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IN CRESCITA LA PRODUZIONE DI GRAPPA E DI ACQUAVITI D’UVA, MENO BRILLANTI I CONSUMI

La grappa non è considerata di tendenza, non attira i giovani, più vicini alle acquaviti. Distillato considerato eccessivamente popolano, può riservare piacevoli sorprese per i bouquet di profumi e sapori. Serve più comunicazione e marketing, oltre che una diversificazione dei mercati, dipendiamo infatti troppo dai tedeschi

19 giugno 2004 | Graziano Alderighi

“Il nostro distillato di bandiera, la grappa, ha messo a segno nel 2003 il record in termini di produzione, toccando i 120.000 ettanidri a fronte dei 105.000 dell’anno precedente. Molto positivo anche l’andamento delle acquaviti d’uva che raggiungono i 6.400 ettanidri contro i 6.000 del 2002 e i 1.500 del 1999. Italianità e naturalità della grappa costituiscono i fattori di successo del nostro prodotto, ma non dobbiamo per questo adagiarci sugli allori”, dice il presidente uscente di Assodistil Giuseppe Bonollo.

Se dall’esame dei livelli di produzione passiamo a quello dei consumi il quadro cambia.
Le grappe, che registrano ottime performance nei canali all’ingrosso e vendite dirette e un andamento più riflessivo in GDO. Il segmento che registra i maggiori incrementi nelle vendite è quello delle acquaviti d’uva che, con un +10% rispetto al 2002, ha collocato sul mercato circa 1,7 milioni di bottiglie.
Per capire meglio il mercato dei distillati e della grappa in particolare ed avere un quadro più preciso del profilo del consumatore, si possono riportare sinteticamente i risultati di un interessante studio condotto da Demoskopea nel 2003. Da questa ricerca è emerso che i buyer della GDO riconoscono alla grappa un ruolo importante, in quanto, nelle sue diverse declinazioni qualitative e tipologiche, garantisce prestigio al punto vendita.
Secondo Italo Maschio, presidente del Comitato Nazionale Acquaviti e vice-presidente neo-eletto di AssoDistil “gli industriali del settore non vogliono diffondere la cultura del “bere tanto” ma del “bere bene,” ossia di un consumo consapevole di distillati e acquaviti. I buyer della Grande Distribuzione riconoscono alla grappa un ruolo importante. Anche nel canale HO.RE.CA le performance della grappa sono positive, vuoi per l’allargamento del target dei consumatori, come i giovani e le donne, vuoi per una maggior espansione territoriale del mercato soprattutto nel sud Italia”.

Più problematico ed impervio sembra invece il cammino per conquistare i mercati esteri.
Per quanto riguarda le esportazioni di grappa, secondo Marco Bertagni, direttore di AssoDistil “il decremento registratosi nel 2003 - da 10.713 a 10.068 ettanidri – è principalmente riconducibile alla scarsa diversificazione dei mercati. Il nostro export di grappe dipende infatti in maniera eccessiva da un unico mercato: quello tedesco. Basta una crisi di questo mercato, cosa che si sta verificando, per far flettere drasticamente i volumi di grappa commercializzati all’estero”.
Sembra evidente che, nonostante le enormi potenzialità dei distillati italiani, le aziende del settore non intendano, o non riescano per carenze strutturali, dedicare allo sviluppo dell’attività commerciale estera sufficienti attenzioni.
I nostri industriali sono assorbiti dalle dinamiche del mercato interno che tuttavia, diviene sempre più complesso e che non potrà verosimilmente continuare a crescere con gli stessi tassi registrati negli ultimi anni.
E’ bene fin d’ora considerare l’export come leva strategica e cominciare ad esempio a diversificare i mercati di destinazione. E’ infatti un punto di debolezza evidente per le nostre acquaviti di bandiera dipendere per il 53,3% dell’esportato in bottiglia e per il 78,4% del prodotto sfuso, dal mercato tedesco. Basta una crisi di questo mercato, cosa che si sta verificando, per far flettere drasticamente i volumi di grappa commercializzati all’estero.

Occorre quindi, sia sul mercato interno sia a livello internazionale, diffondere maggiormente la cultura della grappa, promuovere corsi di formazione e aggiornamento e, dall’altro, sostenere il proprio prodotto con azioni di comunicazione, degustazioni e miglioramento del packaging.

Una questione d’immagine secondo Carlo Cambi
Perché la grappa non ha quella forza d’immagine e quell’identità che hanno altri super alcolici come whisky, cognac, vodka, gin, tequila e i superalcolici sud americani? Perché la grappa è demonizzata come superalcolico mentre le altre no? Forse è anche un fattore storico, perché la grappa offre ancora l’immagine dell’osteria, rimanda alle ubriacature, non gode di una identità che meriterebbe.
Questo può essere spiegato anche col fatto che non gode di un certo life style, non fa parte di un modello di espressione di vita.
E’ altrettanto vero che non esiste una ritualità della grappa come esiste la ritualità del bere del whisky, non esisteva fino a pochissimo tempo fa il rituale del bicchiere da grappa, bere grappa non è considerato fashion.
Questo deve cambiare, perché la ritualità della grappa esiste nel saperla assaporare e nel far esplodere il suo bouquet di profumi e sapori, ma addirittura questa ritualità si dovrebbe riconoscere nell’apparecchiatura della produzione, che riporta ai laboratori alchemici delle streghe. Già da lì dovrebbe cominciare la ritualità che un grande prodotto merita, dovrebbe essere uno strumento per avvicinarci alla “conoscenza divina”.
Di buono c’è che la grappa è di derivazione agricola e che è un prodotto familiare da sette secoli, ormai nel nostro DNA.
Oggi il 70% della grappa va in Germania, per esportare meglio e di più è necessario creare e far leva su un fattore culturale e questo per il momento non lo sappiamo fare, servirebbe del buon marketing per trasmettere un’idea di grappa svecchiata e più accattivante, sempre legata però alla sua tradizione artigianale italiana.
Perché la differenza con l’acquavite d’uva? L’acquavite d’uva è un prodotto più nuovo, più recente, fa parte del life style italiano e riesce ad essere venduta meglio, anche fra target giovani di consumatori.

Fonte: Benigna Mallebrein

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