L'arca olearia
La densità di impianto dell'olivo e la relazione con la produttività: mito e tecnica

Il maggior numero di olivi ad ettaro consenta un’entrata in produzione più veloce. Un impianto intensivo potrebbe avere una produttività maggiore in funzione della maggior altezza delle piante che si possono ottenere, non dovendo sottostare al limite delle macchine scavallanti
28 febbraio 2025 | 17:00 | Angelo Bo
I più pessimisti pensano che l’olivicoltura stia scomparendo, altri presi dall’euforia della tecnica pensano che il futuro sarà roseo colmo di droni e robot. Chi avrà ragione non ci è dato sapere ma di sicuro il settore arranca ormai da decenni ed è altrettanto evidente che sta subendo un ulteriore momento di forte cambiamento. La domanda frequente che ci sentiamo porre è quali possano essere le alternative percorribili.
Da alcuni anni ormai abbiamo assistito ad un aumento dei prezzi dell’olio, che è un arma a doppio taglio creando maggior probabilità di coprire i costi di produzioni ma con la difficoltà di trovare il consumatore che riconosca un valore più alto del prodotto.
Da un punto di vista produttivo il cambiamento più significativo attualmente in atto è la crescita di superfici a superintensivo SHD anche nelle aree del centro Italia, che, se da un lato potrebbe essere vista come rinnovamento degli oliveti con un miglioramento della tecnica di coltivazione e riduzione dei costi di produzione, in realtà non sta avvenendo in questi termini. Infatti, il mancato rinnovamento è attribuibile all’ubicazione degli impianti, i superintensivi vanno ad occupare superfici di pianura prima non ad oliveto; quindi, non sostituiscono quelle inefficienti ma malauguratamente peggiorano solo il divario (ipotesi già ampiamente dibattuta anni fa) con le superfici di collina, che coprono la stragrande maggioranza degli oliveti del centro-nord Italia, che restano al palo. Poco gestite, poco redditizie, poco interessanti ma di primaria importanza nella gestione del territorio.
Se scaviamo un po’ più a fondo nell’olivicoltura del centro-nord Italia, i problemi più evidenti sono almeno due: impianti poco efficienti con costi unitari elevati e la conseguente difficoltà nel trovare il posizionamento del prodotto, secondo è la difficoltà di reperire manodopera specializzata. Il contoterzismo è una buona soluzione per le operazioni più semplici come la raccolta ma ad esempio nella potatura ci sono grandi margini di crescita.
Per innovare davvero il settore dobbiamo senza dubbio rendere gli impianti più efficienti, la potatura, la raccolta e la gestione del suolo sono resi costosi dagli ampi spazi di movimento a vuoto che ci sono negli impianti di vecchia concezione o che semplicemente sono sopravvissuti a mille eventi con conseguenti numerose fallanze. Quindi è vero che dobbiamo migliorare la gestione dei nostri impianti in generale ma in molti casi è necessario rinnovarli proprio e potremmo riassumere che dobbiamo tendere a impianti che permettano:
- valorizzare le caratteristiche delle varietà (idonee per i vari sesti d’impianto) e la loro interazione con le caratteristiche pedo-climatiche;
- rendere le operazioni colturali più efficienti e meno costose;
- ridurre l’alternanza di produzione
- aumentare la produttività ad ettaro;
In un periodo in cui sono aperti bandi che prevedono finanziamenti anche per il reimpianto, rinfittimento o impianto ex novo degli oliveti, nonché la loro meccanizzazione, è proprio vero che nei nuovi impianti per aumentare la produttività si debba seguire l’assioma che alla maggiore densità d’impianto corrisponde una maggiore produttività?
Per cercare di sfatare qualche mito proviamo a fare una simulazione teorica basata sull’obiettivo di riuscire ad avere un incremento medio della produzione di un kg/anno/pianta, negli impianti a minor densità solo negli anni successivi al 7° si considera un aumento superiore al kg.
Abbiamo costruito un confronto ipotetico che potrebbe avere valore nel centro nord Italia, tra sesti d’impianto: superintensivo SHD (1600 piante/ettaro), intensivi HD (500 e 1000 piante/ettaro) e tradizionali T (300 piante/ettaro), oltre ad un impianto definito sparso LD (150 piante/ettaro).
Tenuto conto che sono obiettivi di produzione possibili ma nella realtà dei fatti i risultati saranno raggiungibili, eccessivi o anche troppo bassi in funzione della tipologia di terreno, microclima, illuminazione, capacità gestionali, disponibilità di acqua etc. Infatti, nelle varie situazioni potremmo avere un angolo di inclinazione della linea di produzione maggiore o minore, con un corrispondente entrata in produzione più precoce o ritardata.
Quindi a parità di cura gestionale e di varietà possiamo ipotizzare che le piante seguiranno la stessa curva di accrescimento e sviluppo, e il grafico 1 ci aiuta a capire le differenze tra sesti d’impianto.
Potremmo asserire che sino al 4/6 anno la gestione sarà simile, dopo avremo il primo cambio radicale; infatti, in un ideale SHD le piante avranno raggiunto la dimensione massima consentita per il passaggio delle macchine scavallanti, mentre negli altri casi cresceranno ancora, per fare un esempio con 300 piante per ettaro la dimensione massima sarà raggiunta in molti contesti anche dopo quindici/vent’anni.
Dalla simulazione appare evidente la maggior velocità dell’entrata in produzione dell’impianto, raggiunta la produttività massima a pianta il sistema si ferma ad un valore che è funzione della varietà/sesto d’impianto adottato.
Nella realtà dei fatti, la produzione massima raggiungibile (a parità di gestione colturale) dipende molto dalla varietà, ad esempio, Arbequina in molti areali ha portato ad avere produzione di olive di 10 T/ha, grazie alla sua alta produttività e alla sua costanza di produzione negli anni, mentre se prendiamo il nostro Maurino è più ragionevole una produzione annua a regime intorno a 6/7 T/ha, con la varietà Frantoio si raggiungono 7/8 T/ha.
È evidente come il maggior numero di piante consenta un’entrata in produzione più veloce, i limiti maggiori consistono nella disponibilità di luce, nell’adattabilità della cultivar e nella durata dell’impianto.
Alti livelli di produzione possono essere raggiunti anche dal sistema intensivo HD e da un impianto tradizionale T, il punto dolente sono il quantitativo massimo che è condizionato dal sistema varietà suolo, e il tempo per raggiungere la massima produzione potenziale, ad esempio per avere le 10 tonnellate per ettaro di produzione annua su un impianto da 300 piante per ettaro saranno necessari per ogni pianta circa 33 kg, produzione alta, raggiungibile in areali vocati, difficile da ottenere con costanza negli anni in areali meno vocati, e anche se potrebbe essere raggiungibile appunto dopo quanti anni? Almeno 12/15 o forse di più?
Per contro un impianto intensivo HD potrebbe avere una produttività maggiore in funzione della maggior altezza delle piante che si possono ottenere, non dovendo sottostare al limite delle macchine scavallanti. Oltretutto potrebbero essere più adatti ad una raccolta in continuo sulla fila (un lato alla volta). In ogni caso le buone produzioni ad ettaro raggiungibili ed un tempo non particolarmente lungo per raggiungerle (aumentate dall’elevato numero di piante) potrebbero fornire una valida alternativa per mantenere ampia la scelta di varietà utilizzabili e valorizzare i territori di collina.
In passato era stato proposto anche il sesto variabile, proprio in questa direzione, un sei per sei; quindi, circa 300 piante/ettaro che veniva piantato a sei per tre, con il doppio delle piante per ettaro, dopo alcuni anni era previsto di eliminare piante alterne sulla fila, arrivando al definitivo sei per sei. L’obiettivo era proprio avere una maggior densità di piante nei primi anni e un miglior equilibrio di illuminazione negli anni successivi. Spesso questo schema non è stato correttamente seguito nel tempo, sono state trovate delle varianti ma con successo limitato per molti motivi non ultima la difficoltà dell’olivicoltore nel tagliare una pianta di 10/12 in produzione ed i conseguenti effetti nefasti.
Per tornare alla nostra simulazione dal grafico 1 si evince come la produzione ad ettaro, se le condizioni pedologiche, climatiche, varietali e agronomiche lo consentissero, potrebbe anche essere superiore nei sesti di impianto a minor densità la produzione media sarà comunque inferiore, e non di poco, come riportato in tabella 2.
In conclusione è necessario puntare alla massima produzione ottenibile, ma è importante averla prima possibile e l’altro aspetto che deve essere preso in considerazione ovviamente sono i costi di gestione; infatti, non sempre la massimizzazione della produzione si traduce in un costo unitario più basso a causa della produttività marginale dei fattori produttivi e non ultimo tra le variabili gioca un ruolo importante la resa in olio (caratteristica varietale), produco più olive ma se la resa è bassa perdo competitività con altre varietà che garantiscono una resa migliore.
Inoltre, dove sono presenti sesti d’impianto regolari anche se non ad alta densità, come i T300, il perno attorno al quale orbitano le produzioni non è sempre e comunque il sesto d’impianto (gestione straordinaria) ma, come ogni altra variate, l’attenta gestione agronomica (gestione ordinaria) che è in qualsiasi tipologia d’impianto l’unico strumento per ridurre l’alternanza di produzione.
Infine, nel momento in cui l’azienda vuole effettuare una scelta importante riducendo i rischi è bene avere più dati possibili, produzione, mezzi tecnici utilizzati, ore macchina, ore uomo, costi, ogni singola informazione è preziosa! Non ultimo il sistema che introduciamo nella nostra azienda deve essere compatibile con la struttura nel suo complesso, con le attrezzature disponibili o utilizzabili, con la disponibilità di assistenza tecnica delle machine adottate, con la disponibilità di manodopera in grado di gestirla correttamente.
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Accedi o RegistratiAngelo Bo
02 marzo 2025 ore 16:01Grazie Francesco!
Se cerca uno studio che le dica l'ipotesi 1 costa x e l'ipotesi 2 costa y e di conseguenza conviene l'ipotesi 1 oppure la 2, non lo troverà mai. E se lo trovasse non si fidi.... Infatti, il punto a cui si vuole arrivare con un ragionamento simile a quello impostato nell'articolo è l'analisi di più variabili possibili in modo da poter costruire in azienda la reale convenienza o meno.
Riguardo all’impatto sul suolo che hanno alcuni sistemi molto intensivi e sulle differenze con i sistemi meno intensivi, ci sono studi spagnoli.
Si potrebbe fare un ragionamento simile per ogni variabile, ad esempio quanti concimi uso dipende dal tipo e dalla fertilità del terreno in cui cresce l'oliveto... potremmo trovare dei dati medi, ma saranno fuorvianti.
Come riportato nell'articolo è importante costruire un'analisi dei costi specifica, ed è indispensabile costruire un business plan che sia più fedele possibile alle condizioni reali dell’azienda.
Altrimenti succede come nei casi in cui viene considerata, ad esempio, la produttività massima di una cultivar rilevata sul pianeta, ma nella situazione specifica sarà inferiore, e il business non è sostenibile economicamente.
Saluti
Angelo
Hikmet Ahmet Karaçelik
02 marzo 2025 ore 21:18Gentile signor Francesco Silvestri,
Non ho ancora letto uno studio complicato sullo sviluppo fenologico dell'olivo.
Tuttavia, potrei non essermi imbattuto in una ricerca o un articolo scientifico del genere.
Se trovo un articolo basato su una ricerca scientifica su questo argomento, te lo farò sapere.
Cordiali saluti
Hikmet Ahmet Karaçelik
28 febbraio 2025 ore 19:50Gentile direzione del TEATRO NATURALE,
Buonasera.
Seguo tutte le vostre pubblicazioni e le trovo molto utili.
Ammiro questa tua pubblicazione, penso che sia una grande ricerca che porta una prospettiva diversa sugli uliveti.
Vorrei ringraziare il titolare dell'articolo, Angel Bo, e te, esperto di TEATRO NATURALE, per averlo pubblicato. Cordiali saluti
Hikmet Ahmet Karaçelik
Francesco Silvestri
01 marzo 2025 ore 10:03Articolo molto interessante, tuttavia sarebbe utile sapere come incidono i costi di impianto, irrigazione, uso dei concimi, deterioramento del suolo sulla variabile produttività negli anni.
Ci sono studi in merito?
Cordialità.
Francesco Silvestri