L'arca olearia

L'Italia dell'olio? Poggia sugli allori di un tempo che fu

A fronte di un mercato salito del 3,59% dal 2008 al 2009, l'Italia ha perso il 5,94%, rispetto alla Spagna. Il nostro Paese si è visto sottrarre tutta la crescita dei mercati mondiali. Si arretra dappertutto. L'analisi lucida e dolente dell'esperto di marketing Massimo Occhinegro

13 febbraio 2010 | Massimo Occhinegro

Massimo Occhinegro

Gent.mo Direttore, le scrivo questa lettera per fornire un mio piccolo contributo al dibattito che si fa sempre più acceso e interessante sull'olio di oliva italiano e su tutte le strategie possibili per rilanciarlo.

Prima di entrare nel merito, lo spunto mi è venuto leggendo l'articolo di Duccio Morozzo della Rocca pubblicato sull'ultimo numero della rivista (link esterno), desidero "snocciolare" alcuni dati che fanno preoccupare seriamente.

Molti dei suoi lettori questi dati già li conoscono ma è sempre bene portarli nella giusta evidenza per sensibilizzare chi in questo settore può prendere delle decisioni, per una volta serie e portate avanti con grande determinazione.

I dati che intendo fornire si riferiscono all'export dei due Paesi che attualmente sono i più grossi esportatori di olio di oliva nel mondo, la Spagna e l'Italia.
I primi dati dell'esportazione si riferiscono al confronto 2008 e 2009 per i primi 8 mesi dei rispettivi anni, con quantità espresse in chilogrammi.

Nel confronto 2008/2009, complessivamente la Spagna ha venduto 265.649.062 Kg di olio di oliva (inteso in tutta la sua gamma) contro i 207.885.636 Kg dell'Italia. L'Italia ha ottenuto un decremento delle vendite del 2,35% mentre la Spagna ha realizzato un + 8,78%. C'è da aggiungere che mentre nel 2008 l'Italia, sul totale mercato aveva una "quota" del 46,57%, nel 2009 sul totale, la "quota Italia" è scesa attestandosi al 43,90%

Dunque a fronte di un mercato salito del 3,59% dal 2008 al 2009, l'Italia ha perso il 5,94%, rispetto alla Spagna. In altre parole, giusto per cercare di essere più chiari, La Spagna ha preso tutta la crescita dei mercati mondiali (l'Italia "niente") e inoltre, essendo cresciuta dell'8,78%, ha "eroso" il 2,35% al nostro Bel Paese.

Se andiamo nel dettaglio dei vari Paesi, partendo da quelli che acquistano maggiori quantità di olii di oliva, è tutta una selva di valori negativi, a fronte di una crescita "incontrastata" della Spagna. E questo indipendentemente "dall'origine" dell'olio. Infatti o che si esporti extra vergine Italiano e le sue Dop/Igp o che si esporti prodotti blend per così dire "mediterranei", l'Italia sta perdendo costantemente quote di mercato.

Anche in Paesi che vedono le vendite sia della Spagna che dell'Italia crescere (quindi con segno nero) la crescita dell'Italia è quasi sempre al di sotto della Spagna.
E' il caso della Germania, dove l'Italia segna un + 6,43% a fronte di un + 9,68% della Spagna, oppure è il caso, andando in altra parte del globo, del Giappone dove l'Italia segna un + 6,59% contro un + 21,61% della Spagna. Perfino negli Stati Uniti, "feudo" dell'Italia, abbiamo perso l'8,19% mentre i nostri "cugini oleari" spagnoli hanno realizzato una performance di un + 11,44%.

Unica eccezione nel panorama è il Canada dove la quota dell'Italia segna un + 8,57% mentre la Spagna realizza un - 12,44% (sic!) A questo punto sarebbe troppo lungo e noioso addentrarsi in un'ulteriore selva di numeri e per questo preferisco "stopparmi" qua, anche per non annoiare chi avrà la pazienza di leggere questo mio intervento.

Mi preme aggiungere che ovviamente questi sono dati "quantitativi" ossia di volume di vendita e non di fatturato. Potrebbe essere molto probabile che in alcuni casi la situazione sia ribaltata.

A questo punto ci sarebbe da domandarsi innanzitutto se l'Italia desidera avere un ruolo ancora da protagonista; secondo, se questo ruolo lo vuole ricoprire come grande produttore di nicchia oppure, per contro, continuare a rivolgersi al più vasto mercato del mass market.

La domanda sorge spontanea giacchè l'Italia, in maniera ancora una volta, molto caotica, poco coesa e, secondo me, poco strategica, punta sull'olio di qualità 100% Italia. In questo modo infatti otterremo un prezzo ancora più alto di quello che già è, nel confronto "impari" con la Spagna e ciò inevitabilmente ci porterà verso un mercato sempre più piccolo fino a divenire vera e propria nicchia. Dobbiamo solo sperare in qualche "bancarotta" ogni tanto dell'azienda spagnola di turno, per riguadagnare (forse) qualche quota qua e là ma nulla di più.

L'articolo di Duccio Marozzo della Rocca (link esterno) è l'evidente segnale che la Spagna in questi ultimi anni ha messo l'acceleratore per spuntarla, a nostro danno, sui mercati internazionali.
Tra un pò la Spagna preferirà vendere il proprio olio confezionato, (sicuramente a più alto valore aggiunto) diminuendo la sua quota di sfuso venduta all'Italia, con la conseguenza che i nostri prezzi, nei mercati internazionali saranno tanto più alti rispetto a quelli spagnoli, che il consumatore, spinto dal "gusto" propagandato dal Paese Spagna, lo lascerà sugli scaffali con un bell'addio ai produttori nostrani.

In molti Paesi, il successo degli olii di oliva deriva dalle ricerche effettuate sul prodotto che lo definiscono "salutistico" o healthy, solo successivamente subentra il gusto.

Ma qual è il prodotto che si vende di più in tutti settori alimentari, qual è il prodotto che ha la più grande quota di mercato, il migliore nel gusto? Oppure quello che il "marketing" ha saputo "spingere" e pubblicizzare portandolo sulle tavole dei consumatori?

Certamente ci può anche essere un marchio che è Principe sia sulle sue caratteristiche precipue che nelle vendite, ma è "merce" rara, credo ed in ogni caso la differenza la fa il consumatore che sceglierà il "suo" prodotto migliore ossia quello, adeguatamente pubblicizzato , comunque "healthy" (il nostro olio italiano è healthy quanto quello spagnolo) , preferibilmente quello che avrà il miglior rapporto qualità prezzo.

Un'altra constatazione che mi sento di fare è questa. l'Italia punta ed ha puntato solo ed esclusivamente sull'Olio Extra Vergine di Oliva (sulla base del suo comportamento storico nell'ambito del ciclo di vita del prodotto) gli spagnoli anche, ma intanto vendono, surclassando l'Italia, tutti gli altri prodotti della gamma e cioè olio di oliva e olio di sansa. Ossia noi "snobbiamo" questi prodotti giacchè li consideriamo "feccia" o quasi, mentre gli altri se ne approfittano e crescono in misura esponenziale.

Faccio un esempio negli Emirati Arabi Uniti, da gennaio fino a tutto agosto 2009 si sono venduti 2.877.247 Kg di olio. La Spagna copre l'88% del mercato (quindi all'Italia resta un misero 12%) ma di questo 88% ben il 68% è olio di sansa. E così vale per altri Paesi.

Tutte queste mie considerazioni vorrebbero rappresentare un forte stimolo a tutti gli operatori della filiera affinchè agiscano congiuntamente senza farsi una guerra tra "poveri", agire insieme sia sul fronte della comunicazione, che deve essere la più grande possibile, sia sul fronte operativo, intendendo con ciò che l'industria deve avere un ruolo di primo piano nel dialogo con il governo nazionale unitamente alle varie confederazioni agricole al fine di attivare dei cambiamenti "strutturali" indispensabili oggi ancora più di ieri.

Spesso purtroppo mi capita di leggere sui giornali o ascoltare alla radio o alla televisione solo gli interventi delle varie Coldiretti, Confagricoltura, eccetera, senza mai ascoltare chi poi di fatto colloca (in peso % di volumi) i prodotti sui mercati mondiali avvertendo e cercando di contrastare una concorrenza che sta diventando sempre più "spietata" e difficile da contrastare con l'immagine della bella Italia oliandola che fu.

Il Consorzio dell Olio Extra Vergine di Qualità (la Q verde) è stato fatto 7 o 8 anni fa anche con questo scopo, cerchiamo di unirci ancora di più, senza guardarci in "cagnesco" , senza se e senza ma, giacché solo la compattezza può aiutare ad uscire dal guado.

Ancora una volta, per concludere, rivolgo un appello: facciamolo presto prima di essere travolti da una valanga (è il periodo) da cui non saremmo più in grado di uscire. Non solo parole ma fatti concreti.



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