Mondo Enoico

“DICO LA MIA”, ALCUNE NOTE SULL’INTERVISTA A TACHIS

Da Nadio Stronchi alcune riflessioni e commenti sugli argomenti trattati dal celebre enologo italiano

20 settembre 2003 | Nadio Stronchi

Nadio Stronchi, autore di “Vignaioli e vini della Val di Cornia e Isola d’Elba”, è un appassionato cultore di vini e, più in generale, di mondo agricolo. Ex dipendente del Comune di Campiglia Marittima, è stato promotore di molti convegni e manifestazioni che hanno stimolato i produttori vitivinicoli e dato origine alla rinascita enoica della Val di Cornia.
Bibliofilo e instancabile ricercatore lo sappiamo impegnato nella stesura di un nuovo saggio. Augurandogli buon lavoro, restiamo in attesa di leggere e presentare ai nostri lettori questa sua nuova opera.


La libertà di pensiero è necessaria e se usata con umiltà e tolleranza da i frutti sperati. Sono contento che questo giornale telematico vivrà con questa funzione.
Per onorare lo spirito libertario "di dire la mia", provo a commentare l’intervista a Tachis comparsa sul primo numero di questa rivista.
Questa secolare disputa di confronti con i francesi, nel settore della enologia, mette in evidenza una cosa certa, per me, quella delle storie umane che per molti secoli hanno contraddistinto i due popoli; per ragioni diverse, i francesi antropologicamente più uniti verso il sociale e le istituzioni e noi molto invasi e divisi da altre culture di conseguenza antropologicamente individualisti. Mentre i francesi facevano cultura nelle cantine, noi avevamo più poeti che tecnici che parlavano di vini.
Non è molto tempo che gli enotecnici-enologi si sono organizzati con una propria struttura. Da quel momento i nostri vini hanno fatto un salto di qualità enorme; non scordiamo che le Condotte Enologiche sono nate negli anni settanta e prima di quella data i vini eccelsi erano appannaggio di pochissimi territori.
Sull'uso dei lieviti selezionati ricordo alcuni giudizi dell'enologo Piero Pittaro il quale, trovandosi all'isola del Giglio, si raccomandò di non stravolgere le qualità di quei vini di uve Ansonica, di un piccolo territorio-museo vitivinicolo, con i lieviti selezionati.
In quanto all'aggiornamento professionale sarei ben lieto vedere gli enologi spaziare con mezzi economici e strutture sempre più ampie; l'ogm, nella viticoltura, è un'altra evoluzione inarrestabile, un metodo e un gioco con i quali la persona impegnata si vuole misurare e dimostrare per elevarsi culturalmente e per offrire qualcosa di migliore. Le istituzioni devono essere coinvolte in ogni aspetto con spirito innovativo.
Riguardo ai prezzi dei vini e all’immagine del vino come prodotto povero, senza per questo mettere in discussione il concetto di libero mercato, non sono i poeti sentimentali di una volta che parlano di vini. Oggi, sono giornalisti più o meno preparati che usano termini enologici per descrivere le qualità dei vini che sarebbero più idonei per una letteratura di narrativa per ragazzi. Per questo e per molti altri aspetti dovrebbero essere più consorzi di tutela a prendere le "redini" in mano e coordinare e promuovere l'evoluzione delle aziende e dei vini dal vigneto al prodotto in degustazione.
Altro aspetto negativo che riguarda le istituzioni regionali e quello di un continuo invito ai produttori a coltivare vitigni autoctoni. Questo volere coinvolgere il vino nella storia dei territori è un intento positivo ma, la vita economica non può vivere di solo storia, deve trovare, alla fine di tutti i nobili scopi, sbocchi di offerta. Ci vorrebbe una evoluzione produttiva più rapida consacrata da norme legislative più snelle per sconfiggere la diffidenza, l'individualismo che si trasferiscono con facilità dentro ogni istituzione pubblica e privata ma, per il momento l'enologia italiana, escluso alcuni piccoli produttori, è sostenuta, forse meglio dei francesi, da grandi produttori che vanno per la propria strada "ricamando" dentro la filiera enologica e dietro di loro uno schiamazzo che, spesso, non rispecchia la realtà.

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