Energia verde
L'utilizzo dei residui colturali del mais per biocarburanti può fare più male che bene
Una ricerca dell'Università del Nebraska mette in dubbio l'ecocompatibilità dell'utilizzo dei sarmenti di mais per la produzione di etanolo cellulosico. Le emissioni dal terreno spoglio sarebbero infatti elevate
25 aprile 2014 | R. T.
I residui colturali, come ben sanno gli agricoltori, hanno un'importante funzione: preservare dall'erosione del suolo e arricchirlo di carbonio che diventerà sostanza organica.
Negli ultimi anni, però, il governo americano ha spinto molto, con oltre un miliardo di dollari di sovvenzioni perchè i residui colturali del mais, un'infinità nella corn belt (cintura del mais), venissero utilizzati a fini bioenergetici.
Molti sarmenti sono così andati nei silos dei produttori di biocarburanti di seconda generazione per ottenerne etanolo cellulosico.
Apparentemente, rispetto all'utilizzo del mais in se per sé, l'utilizzo dei sarmenti apparirebbe più ecocompatibile, valorizzando un sottoprodotto agricolo.
I risultati di un team dell'Università del Nebraska mettono però in dubbio che l'utilizzo dei residui di mais possa essere un mezzo efficiente per ridurre i gas serra.
I ricercatori, guidati dal professorAdam Liska, hanno usato un modello di supercomputer a Holland Computing Center di UNL per stimare l'effetto di rimozione dei residui da 128 milioni di acri in 12 stati della corn belt. Il team ha scoperto che la rimozione di residui genera 50 a 70 grammi di anidride carbonica per megajoule di biocarburante prodotto. Le emissioni totali annuali, in media nell'arco di cinque anni, sarebbero pari a circa 100 grammi di anidride carbonica per ogni megajoule. Il valore è del 7 per cento maggiore delle emissioni della benzina tradizionale e 62 grammi sopra al valore della riduzione delle emissioni di gas a effetto serra richieste dalle nuove leggi americane sulla sicurezza energetica.
Per i ricercatori sarebbe quindi necessario un passo indietro, con i produttori di etanolo che dovrebbero rivolgersi a materie prime alternative, come erbe perenni o residui di legno.
Fino ad ora, gli scienziati non erano stati in grado di quantificare appieno quanto carbonio nel suolo si perde per le emissioni di biossido di carbonio dopo la rimozione dei residui delle colture. Queste perdite annue di carbonio sono infatti relativamente piccole e difficili da misurare. Lo studio di Liska ha utilizzato le misurazioni di biossido di carbonio prese dal 2001 al 2010 per validare un modello di ciclo del carbonio che è stato costruito utilizzando i dati provenienti da 36 studi di settore in tutto il Nord America, Europa, Africa e Asia.
E' stato così dimostrato che gli stati del Minnesota , Iowae Wisconsin avuto la più alta perdita netta di carbonio dalla rimozione dei residui.
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