Mondo Enoico 18/10/2003

LA DENSITÀ DI IMPIANTO PER IL VITIGNO SANGIOVESE

Un triennio di sperimentazioni nell'area a Doc Monteregio. Ecco alcuni dati e le osservazioni. Non sempre copiare i modelli agronomici francesi porta a grandi risultati


La coltivazione della vite in Italia e nel mondo sta subendo un periodo di profonda trasformazione tecnica ed economica importante sia sotto l’aspetto quantitativo ma soprattutto sotto l’aspetto qualitativo mirato direttamente a rispettare le esigenze del consumatore da tempo “allenato “nel captare ogni minima e accurata differenza di prodotto.
E’ proprio il concetto di qualità il primo obiettivo che deve essere ricercato già al momento dell’impostazione dei nostri vigneti con una densità di piantagione consona alle caratteristiche di quella zona, di quel vitigno, di quella meta che ci siamo prefissati ancor prima di aver contattato il nostro vivaista. Convinto del fatto che i grandi vini nascono soprattutto dall’arte di saper lavorare bene in campagna, spesso si notano dei gravi errori proprio sulle densità di piantagioni adottate seguendo magari i modelli agronomici francesi dove non e’ difficile trovare vigneti con settemila/ottomila piante ad ettaro inducendo perplessità in una regione di elevate tradizioni come la Toscana. Una regione viticola che dopo la crisi degli anni settanta è sulla scia di un graduale rinnovamento relativo agli impianti viticoli, al numero di ceppi ad ettaro, alla densità di piantagione.



Un triennio si sperimentazione
Prendendo in considerazione la densità di piantagione di un vigneto dobbiamo ricordare come il variare della distanza tra una pianta e l’altra, sia sulla fila che sull’interfila, induca dei cambiamenti vegeto-produttivi proprio sulla pianta stessa. A tale scopo possiamo citare l’esperimento condotto per tre annate consecutive in un vigneto sperimentale nella zona D.O.C. Monteregio di Massa Marittima Provincia di Grosseto, il cui scopo era proprio quello di analizzare le principali differenze vegeto-produttive che possono scaturire nell’allevare il Sangiovese a diverse densità d’impianto.
Gli anni in cui si è svolta la ricerca sono stati 1997/98/99.
L’impianto è ubicato su di un terreno con tessitura franco-argillosa, pH sub-alcalino con basso tasso sia di calcare attivo che totale e bassa dotazione di sostanza organica.
Il clone studiato era F9A548 innestato su 420 A.
La forma di allevamento era a controspalliera a cordone speronato unilaterale e bilaterale.
Nel vigneto sperimentale, in maniera randomizzata, sono state impostate 4 tesi con 6 ripetizioni ciascuno alle densità di piantagione di:
Tesi 1 m 2,8 ( tra le file) x m. 1,2 (sulla fila) con 3333 piante ad ettaro
Tesi 2 m 2,5 x m. 1,0 con 4000 piante ad ettaro
Tesi 3 m. 2,0 x m. 0,75 con 6666 piante ad ettaro
Tesi 4 m. 2,0 x m.1,50 con 3333 piante ad ettaro
Sono stati monitorati per tre campagne successive tutte le varie fasi fenologiche della pianta, mediante rilevi visivi in campo, nonché eseguite le curve di maturazione dei frutti con metodiche analitiche. Inoltre il vino, ottenuto dall’uva raccolta nei vigneti sperimentali, oltre a controlli chimico-fisici di routine, è stato oggetto di una degustazione che ha permesso di esprimere giudizi di gradevolezza per singolo campione.

I risultati ottenuti
Dal punto di vista fenologico sebbene siano state analizzate tutte le varie fasi per singola tesi non sono state notate differenze significative sia nel germogliamento sia nella fioritura o invaiatura nelle tre annate successive a confronto.
Solo per quanto concerne l’attività vegetativa sono state rilevate differenze, infatti è stato notato che le tesi a densità di piantagione più bassa hanno provocato una produzione verde per metro lineare più alta rispetto alle densità con più alto numero di piante per ettaro, a fronte anche di un più ampio sviluppo vegetativo.
I dati forse più interessanti si riferiscono alle diversità di fruttificazione delle varie tesi. E’ stato riscontrato nel Sangiovese un maggiore produzione di uva per pianta, per le densità di piantagione più basse, che decresce mano mano si aumenta il numero di piante ad ettaro. L’influenza maggiore su questo risultato produttivo è data dal numero di grappoli per pianta piuttosto che dalla alla variazione del peso medio del grappolo.
Le curve di maturazione, per singola tesi, sono state eseguite monitorando ogni tre giorni, dall’invaiatura alla vendemmia, la concentrazione zuccherina, il pH e l’acidità totale.
E’ interessante osservare come tutti e tre i parametri abbiano, già alla fine di agosto, di ogni singola annata, valori elevati di concentrazione per poi seguire una stasi e una successiva ripresa che si conclude con la fase della vendemmia. La concentrazione zuccherina è maggiore nelle tesi con maggior numero di piante ad ettaro variando da circa 20.5 gradi brix nella densità con 6670 piante ad ettaro a 17.5-18 gradi brix nella densità con 3330 piante ad ettaro.Valori simili si hanno laddove abbiamo 2980 e 4000 piante ad ettaro.
L’acidità totale, espressa in grammi litro di acido tartarico, oscillava da 7.0 gr/lt nella tesi con 6670 piante a 8.2 gr/lt nella tesi con 2980 e 3330 piante ad ettaro.
I valori di pH non davano differenze statisticamente significative variando da 3.15 a 3.25.

In conclusione
Occorre ricordare come acquisizioni di questo calibro sono da considerarsi indispensabili su di ogni singolo territorio in quanto è stata più volte osservata una grande variabilità dei risultati in funzione delle condizioni ecopedologiche e dei fattori tecnico-colturali in cui si svolgono le ricerche.
Volendo valutare l’influenza della densità di piantagione si hanno varie possibilità, variando la distanza tra le file, sulla fila o entrambi i parametri.
Negli anni dei rilievi è emerso come la miglior qualità di uva si ottenga con densità di piantagione più elevate anche se non ci sono state differenze sostanziali tra i vari sesti d’impianto se non a livello quantitativo dove il sesto 2,8 x 1,2 ha prodotto di più per metro lineare.
Possiamo quindi ipotizzare che per ottenere risultati ottimali in termini enologici con il vitigno sangiovese in areali simili a quello preso in esame occorre lavorare sia su densità di piantagioni elevate (6660 piante ad ettaro) ma anche con interventi di diradamento dei grappoli per raggiungere il carico ottimale di uva proporzionato direttamente alla pianta.

di Lorenzo Brugali