A regola d'arte 19/02/2021

Oltre le chiacchiere c'è di più: tre dolci tipici del Carnevale

Oltre le chiacchiere c'è di più: tre dolci tipici del Carnevale

La parola Carnevale deriva dal latino “carnem levare” ovvero “eliminare la carne”. Questo non significa che non ci si possa levare qualche sfizio, con chiacchiere, conosciute anche come bugie, frappe, cioffe o fiocchetti e tanti altri dolci regionali


La parola Carnevale deriva dal latino “carnem levare” ovvero “eliminare la carne”. Questo perché, nella tradizione cattolica, subito dopo il martedì grasso si celebra il Mercoledì delle Ceneri che dà inizio al periodo di Quaresima, ovvero quell’arco temporale di quaranta giorni caratterizzato da digiuno ed astinenza in preparazione alla Santa Pasqua durante il quale, soprattutto in passato, si evitava di mangiare la carne.

Oggi il Carnevale è soprattutto festa e la voglia di concedersi qualche piccolo sfizio, soprattutto a tavola.

Carnevale sono soprattutto le chiacchiere, conosciute anche come bugie, frappe, cioffe o fiocchetti. Racconta la leggenda che a Napoli la Regina chiese al fidato cuoco di corte Raffaele Esposito un dolce che accompagnasse alla perfezione le chiacchierate pomeridiane con i suoi ospiti: di lì lo chef reale ebbe l’intuizione geniale arrivata fino a noi. La ricetta più famosa, nazionale e certificata, per le chiacchiere di Carnevale si trova addirittura sul ricettario di Pellegrino Artusi.

Non ci sono però solo le chiacchiere.

Le origini delle frittelle veneziane risalgono al 1300, epoca in cui venne scritta la prima ricetta del dolce di Carnevale, conservata oggi presso la Biblioteca Casanatense di Roma. Nel ‘600 venivano preparate dai fritoleri in piccole baracche di legno lungo la strada, che lavoravano l’impasto con uova, zucchero, farina, uvetta e pinoli. Nel 1700 le fritole veneziane vennero elette dolce della Repubblica Serenissima e ancora oggi sono il simbolo della tradizione gastronomica di Carnevale per i veneziani e il Veneto.

Dolce di Carnevale fiorentino, la Schiacciata alla Fiorentina nasce come pane dolce preparato con lo strutto servito durante il Martedì grasso. Nel ‘700 prese il nome di “Stiacciata delle Murate” perché preparato dalle monache del monastero di via Ghibellina, che preparavano il dolce per i carcerati e, come ultimo pasto, per i giustiziati a morte. Il dolce, che evoca la focaccia per il nome e la forma, prevede l’impiego del lievito madre o di birra, una misura di non oltre i tre centimetri di altezza e la forma rettangolare.

Simbolo della gastronomia napoletana, le origini degli struffoli sono da attribuire ai Greci che li portarono nella città partenopea. La derivazione greca degli struffoli è testimoniata dalla loro etimologia da strongoulos e pristòs, ovvero “pallina tonda e tagliata”. La preparazione del dolce venne tramandata nei secoli, grazie soprattutto all’attività delle suore dei conventi napoletani che in epoca moderna preparavano gli struffoli per offrirli a famiglie nobili che si fossero contraddistinte per benevolenza e carità. Gli ingredienti per preparare il dolce sono uova, zucchero, burro, farina, lievito, sale e liquore all’anice. Preparato l’impasto, le palline di struffoli vanno fritte in olio bollente, condite con miele e decorate con confetti colorati.

di T N