L'arca olearia

IL MERCATO SI INDIRIZZA VERSO UNA FORTE RIDUZIONE DEL PREZZO. E COSI', OLTRE AL DANNO LA BEFFA! LA GRANDE DISTRIBUZIONE DA UN LATO, E IL FISCO DALL’ALTRO, RENDONO DIFFICILE LA VITA DELLE AZIENDE

Una lucida analisi di Massimo Occhinegro. "Price competition", è questa la nuova chiave interpretativa. Chi opera nel più vasto settore alimentare, ma soprattutto nel più complesso comparto oleario, sa quanto sia difficile riuscire a entrare nella Gdo e riuscire a rimanervi, senza uscirne poi con le ossa rotte

06 ottobre 2007 | Massimo Occhinegro

Una volta entrati nella GDO, (ma ciò è normalmente possibile solo dopo aver pagato “fee” di ingresso anche pesanti, senza alcuna garanzia di acquisto), occorre sottostare agli “schiaffi” dei buyers.
Non voluti, per carità, ognuno fa il proprio mestiere, ma dettati da dinamiche competitive sia a livello della distribuzione stessa, sia a livello di imprese concorrenti offerenti la medesima classe di prodotto.
In altre parole, solo per rendere il discorso più comprensibile, entrambe spingono il mercato verso una forte riduzione del prezzo, che viene spesso attuata attraverso una forte “price competition”. Così mentre da un lato la promozione per la distribuzione, rappresenta la prima leva del “retail marketing-mix”, dall’altro, il prezzo, diventa la prima leva del “marketing mix “ dell’impresa: da qui la logica conseguenza della continua pressione sui prezzi.
Il tutto si trasmette, come è noto, a monte della filiera, per cui sono sempre più richiesti costi della materia prima ancor più competitivi con grave danno per l’olivicoltura nazionale, che invece punta solo ed esclusivamente sulla leva del marketing-mix della qualità, trascurando quella, ritenuta oggi purtroppo fondamentale, del prezzo, attraverso opportune strategie tendenti a ridurre i costi di produzione, il tutto in un’ottica di competizione internazionale.

La questione diventa ancor più “tragica” considerando che l’olio extra vergine di oliva, essendo prodotto primario in Italia, è sempre considerato dalla grande distribuzione, classico “prodotto civetta” (termine faunistico, si sa, siamo in pieno periodo di caccia), ossia un prodotto utilizzato, con pubblicità della distribuzione nei volatini, come “specchietto per le allodole” (altro termine ornitologico) per attirare il consumatore nel punto vendita reclamizzato.

Una volta dentro, il consumatore, appunto “allodola”, non si ferma a comprare solo l’olio extra vergine di oliva, dove spesso il prodotto è venduto in promozione (a spese naturalmente del produttore o dell’industria) ma continua negli acquisti di altri prodotti dove il margine di guadagno per il distributore è ben più alto e più che compensa, nel totale della spesa, il “sottocosto” praticato sul prodotto “olio extra vergine di oliva”.
Abbiamo scritto in premessa che lavorare con la grande distribuzione, che consente enormi sviluppi delle vendite del prodotto, comporta una serie di costi.
L’industria, ad esempio, deve sostenere i seguenti costi (la lista non vuole e non può essere esaustiva per la grande fantasia degli operatori commerciali): contributi listing, inserimento prodotti, sell-in, visibilità scaffale, marketing, contributi promozionali per operazioni tipo 3 X 2, premi fine anno, sconti contrattuali, sconti extra contrattuali, premi fedeltà, sconti merce, omaggi e poi ancora, contributi volantino, mantenimento assortimento, segreteria, contributo promo-struttura, contributo promozionale marketing periferico, eccetera eccetera.

Da quanto sopra scritto risulta del tutto evidente quanto oggi sia difficile operare nel comparto dovendo vendere, gioco forza, alla grande distribuzione. Una sola parentesi: può venire da sorridere quando si vedono le fatture dell’industria emesse nei confronti della distribuzione. Si parte da un prezzo alto, per poi arrivare, con la scontistica del tipo 14+5+34% (ad esempio) al fatidico prezzo di vendita del prodotto, che è diverso, in termini di risultato, dallo sconto ottenibile applicando la % come somma degli stessi fattori (53%).
Un continuo “ braccio di ferro”, una continua verifica dei conti fatti e alla fine se ne esce stremati. Già questa, se ben riflettiamo, è una assurdità.
Vendere alla grande distribuzione è quindi una considerevole opportunità per le imprese che desiderano, come si è detto, aumentare in poco tempo, il volume delle proprie vendite. Spesso però è un danno giacché, come conseguenza della strenua contrattazione, se non si sono fatti bene i calcoli, il margine di guadagno dell’industria potrebbe assottigliarsi molto o addirittura, in talune ipotesi, annullarsi.

Fatta questa doverosa lunga premessa, e dopo aver evidenziato il “danno” o meglio i danni causati all’intera filiera dai rapporti intrattenuti con la grande distribuzione, passiamo alla beffa.
Le imprese, micro, piccole, medie o grandi che siano, sono sottoposte ai controlli da parte degli organi verificatori (Guardia di Finanza o Agenzia delle Entrate). E’ normale che ciò avvenga ed ognuno, come già detto fa il proprio mestiere.
Il compito dei verificatori è dunque quello di controllare che l’operato delle imprese sia conforme a quanto stabilito dalle norme legislative in materia fiscale. Gli stessi, per poter giustificare le spese degli interventi (spesso si protraggono per mesi di calendario, anche se per giorni effettivi di permanenza in azienda) di fronte alle autorità superiori, devono spulciare le imprese fino a trovare anche in quelle più virtuose, qualche manchevolezza, sia pur minima. Errare è umano e quindi ritengo impossibile che le imprese, di fronte a un controllo generale, ne escano, almeno in sede di controllo, assolutamente indenni.

Entrando nello specifico delle aziende alimentari e olearie in particolare, quando la verifica risulta parziale (in termini di imposta posta sotto controllo) e in particolar modo in materia di IVA, i verificatori si concentrano proprio nei rapporti che si instaurano tra le imprese industriali e la grande distribuzione. Da qui incominciano le altre noti dolenti, da qui il lettore potrà incominciare a capire il perché del titolo: “oltre al danno (già spiegato) la beffa!
Abbiamo sopra elencato tutti i generi di contributi, sconti dati dall’industria alla grande distribuzione. Il trattamento IVA relativo è diverso a secondo delle differenti tipologie di “intervento” e a seconda della “interpretazione” data alle diverse fattispecie.
Peraltro la normativa in materia è ingarbugliata. Esiste una legge IVA che è il DPR 633/72 ma esistono, proprio per la difficoltà di inquadrare via via le differenti tipologie, una serie di circolari, risoluzioni (qualificate come prassi) una serie di sentenze varie (giurisprudenza), tra cui in ultimo quelle della Cassazione, oltre che una sterminata rassegna di dottrina.

Prima di passare al tema specifico, è necessaria una piccola precisazione. Il rapporto che c’è tra industria e distribuzione nel senso della forza delle parti, non è mai la stessa. In generale possiamo dire che fin dallo sviluppo (ricordo che partecipai a convegni sul tema a Milano alla Bocconi agli inizi degli anni 80) si è dibattuto sul fatto che la distribuzione moderna è sempre più forte dell’industria fatto salvi casi particolari in cui il prodotto è assolutamente “tirato” dal consumatore, si tratta dei rari casi in cui il prodotto dell’industria è una marca molto nota e la distribuzione non può fare assolutamente a meno di averla nello scaffale (ad esempio la Coca Cola)
Nella stragrande maggioranza dei casi però il prodotto deve essere “spinto” verso il consumatore, per il tramite della distribuzione e necessariamente la forza contrattuale della distribuzione è notevolmente superiore a quella dell’industria anche per un fatto meramente dimensionale.
Questa “forza” non è esercitata solo nel momento della fase precontrattuale, ma anche successivamente e attiene inoltre anche alle “imposizioni” sugli aspetti fiscali circa il trattamento da riservare alle varie forme di promozione.
In parole povere l’industria ha serie difficoltà, se non l’impossibilità, a far valere le proprie ragioni circa gli aspetti IVA dei vari contributi erogati, non esistendo alcun contraddittorio. Deve quindi subire la loro impostazione che ovviamente, anche per effetto della ingarbugliata normativa di cui si è detto, non è certo la Bibbia.
La normativa caotica e contrastante rende, d’altra parte, tutto estremamente complesso.
Entriamo ora nel dettaglio. Per brevità di esposizione parliamo solo di una categoria di contributi che tutte le aziende devono erogare.

Massimo Occhinegro

PREMI DI FINE ANNO. I premi di fine anno sono quei contributi che l’impresa “concede” alla distribuzione a fronte di un determinato volume d’acquisto posto come obiettivo di fine anno.
E’ un contributo generalmente condizionato, al manifestarsi dell’evento. Tale premio è espresso in % sul fatturato realizzato. Come trattarlo ai fini IVA? Se viene considerato come obbligo di acquisto di un determinata quantità di merce (minimo garantito) può interpretarsi come prestazione di servizio (obbligo di fare) ed è quindi assoggettabile al 20% di aliquota. Tale fattura dovrà essere emessa per forza di cose dalla distribuzione.
Diversamente se non sussiste alcun obbligo di minimo garantito, potrebbe essere assoggettato a IVA al 4% (la stessa dell’olio) come Nota Credito, ma questa volta emessa dall’industria. Oppure come semplice cessione di denaro (escluso dall’IVA ai sensi dell’art. 2,co.2 lett. A) del DPR 633/72.
Ma i verificatori, come si è detto, devono fare il loro mestiere e allora cosa succede? Se la distribuzione nonché l’industria l’hanno considerata come prestazione di servizio, dicono no, questa è cessione di denaro ed è quindi esclusa da IVA. Cosa significa? Il fisco teoricamente non avrebbe perso niente infatti se la distribuzione ha emesso la fattura applicando l’IVA al 20% vuol dire che tale 20% è stato versato all’Erario, mentre l’impresa che ha ricevuto la fattura se la detrae dal suo conto IVA a debito. Nessun danno, l’operazione è neutrale, questo è quanto avviene sempre, come si suol dire “L’IVA è una presa in giro” per le imprese. Scusate , mi sbagliavo è una “partita di giro”.

Purtroppo, però, considerandola come esclusa, l’impresa non si poteva detrarre quell’IVA che invece ha pagato regolarmente. Risultato: la dovrebbe ripagare all’Erario, per poi rivalersi sulla distribuzione (una parola!); la distribuzione, in questo caso, dovrebbe invece chiederla in restituzione all’Agenzia delle Entrate, che però non intende restituirla (questo è quanto avviene).
Alla fine, dopo tutto questo caos, come si può notare, nulla è cambiato per l’erario (stessa situazione di partenza) se non ci fossero le sanzioni oltre all’imposta da pagare, un’altra volta, come si è già scritto.

Se al contrario è stata trattata come Nota Credito (come una sorta di sconto sul prezzo), allora dicono che doveva essere considerata in realtà come prestazione di servizio o come recita una recente sentenza del marzo 2007, come “esclusa art. 2 DPR 633/72”. E siamo alle solite.

Immaginatevi ora la stessa solfa, ripetuta per tante volte quanti sono i premi, contributi ecc. dati alla distribuzione sotto vario nome. Ovviamente il comportamento della stessa distribuzione non è univoco, pertanto si troveranno tanti casi uguali trattati in maniera diversa.

Ora cosa si può fare? Naturalmente chiedere al legislatore di definire una volta per tutte la questione è impossibile.

L’unica strada da intraprendere sarebbe quella di definire con la distribuzione collegialmente (unitamente all’industria) il modo corretto di comportarsi, per beneficio di tutti gli operatori coinvolti, considerando che da siffatto comportamento diversificato, l’unico a guadagnarci, come tangente legalizzata, è il fisco e in un periodo di spremitura (siamo vicini alla campagna) e di “tesoretto” non restituito, non è il massimo.

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