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NON ESISTE VALIDA ALTERNATIVA ALLA SOLFOROSA. ECCO PERÒ COME UTILIZZARLA AL MEGLIO

È utilizzata in tutte le fasi della vinificazione. La sua azione antisettica e antiossidante è unica. La necessità di ottenere vini più sani esige un utilizzo meno massiccio e una maggiore attenzione sulle modalità d’uso. Bisogna quindi ottenere gli effetti tecnologici desiderati senza effetti negativi sulla salute umana

19 febbraio 2005 | Graziano Alderighi

Cos’è la solforosa?
È, innanzitutto corretto parlare di anidride solforosa. Un composto chimico che si può presentare in varie forme: da H2SO3 a SO3.
Si parla invece di anidride solforosa combinata se è legata ad alcuni composti del vino come acetaldeide, zuccheri, acidi chetonici, acidi uronici o prodotti d’ossidazione. A seconda della stabilità del legame si parla anche di combinata permenente o debole.

Cosa si trova in commercio
A seconda dell’impiego, della preparazione del personale di cantina e della attrezzature a disposizione si possono utilizzare:
- solforosa liquida
- soluzione solfitante
- metabisolfito di potassio in polvere
- metabisolfito di potassio effervescente

La forma certamente più diffusa ed utilizzata è il metabisolfito di potassio in polvere. Presenta una concentrazione del 55%, è poco solubile in acqua fredda, ma è poco costosa ed i rischi per l’operatore sono minimi. Da qui il suo successo.
Altre soluzioni sono poco praticabili, come la solforosa liquida, che richiede attrezzature particolari, personale addestrato e specifiche autorizzazioni all’uso.
Recentemente è stato anche riscoperta l’efficacia del metabisolfito di potassio granulare effervescente in fase di stoccaggio del vino. Semplicità e praticità d’utilizzo, rapida dissoluzione e distribuzione omogenea ne fanno un ottimo strumento. Se il prodotto è vecchio o è stato stoccato in luoghi umidi la perdita, anche parziale, dell’effervescenza può dare luogo a differenti gradienti di concentrazione all’interno del contenitore, che potranno essere corretti solo rimontaggi o comunque movimentando il vino.

Utilizzo della solforosa
L’utilizzo dell’anidride solforosa è presente in ogni fase della vinificazione.
L’azione antisettica che esercita ad inizio della fermentazione alcolica è infatti determinante per una selezione dei microrganismi che andranno a evolvere il mosto. Alla fine del processo una sua, pur limitata, aggiunta raggiunge il benefico scopo di abbattere notevolmente la carica microbica totale, stabilizzando il vino.
Ricordo tuttavia che, per i rossi, nel caso si voglia effettuare la fermentazione malolattica, la prima aggiunta di solforosa va effettuata solo al completo esaurimento dell’acido malico.
Proprio nel caso dei vini rossi è anche bene tenere presente che l’anidride solforosa è antagonista nella formazione di composti coloranti stabili, quindi va aggiunta con moderazione, ancorchè tenendo conto che deve svolgere azione antisettica.
Anche nella fase di affinamento l’azione della solforosa è determinante, in particolare per bloccare lo sviluppo di microrganismi indesiderati. Una gestione scorretta di questo composto però può portare a malattie del vino quali il filante o lo sviluppo di Brettanomyces. Recenti studi, benchè non esaustivi nè risolutivi, riportano e consigliano i quantitativi sotto riportati, anche se è bene ricordarlo, indicazioni più precise sulle quantità possono essere fornite solo dopo verifica di alcuni parametri essenziali come pH, temperatura del vino, grado alcolico.
- per Brettanomyces 80 mg/l di SO2 totale
- per Candida 1,59 mg/l di solforosa molecolare
- per Lactobacillus e Pediococcus 50 mg/l di solforosa totale
- per Acetobacter 100 mg/l di solforosa totale
Infine ricordo l’importanza di una uniformità nella distribuzione dell’anidride solforosa. Infatti alcuni microbi, come Candida e Brettanomyces, si sviluppano in superficie mentre altri, come il Lactobacillus, si ritrovano in profondità.

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