Energia verde
Dagli insetti, “bioraffinerie” per produrre energia, nuovi materiali e compost
Il processo di bioconversione è caratterizzato da un’elevata efficienza, dato che le larve riescono a metabolizzare e ridurre in soli 15 giorni fino all’80% del volume del substrato organico
28 giugno 2019 | C. S.
Utilizzare insetti che si nutrono di materia organica in decomposizione per la produzione di biocarburanti avanzati, materiali innovativi biodegradabili o fertilizzanti agricoli (ammendanti). È l’obiettivo di un progetto condotto da un team di ricercatori del Centro ENEA della Casaccia che punta ad alimentare le larve di un insetto saprofago, un dittero conosciuto come “Black Soldier Fly”, con cibo di cui è “ghiotto”, come i fanghi di depurazione di acque reflue, letame e scarti dell’industria agro-alimentare o della gestione del verde. Durante la crescita le larve riescono ad operare la bioconversione di questi substrati organici, trasformandoli in molecole quali lipidi, proteine e polisaccaridi che possono trovare applicazione in campo energetico, cosmetico, farmaceutico e agroindustriale.
Nell’ambito del progetto, condotto in collaborazione con il Laboratorio di Entomologia Sanitaria dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale per la Lombardia e l’Emilia Romagna, è stata messa a punto una vera e propria “bioraffineria” di piccole dimensioni che punta a sfruttare materiali da smaltire per ottenere biocarburanti avanzati ma anche nuovi materiali per la chimica verde, come bioplastiche e rivestimenti biodegradabili, in linea con i principi dell’economia circolare. Oltre alla biomassa di insetti, attraverso il processo di bioconversione si ottengono deiezioni e residui che possono avere un elevato valore agronomico se utilizzati come ammendanti per favorire la crescita delle piante in agricoltura o nel florovivaismo.
Il processo di bioconversione è caratterizzato da un’elevata efficienza, dato che le larve riescono a metabolizzare e ridurre in soli 15 giorni fino all’80% del volume del substrato organico. Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato che il microbioma dell’apparato digerente di questo insetto riesce a modificare la microflora del substrato, riducendo la carica di eventuali batteri nocivi quali Escherichia coli e Salmonella enterica e senza che le larve (o gli esemplari adulti) ne diventino portatori.
“Il nostro obiettivo è incrementare l’efficienza del processo e caratterizzarlo determinando il profilo nutrizionale e lipidico e il contenuto di polisaccaridi come la chitina negli stadi maturi dell’insetto con la prospettiva di amplificare e migliorare la strategia di utilizzo di questa specie, che finora è stata considerata solo nella produzione di farine proteiche per la zootecnia”, sottolinea Silvia Arnone del Laboratorio Biomasse e Biotecnologie per l’Energia dell’ENEA.
Nel mondo si contano oltre 4.000 specie di insetti saprofagi che nutrendosi di materia organica come vegetali, carcasse di animali o escrementi, permettono al substrato di decomporsi e diventare nuovamente disponibile per piante e altri esseri viventi, svolgendo un importante ruolo nel ciclo della vita.
“Prove preliminari con tre regimi alimentari e diverse composizioni del substrato hanno dato risultati incoraggianti, propedeutici alla messa a punto di prove sperimentali su una scala maggiore con fanghi in combinazione con altre biomasse di scarto, come la frazione organica dei rifiuti urbani o il digestato, un sottoprodotto derivante dalla fermentazione anaerobica delle biomasse”, conclude Arnone.
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