L'arca olearia

La mafia dell’olio? Un micidiale boomerang

“Gli italiani diluiscono l'olio d'oliva con quello per i motori”. Sono gli echi della stampa estera dopo l'infelice inchiesta di "Repubblica". Come si può notare, l’arte di denigrare non giova. Alla fine resterà solo il discredito

14 gennaio 2012 | Elia Fiorillo

C'è una vecchia legge della pubblicità che vieta di denigrare il prodotto del concorrente. Esaltare certo le qualità della propria mercanzia, ma astenersi dallo sparare a zero sugli altri prodotti similari. Non perché non è politically correct. La correttezza non c'entra. L'interesse invece si. Nel breve periodo si può pur portare a casa un vantaggio, ma sul medio lungo periodo quello che resta è la denigrazione. Il consumatore non ricorderà più quale prodotto era superiore all'altro. Terrà a mente l'elencazione dei difetti, delle storture denunziate, facendo di tutt'erba un fascio. Insomma, l'esaltazione sarà momentanea con un boomerang di ritorno micidiale.

Un'altra regola basilare del giornalismo, per evitare d'informare male il lettore, è quella dell'analisi delle fonti. Guai a fidarsi sempre e comunque dello stesso informatore. Anche quando, o meglio proprio quando, è leader nel suo settore. Il rischio che si corre è di rifilare parti di verità interessate, che più che aiutare a comprendere la questione l' intorbidano. Il contraddittorio, con il giornalista in posizione di terzietà, è il miglior strumento per informare. Specie quando si pretende di fare inchieste giornalistiche.

Ho fatto questa premessa perché ultimamente sono subissato da cattive notizie che vengono dall'estero – India, Cina, Russia Stati Uniti, Canada – e riprendono, sintetizzando in modo assurdo, le posizioni maldestramente espresse in un'inchiesta del giornale “La Repubblica” sull'olio di oliva, dal titolo: “La mafia dell'olio”. Nell'assembramento forzato di dati e tesi, in cui si combinano comportamenti produttivi criminali (ad esempio olio deodorato), con pratiche commerciali corrette, ne esce fuori un quadro - dal mio punto di vista - non veritiero e soprattutto fuorviante. Se una grande industria italiana o un semplice confezionatore produce, perché le leggi italiane e comunitarie lo consentono, miscele di olio proveniente dai paesi dell'Unione Europea o da altre parti del mondo, non è reato. E' reato, che va perseguito con determinazione, se quella miscela di oli comunitari o extra comunitari va venduta come se le olive fossero d'origine italiana. Ma al di là di una serie di dati errati che l'articolo contiene, per esempio sui prezzi (bastava che l'articolista andasse a leggere il bollettino Unaprol per convincersi dell'errore), resta il fatto che i danni d'immagine all'economia del nostro paese sono enormi. Non a caso il Capo dell'Ufficio Economico e Commerciale dell'Ambasciata d'Italia a Mosca, Leonardo Bencini, allarmatissimo trasmette, per una smentita, l'articolo pubblicato dal quotidiano economico russo RBK DAILY (pag. 4 del 27 dicembre 2011) dal titolo: “Gli italiani diluiscono l'olio d'oliva con quello per i motori”. Sommario: ”Gli investigatori hanno valutato il mercato del prodotto adulterato a 5 miliardi di euro. L'immagine del vero olio d'oliva italiano, famoso in tutto il mondo, è minacciata. Secondo i dati preliminari degli organi investigativi italiani, nell'80% dei casi si tratta di grossolane adulterazioni. Non è difficile spiegare la tentazione dei criminali, poiché i volumi di questo mercato ammontano a miliardi di euro”. 

Forse un po' tutti ci dovremmo dare una regolata. Sembra proprio che più si appare sui giornali con notizie spesso roboanti e infondate e più si ritiene di aver fatto bene il proprio mestiere di sindacalista o di politico. La dichiarazione giornalistica a effetto spesso serve come surrogato per stare in campo avendo snobbato, o non ritenendo importanti, i tanti eventi a livello nazionale, comunitario o mondiale dove si formano orientamenti, si assumono posizioni e dove, quindi, non si può mancare. Ma gli italiani, si sa, di fronte agli impegni esteri e alle assunzioni di responsabilità sono riluttanti perché c'è da lavorare senza ritorni, specialmente di visibilità interna.

Sparare nel mucchio, come nel caso in questione, serve solo a fare karakiri. Confusione, e ad alzare polveroni che coprono proprio i furbi che nel settore ci sono e che vanno combattuti con “scienza, coscienza e volontà” da qualsiasi parte essi siano, sul fronte industriale, agricolo o commerciale.

Cosa più faticosa è impegnarsi in organismi interprofessionali – o in consorzi di tutela – dove sono rappresentati tutti i componenti della filiera agricola-alimentare. Certo, il lavoro è difficile, il confronto durissimo. Ma se l'obiettivo è competere con le altre realtà produttive mondiali, Paesi emergenti in primis, allora l'unica via non può essere che questa. Se, invece, l'obiettivo è strettamente personale o di bottega, si continui a esercitare leadership localistiche, come se il mondo non fosse cambiato negli ultimi vent'anni; come se la globalizzazione fosse qualcosa che non riguarda l'agricoltura italiana. Si continui così, ogni volta trovandosi un nemico da combattere e non un possibile alleato da convincere sulla bontà delle proprie posizioni. Ma in questo caso c'è bisogno di lavoro, d'idee, di guardare anche al di dentro della propria realtà e dover ammettere che di errori ne sono stati fatti a go go. Meglio rimaner soli e ogni mattina, dopo una seduta rigenerante di training autogeno, dove ci siamo ripetuti di essere i più bravi, giù a trovar nemici da... abbattere. Se poi rompiamo altro, pazienza.

Conoscendo la sensibilità e il rigore del ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Mario Catania, su questioni così delicate, crediamo che immediatamente convochi un tavolo di tutte le componenti dell'olivicoltura, unitamente agli organismi di controllo del Mipaaf, ma anche delle forze di polizia, per valutare con obiettività la situazione e le azioni da prendere se ci troviamo, come un qualificato ed informato esponente sindacale ha sostenuto, di fronte all'agro-mafia dell'olio, “da combattere anche con il 416 bis”.

 

 

L'autore è presidente di Unasco e del Consorzio di garanzia dell'extravergine di qualità.
 

 

 

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giovanni breccolenti

20 gennaio 2012 ore 09:23

Appurato che l'articolo di Repubblica fa male all'immagine dell'olio Italiano nel mondo,non è che per caso sia ora di concentranci su cosa fa bene all'olio?Vogliamo far si che articoli come questo non possano neanche venire in mente ai giornalisti di assalto?Cerchiamo di cambiare le regole che rendono il prodotto sensibile alle frodi,magari introducendone qualcuna che esalti la qualita'del prodotto,regole che diano piu' certezze sulla effettiva provenienza dell'olio.

Vogliamo lavorare,investire sulla tracciabilita' tramite DNA o no?Quante certezze e tranquillita' in piu' ci darebbe l'ufficialita' di questa metodica?Quanti meno articoli di questo genere sparirebbero?

Vogliamo inserire un limite minimo di polifenoli accettabile visto che tutti i studi scientifici attribuiscono a queste sostanze la maggiorparte dei benefici salutistici dell'olio? Ma anche se cio' non fosse possibile,vogliamo spiegare alla gente che un olio con contenuti bassi di polifenoli è un buon grasso,migliori di tanti altri,ma nulla di piu'(cioe' molti di quegli effetti benefici quasi si azzerano) ?

Vogliamo spiegare alla gente in ognidove che il piccante e l'amaro (il giusto amaro),sono lo specchio di queste miracolose sostanze polifenoliche?

Vogliamo far conoscere alla gente che l'olio non è solo una base piatta con cui condire,ma è anche un ingrediente principale con tutta la sua carica aromatica e di sapori (quello buono,ovviamente)che puo' avere la funzione di esaltatore di cibi ma che puo' essere lui stesso il sapore principale,e che sapore principale?

Insomma vogliamo aprire una discussione su queste cose,basilari per la nostra olivicoltura e per il futuro del nostro olio (cioe' quello che scaturisce sul serio dalla nostra olivicoltura),visto che noi possiamo competere a livello mondiale solo se portiamo avanti la lotta dell'"eccellenza a tutti i costi" e aggiungo della "variabilita' " dei prodotti che il nostro meraviglioso parco varietale olivicolo ci puo' permettere?


Donato Galeone

15 gennaio 2012 ore 00:32

Caro Elia,
attaccare con prove insufficienti, generalizzando, il nostro prodotto agroalimentare riconosciuto "eccellente" in tutto il mondo - come è domandato l'olio di olive italiane - offende - innaziutto - il lavoro e la fatica umana dei produttori, singoli o associati, che conducono con orgoglio i propri oliveti, dalle pianure meridionali alle colline del centro-nord del nostro Paese. Ed ancora, caro Presidente Elia, è davvero tanto scarsamente motivata quanto occasionalmente, forse voluta, allarmante l'emergere della agromafia collocabile anche nell'import/export dell'olio classificato extravergine di oliva, in partenza dall'Italia per il mercato mondiale. Notizia divulgata a margine della prima indagine sulla qualità degli oli di olive italiane affettuata da Coldiretti,Symbola e Uniprol e conclusa con il chiedere al Governo di "colpire l'agromafia con nuovi strumenti, quale Associazione che "acquisisce in modo diretto o indiretto la gestione o comumque il controllo di attività economiche" (3° comma dell'art.416 bis - Associazione di
tipo mafioso.
Caro Elia, concordo e sono certo della sensibilità del neo Ministro Catania, e che il Governo non può essere "attendista" nel merito dell'allarmismo generalizzato prodotto a meno di un mese di fine campagna molitura delle olive 2011 che danneggia non solo la produzione oleica annuale ma anche colpisce il pluriennale patrimonio produttivo della olivolcotura italiana.
Pertanto, la immediata convocazione ministeriale di un tavolo di tutte le componenti della olivocoltura, caro Elia, Presidente Unasco e del Consorzio di Garanzia dell'extravergine di Qualità, potrà dare una chiara e completa informazione a tutte le componenti delle filiere agroalimentari oltre a promuovere iniziative adeguate nello specifico comparto "filiere" degli oli di olive italiane, all'import/export dell'olio ed ai verificabili contenuti, certificati, di qualità e tipicità di prodotto olio di oliva.
Sono certo che non mancherà il tuo impegno anche in questa imprevista circostanza, da archiviare ma da stroncare e colpire non certo il comparto oleico italiano ma eventuali soggetti fraudolenti singoli o in associazione.
Un caro saluto
Donato Galeone