Mondo Enoico

Confronto serrato e acceso sul futuro del vino biologico

Il timore è che le modifiche al regolamento 203/2012 snaturino il ruolo e la filosofia del biologico mutuando regole e approcci da altri comparti o quadri normativi. Molti i punti da chiarire e i pomi della discordia, come i limiti sui solfiti. Ma la vera domanda da porsi è: cosa vogliamo dal vino bio?

27 marzo 2015 | Emiliano Racca

A pochi anni dall'entrata in vigore del Reg. UE 203/2012 sulla produzione di vino biologico è già tempo di primi bilanci, valutazioni e revisioni… a maggior ragione avendo ormai il mondo del vino biologico conquistato uno spazio rilevante e consolidato, anche per via della crescente sensibilità da parte dell'opinione pubblica verso la tutela dell'ambiente e della salute umana.

Sono infatti oltre 67mila gli ettari vitati, con un incremento del 67,8% dal 2008, 23mila ettari di terreni in conversione, triplicato il numero di cantine bio...! Davanti a certe cifre è fondamentale allora che ci siano regole chiare e facilmente applicabili dalle aziende del settore.

Non c’era occasione migliore del Vinitaly per discuterne: ed è proprio nell’ambito della grande kermesse che è stato organizzato da Federbio assieme ad Aiab e ad altre realtà associative, il convegno: "La revisione della normativa sul vino biologico. Il comparto si confronta".

All’appuntamento si sono riunite tutte le varie anime del comparto vitivinicolo, sviluppando un percorso di ampia consultazione, per porre le basi per future alleanze e sinergie con altri paesi europei, e presentare eventualmente proposte comuni a Bruxelles. Ne è venuto fuori un dibattito acceso ed appassionante, dove ciascuna parte ha spiegato alla platea il proprio punto di vista, facendo emergere divergenze tangibili ma - mi è parso - non incolmabili.

Giacomo Mocciaro del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha presentato la proposta di revisione in discussione a Bruxelles, con le modifiche riguardanti in particolare l’eliminazione o il mantenimento di alcune pratiche enologiche per la produzione di mosti concentrati, il cui utilizzo è di grande importanza per la produzione di vini in Italia.
In particolare Mocciaro ha posto l’accento sulla necessità di un monitoraggio accorto degli standard qualitativi evitando eccessivi abbassamenti e sull’armonizzazione di controlli standardizzati per tutti.

È importante mettersi d’accordo e chiarire quali pratiche enologiche servono e quali no, poiché “senza la parte enologica – ha commentato Mauro Braidot di Upbio (Unione Nazionale Produttori Biologici e Biodinamici) - non possiamo ottenere il vino; è quindi opportuno salvaguardare quelle pratiche, come quella del mosto concentrato, che sono di grande rilevanza in particolar modo per la produzione nelle regioni a forte tradizione vitivinicola del nord Italia”. 

“E’ invece necessario – ha continuato Braidot - lavorare per ridurre i coadiuvanti al fine di marcare ulteriormente la differenza tra vino bio e vino tradizionale anche in cantina”. Tra i coadiuvanti chiaramente anche i solfiti, uno dei pomi della discordia, per i quali i produttori italiani vorrebbero ridurre le quantità ammesse, essendo in effetti troppo prossime a quelle dei vini convenzionali (100 mg/l per i rossi bio e 150mg/l e per i bianchi/rosé; contro i 150 mg/l e 200 mg/l rispettivamente per i convenzionali).

Negli altri interventi, Marco Serventi dell’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biodinamica ha messo in evidenza gli aspetti socio-culturali e tradizionali dell’agricoltura e viticoltura storiche, esponendoci l’approccio sul vino dei biodinamici, molto più restrittivo e critico ad esempio sull’uso dei solfiti aggiunti e su quello dei lieviti selezionati o su pratiche come l’elettrodialisi per la stabilizzazione tartarica.

Più tiepido invece l’approccio di Marcello Lunelli, consigliere Uiv (Unione Italiana Vini), che ha evidenziato l’importanza di approfondire parallelamente sia un discorso puramente tecnico, sia uno di natura macroeconomica. È opportuno quindi partire da un confronto aperto, una comunicazione e una diffusione delle buone pratiche efficace, cercando di mettere tutte le aziende nelle condizioni e nelle possibilità di produrre vino bio. Comunicare e mediare dunque, sono queste le keywords che emergono dal contributo del consigliere, ma anche controllare: bisognerebbe cioè inserire nel Regolamento una parte sui controlli, specifica sul vino, che ad oggi manca,”pescando” semplicemente da altre normative sull’agroalimentare.

In coda agli interventi degli oratori, si è dato spazio alle domande del pubblico presente in sala; fra questi alcuni tecnici ed agronomi hanno espresso il loro timore che la normativa si pieghi troppo ad interessi economici anziché perseguire finalità etiche e di equilibrio con l’ambiente.

Il percorso sarà, ad ogni modo, lungo e in salita; per trovare una sintesi ed intravedere spiragli di luce occorrerà muoversi su un comune denominatore che si può sintetizzare con la seguente domanda di partenza: “Che cosa vogliamo dal vino bio?”

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