Mondo Enoico 23/10/2015

La mineralità del vino, dalla suggestione alla percezione

La mineralità del vino, dalla suggestione alla percezione

La mineralità di un vino si gusta, si assapora o si annusa? Per la maggior parte di sommelier evoca freschezza e vivacità in bocca e viene associata per lo più ai vini bianchi. Gli esperti si dividono. Differenti visioni tra biologi e enologi, tra scienza e opinioni


Il termine”mineralità” era fino ad una quindicina di anni fa praticamente assente nel glossario enologico e delle degustazioni. Da allora però si è diffuso a dismisura, finendo sulla bocca di tutti, dai professionisti del settore agli enofili al semplice consumatore.

Sembra ormai diventata una sorta di “moda”, di “tendenza”...tutti o quasi parlano oggi di "vini minerali".

Ma che cos'è effettivamente la mineralità? Che cosa c'è di tecnicamente vero dietro questa nozione?

Prima di tutto occorre domandarsi, secondo me, a cosa si lega il concetto di mineralità: è legata al terroir? ai minerali del suolo? è un termine affine alla salinità?
Ma soprattutto occorre domandarsi come viene rilevata: a livello di esame olfattivo od olfatto-gustativo? Cioè mi spiego meglio, la mineralità si rileva con il naso, annusando il vino o con la bocca assaggiandolo? Oppure si tratta solo di mera suggestione?

Proveremo a fare un po' di chiarezza, seppur rimarcando che le pubblicazioni scientifiche sull'argomento sono ad oggi ancora rare e alquanto lacunose.

Anzitutto per darvi l’idea delle dimensioni di questa "tendenza",è bene ricordare che - secondo il giornalista del vino e consulente Van Casteren - il termine "mineralità" appare nell'11% degli articoli dell’importante rivista “Wine Spectator”, addirittura in cima alla lista dei descrittori del vino, davanti finanche al temine "fruttato".

Ma veniamo più specificatamente alle domande di cui sopra sulla nozione di mineralità.

Utili a tal proposito - per capire l’alone di mistero che ancora circonda questo termine e la gran confusione - sono i risultati di un recente studio condotto da Pascale Deneulin, dell’Alta Scuola di enologia e viticoltura di Changins (Svizzera). Tale studio era molto semplice nella sua struttura; venne sottoposto un questionario ad un campione di circa 1700 consumatori francesi e svizzeri, con 3 domande sulla mineralità, da una più generica ad una più puntuale.

Con esso si mirava a studiare le diverse rappresentazioni che proponevano i consumatori sulla mineralità del vino. È emerso un quadro molto complesso e diversificato.
Per il 7% dei partecipanti, la mineralità non evoca niente; la restante percentuale ha espresso invece una propria impressione, associando tale termine a tutta una lunga serie di fattori, alquanto diversificati, ma comunque molto spesso riconducibili al terroir. (Revue suisse Viticulture, Arboriculture, Horticulture, 2014). Molti dichiaravano di rilevare note odorose di pietra focaia, silice, gesso o punta della matita; altri avevano la sensazione di “succhiare un sasso” o avvertivano un gusto metallico in bocca; altri ancora la accostavano all’impressione di percepire il sapore dei minerali del suolo, o più genericamente un sapore salino; a chi ricordava invece la sensazione dell’acqua frizzante.

Ad ogni modo per la maggior parte “mineralità” evocava freschezza e vivacità in bocca, e veniva associata per lo più ai vini bianchi.

Vediamo adesso dal punto di vista più strettamente tecnico. Partiamo dal presupposto che il tenore di minerali del suolo è troppo basso nel vino per influenzarne il gusto; tuttavia gli enzimi per sintetizzare gli aromi utilizzano gli oligoelementi del suolo e del sottosuolo (rame, magnesio, manganese, ferro, zinco, nickel…), da qui la “presunta”mineralità del vino, ci spiega il biologo del suolo Bourguignon. Tanto più le radici si approfondiranno, tanto più la linfa si arricchirà di questi oligoelementi, migliorando la qualità del bouquet di profumi del vino. Ergo la mineralità si annuserà?

Ma sono altrettanto rilevanti gli studi condotti Xavier Vignon, de l’Institut OEnologique de Champagne.

Vignon partì da una semplice constatazione: la composizione chimica del vino è fatta soprattutto di acqua (in media all’85%), le acque hanno una differente mineralità che si percepisce al gusto, allorché anche il vino avrà la sua “mineralità gustativa”.

L’enologo ha analizzato le variazioni del profilo organolettico dei vini aggiungendo dosi infinitesimali di sali minerali. In effetti le differenze ci sono, basta aggiungere un dosaggio minimo (dell’ordine dello 0.5 g/Hl) di un sale come un cloruro o un solfato per vedere aumentata la dolcezza (nel primo caso) o l’amaro (nel secondo). Ciò detto, potremmo allora affermare che la mineralità si gusta, ed è analogo al concetto di salinità, inteso non unicamente come gusto salato.

In ogni caso, vista la scarsezza del materiale che abbiamo a disposizione, in attesa di risultati più chiari e oggettivi, per il momento la mineralità è meglio che rimanga semplicemente evocazione e suggestione.

di Emiliano Racca

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