Mondo Enoico
Comolli: il consumatore? Vuole vini semplici
A partire dal Vinitaly appena concluso, si dovrà imprimere un cambio di rotta per l’Italia enoica. E’ necessaria una presa di posizione a difesa della “Italianità del vino” in assoluto e nel mondo. Non si possono scimmiottare i gusti americani e sudafricani
25 aprile 2011 | Giampietro Comolli
Mi auguro che la grande fiera italiana del vino, la più importante, abbia fornito diverse e utili indicazioni. A cominciare dal fatto che la politica italiana deve credere e deve dimostrare di credere negli asset del Paese, che sono: enogastronomia, turismo, arte.
Il successo di pubblico è un esempio di interesse, il numero di operatori stranieri è importante, soprattutto con il gran ritorno dei Tedeschi. La vera svolta non è sicuramente data dai seppur positivi numeri di affluenza, presenze, espositori, giro d’affari (c’è chi parla di circa 350 milioni di euro fra diretto, indiretto, collaterale, indotto, pre-post in 5 giorni di fiera) che sono significativi e un successo personale per il Presidente Riello e il direttore Mantovani, ma dal cambio di consumi, modi di vivere, attenzione al vino. Mi riferisco al successo dei vini bianchi, dopo quasi tre lustri dedicati ai vini rossi.
Si cercano vini più freschi, moderni, giovani, accattivanti e rivolti a un consumatore diverso, con un successo assoluto per i vini frizzanti e spumanti italiani, metodo “ italiano” e metodo “classico” .
Il consumatore vuole vini semplici, con sentimenti, senza troppa didattica e scolastica, ideali per ogni momento e ogni piatto, abbinabili ad una cucina europea , ma anche asiatica e sudamericana.
Sono vini veramente globali non per il sistema commerciale, ma per la soddisfazione dei consumatori. I vini con le bollicine possono essere un “coadiuvante” straordinario per creare socialità e avvicinare le persone, il vino deve tornare a essere un prodotto che si deve bere in compagnia, non da guardare e far ruotare il calice. Certamente sempre e assolutamente con “gusto e misura” (come dico da anni), sempre in massima sicurezza, sempre nei luoghi deputati e a tavola, principalmente.
Basta esaltarsi per volumi e quantità. L’Italia è il paese leader per storia, per tradizione, non per nulla è stata chiamata “Oenotria tellus”: ebbene l’Italia deve riprendersi la leadership del “modus” di bere, della strategia e tipologia di vini. Per vent’anni si è inseguito un modo di fare il vino e di bere dettato da altri Paesi, vini rossi corposi, impegnativi, difficili, morbidi, abboccati, eccessivi, invecchiati, legnosi, alcolici…
Basta scimmiottare, basta autoreferenzialità dei vini, l’edonismo e il narcisismo enoico sia nel creare un vino sia nel volere a tutti i costi essere premiati dalle guide, ha portato a produrre vini omologati, tutti con gli stessi vitigni, molti e quasi solo vitigni internazionali.
L’Italia deve saper prendere in mano la nuova strategia globale. E’ vero che oggi noi italiani consumiamo 38 litri procapite (cioè 1 calice da 100 cc al giorno!!) quando 50 anni fa erano 120 e 20 anni fa 80 litri, ma è possibile recuperare un consumo interno, si può, sempre con massima sicurezza, controlli e dentro la misura.
Bisogna puntare su vini moderni, freschi, giovani, di facile approccio, dedicati alla “domanda” del consumatore, ideali per momenti diversi, espressione di un modo di mangiare e vivere più “soft” e nello stesso tempo in grado di recuperare quella unità e convivialità a tavola, in famiglia, fra amici, in luoghi di lavoro. Il vino è soggettivo e privato, non più collettivizzato e dettato da esperti, da informazioni, da guide, da premi.
Oggi il vino italiano è diffusamente buono, difficile trovare un vino non degno. Eppoi la comunicazione, deve puntare su elementi di valore aggiunto, integrati e legati alla naturalità, alla genuinità, alla salubrità di un territorio (l’apertura delle cantine) e la promozione deve essere fatta da esperti, da persone che conoscono bene i vari aspetti, non possono essere degli improvvisati “extrasettore” a dettare le regole, come non possono essere dei tecnici a scegliere le strategie produttive, perché il rischio dell’autoreferenzialità è altissimo.
Per questo il Vinitaly 2011, segna una inversione di tendenza che arriva dal consumatore e dalla domanda, che non può e non deve rimanere lettera morta, anzi deve essere motore e veicolo per una nuova comunicazione e promozione del vino. Il sistema “Paese Italia”, a partire dai vertici del Governo e degli Imprenditori veri che contano, deve prendere atto che il valore diretto e indiretto, l’export, l’attrazione esercitata dal vino italiano, il nostro “oro” insieme a accoglienza, educazione,estetica, gusto, arte e musei, attrazione territoriale e impiego sportivo del tempo libero in campagna, rappresentano un “Pacchetto Italia” da considerare prioritario e strategico verso anche quella tutela e salvaguardia dalla finanza e dall’acquisizione di marchi o dalla mole di vino contraffatto italiano nel mondo oramai a quota una bottiglia su tre.
Un grave danno pari a circa 1,3 mld di euro, solo per il vino. Occorre smetterla anche di parlare di rapporto “ qualità prezzo” perché ha spinto al ribasso sempre il prezzo unitario, senza riconoscere la qualità ma solo il buonmercato, bisogna parlare di rapporto “identità valore” perché solo così i 22 miliardi di giro d’affari del vino (di cui 4 mld realizzati all’estero) possono essere propulsore per tutto il sistema. Il consumatore non ha più bisogno di una esame “ecografico” della sensorialità del vino, ha voglia di informarsi da solo, vuole crescere a contatto con il produttore. Il vino piace o non piace. Per questo spero che il protocollo firmato dalla Brambilla e da Romano possa far nascere quella “ politica strategica integrata turismo-alimentare” che è il nostro “Asset Paese”.

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