Mondo Enoico

Aromaticità dei vini bianchi, questione genetica ma non solo

Scoperto il gene che determina l'aromaticità delle uve ma affinchè il vino abbia un complesso bouquet occorre uno sforzo anche in cantina attraverso una limitazione delle ossidazioni prefermentative

26 febbraio 2011 | Graziano Alderighi

I ricercatori dell'Istituto agrario di San Michele all'Adige hanno scoperto il gene che determina l'aromaticità delle uve e sviluppato un metodo basato sul Dna che stabilisce con molta precisione se una vite può produrre uve aromatiche oppure neutre.
Si tratta del gene Dxs e il gruppo di genomica applicata del Centro di ricerca e innovazione ha associato le sue variazioni alle caratteristiche aromatiche di 150 vitigni che producono uve a diversa intensità aromatica contenute nella collezione dell'Istituto nazionale di ricerca agronomica di Montpellier. La ricerca, pubblicata recentemente sulla rivista Bmc Plant Biology dal giovane ricercatore Francesco Emanuelli e altri membri del gruppo, ha evidenziato che il cambiamento di un amminoacido nella proteina codificata dal gene è responsabile dell'accumulo di monoterpeni nella bacca di uva e dunque della comparsa del tipico aroma moscato nelle piante che portano la variazione genetica.
Un'applicazione immediata di questo risultato sarà la valutazione precoce di nuove varietà prodotte dalle attività di miglioramento genetico classico e, infatti, i ricercatori hanno già sviluppato un metodo rapido per lo screening dei semenzali.

Uve aromatiche non sempre significa però vini aromatici, in particolare se non vengono controllate sufficientemente in cantina le ossidazioni prefermentative che possono condizionare l'aromaticità di un vino e la sua stabilità nel tempo.
Tre i fattori prevalenti da tenere sotto controllo in cantina: temperatura, ossigeno e pH.
Il pH, parametro di più facile controllo, dovrebbe essere mantenuto in un range molto stretto, variabile dai 3 ai 3,5.
La temperatura è fondamentale in quanto all'innalzarsi di questa si determina un abbattimento del carico aromatico. Di solito la vinificazione in bianco, per vitigni aromatici, dovrebbe durare dai 10 ai 20 giorni ma la temperatura di fermentazione non dovrebbe superare i 20 gradi. In alcuni casi, il mosto viene lasciato a contatto con le vinacce per un breve periodo, 12-36 ore, ad una temperatura di 7-10°C. Si tratta di un procedimento, detto criomacerazione, che consente di aumentare l'estrazione di profumi ed aromi contenuti nelle bucce, limitando nel contempo l'estrazione dei tannini. Oggi le tecniche enologiche si sono spinte tanto da adottare anche criomacerazioni particolarmente sofisticate, prossime ai zero gradi, per tempi lunghi, anche otto-dieci giorni, per ottenere vini bianchi con una ampiezza olfattiva e una struttura che con le tecniche tradizionali sono di fatto irraggiungibili.
La nuova frontiera enologica, però, riguarda il controllo dell'ossidazione prefermentativa. Già da qualche anno si conducono sperimentazioni per l'utilizzo di gas inerte in fase di pigiatura. Varie le soluzioni tecnologiche prospettate, dall'impiego di neve carbonica in fase prefermentativa, a sistemi di pressatura sottovuoto a sofisticati macchinari di pressione con utilizzo di gas inerti. Certamente il sistema più semplice ed economico è quello di utilizzare le presse pneumatiche, insufflando poi gas inerte atto a inertizzare l'ambiente di pressatura. Le quantità di gas utilizzate, però, sono assai elevate ma il loro consumo può essere ridotto utilizzando la CO2 prodotta in fase di vinificazione grazie ad apposite e recenti tecnologie. Il controllo dell'ossidazione in fase di pigiatura, o comunque in prefermentazione, non è tuttavia una tecnica matura e può dare, nel caso non venga utilizzata sapientemente, con controllo costante del potenziale redox e del colore del mosto, problemi di stabilità fenolica nel tempo.

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