra le componenti della filiera che sarà più facile uscire dall’attuale stato d’impasse. Non basta però esibire bollini o etichette. Se si dice che un prodotto Dop costa di più, occorre dimostrare al consumatore anche il perché


Qual è lo stato attuale dell’economia agricola? Che prospettive si delineano per il futuro? Abbiamo voluto indagare su un tema sul quale non sempre è stata posta la giusta attenzione e sul quale purtroppo – occorre pur riconoscerlo – manca ancora un pubblico dibattito, allargato a tutte le filiere agricole. Ad aprirci lo sguardo e ad aiutarci in questo percorso conoscitivo è il professor Piero Augusto Nasuelli, docente di economia ed estimo rurale presso l’Università di Bologna, nonché direttore dell’azienda agraria Alma Mater Studiorum.

Nasuelli ci ha permesso di introdurci in un mondo poco esplorato che andrebbe maggiormente esaminato con grande lucidità. Accademico corrispondente dell’Accademia Nazionale di Agricoltura di Bologna, è anche membro della Società Agraria di Reggio Emilia da anni segue il tema delle “quote latte” e coordina, tra l’altro, il gruppo di lavoro per la filiera latte nell’ambito della ricerca “Forecasting e analisi del rischio nei mercati delle commodities alimentari” FoodCAST finanziata da ISMEA. Con lui abbiamo affrontato questioni che dovrebbero essere continuamente oggetto di rilfessioni.

Professor Nasuelli, allo stato della realtà possiamo affermare senza alcuna ombra di dubbio che l'agricoltura italiana sia segnata profondamente dalla crisi economica. Oltretutto, l'attuale contesto di grande difficoltà internazionale, non fa che acuire i problemi. Le chiedo allora quali scenari si aprono all’orizzonte. Lei intravede possibili vie d'uscita, o si dovrà convivere in maniera oserei dire quasi perenne con la crisi?

Nel 2007 – 2008 il sistema finanziario è stato sconvolto dallo scoppio della “bolla” immobiliare statunitense, gli Stati o meglio i Governi decisero di mettere a disposizione delle banche tutto il denaro di cui avevano bisogno per non fallire. Lo spettro del ’29 aleggiava su tutti i mercati. Si riteneva che la crisi avesse origini prettamente finanziarie e quindi rimettere in moto la finanza, voleva dire superare il momento difficile per poi riprendere la corsa alla crescita.

Si riteneva, quindi la realtà sarebbe ben diversa da quella che è apparsa ai nostri occhi?

Sì, perché questa società globalizzata deve risolvere problemi assai più complessi.

Per esempio?

Ne cito solo due, che ritengo essere fondamentali. Il primo: il mondo non può essere diviso in paesi che producono, i BRIC o BRICS (Brasile, Russia, India Cina e Sud Africa), e paesi che consumano come i PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) e tanti altri tra i quali possiamo anche considerare gli USA. Si devono creare condizioni di maggiore equilibrio e per realizzarlo molti ritengono che sia opportuno ripristinare una politica protezionistica, ma sarebbe un errore.

Perché?

È come prendere un antipiretico quando si ha un’infezione batterica, ti passa la febbre ma non la malattia.

E il secondo dei grandi problemi qual è?

Dobbiamo affrontare seriamente il problema dell’approvvigionamento energetico. Il mondo ha fame di energia, non di energia “costosa”, ma a basso prezzo, e per questo serve la ricerca. Il nucleare ha problemi di non poco conto, la quasi totalità delle cosiddette fonti rinnovabili produce energia per i “ricchi”, solo in pochi casi, esempio geotermico o da qualche biomassa è possibile ottenere energia a un costo accettabile.

Ogni nazione o gruppi di nazioni, si veda ad esempio la UE, dovrà elaborare una strategia per uscire dalla crisi. Non c’è una “ricetta” che vada bene per tutto, proprio perché gli aspetti che ho brevemente segnalato sono in rapporto molto differente tra loro e quindi guai a ritenere che ci sia il provvedimento salvifico.

E l’agricoltura, in un simile contesto, che ruolo ha?

Le produzioni agricole, e mi riferisco alle grandi commodity, come i cereali, le oleaginose, lo zucchero, eccetera, pur avendo funzioni strategiche, pesano poco. Sulla scacchiera del mondo sono un po’ come l’alfiere. Tutto sommato, sono dei pezzi “leggeri”. Questo, ovviamente, non vuol dire che possono influire sul risultato finale della “partita”.

Di conseguenza?

L’adozione di politiche protezionistiche darebbe nel breve-medio termine indubbi vantaggi al settore agricolo, ma non risolverebbero il problema fondamentale rappresentato dalla necessità di creare una maggiore e più proficua integrazione economica tra tutti gli elementi della filiera.

Questo aspetto condizionerà senz’altro la durata della crisi, soprattutto in Italia, perché i nostri problemi non si risolvono con la “filiera corta” o i prodotti di qualità (DOP, IPG). Mi rendo conto che queste sono affermazioni pesanti e sarebbe necessario parecchio spazio, più di quello di un’intervista. Voglio fare solo due esempi.

Prego…

In Emilia – Romagna, nel comparto lattiero sono operative imprese che sono, di fatto, la filiera stessa, si passa dalla produzione alla trasformazione, e infine al consumo, tutto nella stessa “famiglia”, eppure non è definito il modo con cui il maggiore valore aggiunto ottenuto debba essere ripartito tra le componenti della filiera.

L’altro esempio?

Tradizionalmente quando un prosciutto destinato alla stagionatura presentava dei problemi era destinato alla cottura, ed ecco il “prosciutto cotto”, consideriamolo quindi un prodotto di seconda scelta. Nella logica delle cose il prezzo dovrebbe essere più basso, ma le cose non stanno per niente così, nella logica della distribuzione il prosciutto crudo è diventato un prodotto “civetta”. Tutto come semplici esempi a dimostrazione che si devono ridefinire i rapporti contrattuali tra le componenti della filiera, solo cosi sarà più facile uscire da questa profonda crisi.

Bene, se dovesse formulare una valutazione sul piano delle potenzialità espressive delle varie filiere agricole italiane, su quale ripone in particolare maggiore fiducia?

Le condizioni pedoclimatiche, l’orografia, la storia e la cultura di popolazioni differenti influenzano profondamente la produzione di cibi e forse non esiste al mondo cucina più differenziata, ricca di sapori e tradizioni di quella italiana. In un contesto così articolato è naturale che si siano sviluppate tante produzioni e quindi le filiere agricole hanno tutte potenzialità di crescita veramente considerevoli. Pongo però l’accento sul termine “potenzialità”, per molte si deve fare il salto di qualità. È indispensabile investire in tecnologie e definire strumenti di mercato idonei per raggiungere traguardi di redditività che possano garantire un futuro a tutto gli operatori.

Quando si parla di filiere è necessario fare una distinzione tra quelle relative alle grandi produzioni e le produzioni di nicchia, tra quest’ultime comprendo quelle dei prodotti DOP che sul totale della spesa alimentare delle famiglie rappresentano, nel 2010, poco meno del 6%. Solo nel settore dei formaggi la spesa per prodotti DOP rappresenta poco meno del 20% del totale della spesa.

Facendo una graduatoria in ordine decrescente del livello di fiducia, inteso come prospettiva di sviluppo soddisfacente e sempre che vengano adottate politiche coerenti, le filiere sono: quella vitivinicola, quella lattiero-casearia, quella dei prodotti carnei trasformati e per l’ultima l’ortofrutta, ma per questa, gli aspetti strutturali da risolvere sono assai rilevanti.

E cosa emerge dalle filiere che lei molto opportunamente definisce filiere di nicchia?

Come ho già evidenziato è completamente diversa la situazione nelle filiere di nicchia che fanno della qualità la loro strategia vincente. Non è sufficiente dichiarare che si produce nel rispetto di disciplinari, si deve trovare il modo di dare effettivamente conto di quello che si fa e di come lo si fa.

Al consumatore si devono poter fornire tutte le informazioni che desidera in modo tale da aumentare notevolmente il livello di conoscenza e di consapevolezza.

E come si dovrebbe intervenire sui consumatori?

Gli strumenti informatici sono importantissimi al giorno d’oggi per fare tracciabilità. E’ impensabile non dotarsi di sistemi informativi efficienti. Per le produzioni di nicchia oltre la qualità ci vuole “trasparenza”.

In che modo si dovrebbe estrinsecarsi questa trasparenza?

Se al consumatore dico che un prodotto DOP costa, ad esempio il 30% in più di un prodotto non DOP, glielo devo dimostrare. Non è sufficiente metterci un bollino, una etichetta. Spesso però riscontro che non tutti sono disposti a mettersi in gioco, e quindi i risultati finali sono ben al di sotto delle aspettative e delle potenzialità.

C'è un comparto produttivo che esprime maggiore vitalità?

Il settore vitivinicolo esprime una grande vitalità. Nonostante il calo dei consumi pro-capite, si sta rinnovando e alcuni prodotti di grande qualità si sono imposti sia sul mercato nazionale che internazionale.

Perché l'economia agraria non riscontra la medesima attenzione di altre economie?

L’economia è una scienza sociale e quindi distinguere tra “economie” è anacronistico. Nella “scuola italiana” gli economisti agrari hanno svolto un ruolo importante, ma vanno contestualizzati sia in riferimento all’epoca sia alle particolari situazioni dell’Italia, e mi riferisco al periodo che va dalla fine dell’800 a dopo la seconda guerra mondiale. Venerdì 24 febbraio Paolo De Castro, illustre economista agrario, intervistato durante la trasmissione “Uno Mattina” rispondendo a una domanda sul ruolo della PAC ha affermato che gli aiuti comunitari rappresentano ben il 25% del reddito degli agricoltori. Se le decisioni politiche dei governi hanno un peso così rilevante è difficile pensare che il pensiero dell’economista possa avere “un ruolo” tale per cui può attrarre su di se l’attenzione dei mezzi di comunicazione.

Quindi, in conclusione cosa possiamo dire?

Serenamente possiamo anche dire che gli economisti, ultimamente, non stanno facendo una gran figura. Non hanno previsto questa crisi epocale. Hanno consigliato provvedimenti “tampone” che spesso hanno causato più danni che benefici. Dove se ne stavano quando i governi della Grecia facevano i trucchetti sui bilanci? Hanno grosse difficoltà ad individuare strategie per risolvere i tanti nodi “al pettine”, sono troppo condizionati da elementi finanziari spesso di breve periodo, solo così si giustificano i dubbi comportamenti delle agenzie di rating. Insomma, un quadro poco edificante. Nel Governo attuale gli economisti rivestono un ruolo importante, mi auguro che siano guidati più dal buon senso che dalla dottrina e i risultati saranno senza dubbio più evidenti e significativi.

Per chiudere, le domando come mai sui mezzi di comunicazione più importanti per diffusione e prestigio, quasi non viene considerata l'agricoltura? Eppure, un certo peso l'agricoltura ce l'ha…

L’agricoltura, o meglio il settore agricolo considerato nel complesso dalla produzione al consumo, ha un ruolo rilevante, eppure i media si interessano al comparto solo su quegli aspetti che fanno audience: cucina, sicurezza alimentare e “folclore”. E’ ben difficile trattare i grandi temi relativi al progresso tecnologico, al miglioramento quali-quantitativo dei prodotti, dai costi alla produzione sino al consumatore. Si procede con slogan spesso di dubbia valenza tecnico scientifica.

Questi argomenti sono stati più volte affrontati da “Teatro Naturale”, si tratta di trovare un modo per diffondere conoscenza. Personalmente credo molto nelle tecnologie “wiki” e la vostra testata può essere fonte e stimolo per migliorare il livello di preparazione dei consumatori. Questa è forse l’unica via perché si possa parlare di agricoltura e abbandonare una volta per sempre gli stili folcloristici, logori e retorici stile “Linea Verde” di Rai 1 che danno un’immagine completamente falsa e distorta di quello che è e rappresenta l’agricoltura.

 

di Luigi Caricato

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Commenti 1

Emanuele Aymerich
Emanuele Aymerich
03 marzo 2012 ore 05:29

E' vero, come dice Nauselli, che se al consumatore chiedo di pagare il 30% in più per un olio DOP gli devo dimostrare che vale la pena di spendere quei soldi in più, che sono soldi spesi bene, ed è anche vero che un astratto bollino poco convince il consumatore di questo. E non è certo solo il sapore che convince il consumatore, oramai smaliziato da mille prodotti alimentari di produzione industriale, presenti sugli scaffali dei market, che nonostante la loro origine poco naturale presentano aspetto e gusto piacevoli.

La gente non crede più a niente oramai, e i bollini DOP o BIO o quant'altro per i più non sono associati materialmente al nostro reale lavoro di frantoiani, alla nostra creazione artigianale di un prodotto locale di qualità e di caratteristiche legate al territorio. La maggior parte dei consumatori che acquistano olio nei market sono gente di città che, travolti dalla frenetica vita moderna, hanno perso il contatto con il territorio, non se lo figurano più neanche, tutto diventa astratto.

Ed è cosi che quando qualche amico viene da me a visitare il frantoio, gli impianti di molitura e di imbottigliamento, gli oliveti, vede l'olio uscire dal separatore ancora torbido e profumato, vede gli olivi sui quali sono cresciute le olive dell'olio che sta provando, si rende conto che sono olivi della sua terra, con nomi di varietà tipici del suo territorio, sente gli operai agricoli con la pelle cotta dal sole che parlano nel suo dialetto, che gli fanno vedere le ecotrap e gli spiegano che è tutto naturale, ecco, tutto questo gli fa toccare con mano cosa è davvero il DOP e il significato di quei bollini astratti, gli fa capire quanto valga la pena di comprare quell'olio, sì piu caro, ma che non è solo buono ma è qualcosa che ancora proviene dalle proprie origini come oramai pochi altri alimenti.

Ma non basta qualche amico che viene a trovarci, per diffondere questo tipo di cultura: ci vuole un progetto più grande che avvicini molta gente al proprio territorio per fargli capire che DOP è meglio davvero, che non è solo un certificato virtuale. Ed è in questo contesto che si introducono bene dei progetti belli come quello “L’olio di qualità è la garanzia del mangiar bene. Una giornata in frantoio per diventare consumatori consapevoli”, progetto organizzato a ottobre 2011 da Codici e dall' A.I.F.O. -Associazione Italiana Frantoi Oleari- iniziativa che ha previsto la realizzazione di una giornata di sensibilizzazione e informazione nei frantoi di cinque Regioni italiane con l'intento, appunto, di formare e informare il consumatore. Spero vivamente che l'A.I.F.O., con il suo abituale solerte impegno nel sostegno del nostro settore, nella prossima campagna di molitura continui a sostenere questo tipo di lodevoli iniziative, estendendole a tutte le regioni oliandole. Perché per un consumatore informato che vede e che tocca con mano, a cascata, l'informazione arriva ad altri dieci: amici, parenti, colleghi...