Energia verde

Basta colture energetiche. E' l'ora della sostenibilità degli impianti a biomasse

Ad AgriUmbria un momento di confronto anche sul settore agricolo no-food. Come trasformare i problemi moderni, come la generazione di rifiuti, in risorsa ed energia grazie alla cogenerazione

10 aprile 2015 | Marcello Ortenzi

La 47ma edizione di Agriumbria, Mostra Nazionale dell’Agricoltura, Zootecnia e Alimentazione a Bastia Umbra a fine marzo ha evidenziato un’ampia e diversificata esposizione merceologica e proposto soluzioni innovative per realizzare modelli tecnologici da trasferire nelle differenti realtà agricole nelle quali non solo la specializzazione, ma anche la multifunzionalità delle aziende agricole e agroalimentari, rappresentano il tessuto economico del territorio.
Gli spazi all'aperto e i saloni hanno mostrato le novità della meccanizzazione, mangimistica, progettazione del verde, impiantistica agro-industriale e attività bioenergetica mentre nell'area dei convegni si sono dibattuti vari aspetti in discussione oggi che riguardano l'alimentare e il no-food, anche alla luce dell'attivazione prossima dei Piani di sviluppo rurale.

Nell'ambito del convegno "Innovazione tecnologica per un'agricoltura sostenibile" sono stati illustrati gli esiti di alcuni progetti del Centro di Ricerca sulle Biomasse dell'Università di Perugia. Il direttore del Centro, Franco Cotana, ha rilevato che i criteri di sostenibilità degli impianti a biomasse sono ormai la prima linea guida per la loro realizzazione. Gli indicatori di sostenibilità sono indicatori ambientali particolari che aiutano a comprendere se le condizioni ambientali rientrano in determinate aspettative e soddisfano gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Acqua, aria, suolo, territorio sintetizzano i parametri da tenere presente quando si prevede un progetto di bioenergia. Del resto gli incentivi nazionali alla produzione di elettricità e calore favoriscono gli impianti che utilizzano scarti agroforestali e sono particolarmente integrati nei territori. Quindi residui e scarti vegetali come materiale energetico piuttosto che colture energetiche e utilizzo di terreni scartati dalle coltivazioni alimentari piuttosto che quelli adatti al food.

Uno dei progetti presentati nel convegno ha riguardato come risolvere il problema dello spiaggiamento di grandi quantità di legname, scaricate in mare dopo le torrenziali piogge divenute usuali in Italia e che le mareggiate hanno ributtato a riva oppure accumulate presso le dighe. Sulla base di una quantificazione del materiale si è stabilito che quel legname non è rifiuto da mandare in discarica ma i cittadini ne possono prelevare per uso domestico (risparmiando così, almeno un po’, sui costi del riscaldamento); il rimanente può esser raccolto e termo valorizzato, dopo dilavamento, producendo così energia: da un problema una opportunità! Un altro studio, realizzato per il Comune di Roma e presentato riguardava la manutenzione del verde pubblico e del residuo da potatura. La gestione dei 150.000 alberi della capitale ad alto costo potrebbe cambiare economicamente con la potatura e utilizzo del legname (almeno 50.000 t/anno) conseguente da cui si potrebbe ricavare l'alimentazione di tre centrali di cogenerazione, che a loro volta forniscano il riscaldamento e l'energia elettrica per i plessi scolastici. Quest'attività potrebbe dare un utile interessante in grado di ripagare anche il costo della manutenzione stessa. Anche l'uso di semi di cardo, pianta selvatica tipica dei terreni marginali, non irrigati, è stato un progetto finalizzato dal CRB per ricavare olio industriale da utilizzare per fare bioplastiche compostabili che potrà dare risultati utili anche in termine di occupazione. L'olio vegetale oltre che per le plastiche è stato provato per la fornitura di calore negli edifici, mentre il panello residuo dopo l'estrazione si è dimostrato adatto all'alimentazione degli animali domestici.

Si parla ormai di bioeconomia, cioè utilizzo di biomasse per ricavare prodotti sostitutivi di quelli fossili e derivanti dalla chimica di sintesi. La bioeconomia diventa quindi volano per la crescita locale e strumento capace di rilanciare la competitività dell'Italia attraverso lo sviluppo di tecnologie avanzate in settori di nicchia ad alto valore aggiunto, permettendo cosi alle imprese di investire e continuare a crescere in Italia e non altrove.

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