A regola d'arte
Ciccio Sultano, l'anima della Sicilia che nel cuore ha la Tonda Iblea
Un ritorno ai valori veri e alle virtù della materia prima: “dobbiamo essere puri come i nostri oli. Abbiamo gli oli extra vergini più buoni del mondo.” E poi un altro po' di sano campanilismo: “i francesi cucinano con l’olio di colza che noi mettiamo nei trattori”
30 gennaio 2015 | Rosa Artusi
Sali, alle spalle lasci il mare. Lasci il labirinto di muretti a secco che disegna la campagna. Sali e Ragusa diventa Ibla. Lasci i profumi del giardino ibleo e sali. Il barocco del Duomo in cima e, alle spalle, il ristorante di Ciccio Sultano. Entri e dalla saletta ti affacci su un paesaggio lunare. Trovi pace in un ambiente sospeso e magico.
Il ristorante Duomo è una delle tappe obbligate dei nostri ritorni in Sicilia, come il Castello di Donnafuga, la passeggiata archeologica di Kamarina e il cinema all’aperto nel cortile Bufalino a Comiso. Se vai di fretta, devi rimandare. La cucina di Sultano è intensa così come lo sono i suoi racconti. Entrambi richiedono tempo e curiosità, sono carichi di energia, di luce e di colori.
E anche questa volta Ciccio Sultano non si smentisce. Il racconto passa dalla spiegazione minuziosa del maialino nero dei Nebrodi ai nuovi progetti a cui si sta dedicando: un nuovo locale; il piccolo allevamento di polli e galline ovaiole aperto all’inizio dell’anno insieme a due amici. Ha appena trascorso due giorni a Castelvetrano per indagare la panificazione del suo pane nero dei Molini del Ponte e dall’8 al 10 febbraio terrà tre serate di lezioni al Teatro7 lab di Milano. Ritorna ai prodotti, alla coerenza nella selezione, all’orgoglio di appartenere al microcosmo Sicilia che gli offre materie prime grandiose. “Dobbiamo essere puri come i nostri oli”. Esordisce.
- Si considera più un artista o un artigiano?
Mi piace rispondere “un’artigianista”. Ma tengo a precisare che artigiano lo sono sicuramente, artista lo devono dire gli altri, le persone competenti.
- L’olio è una scelta obbligata in quanto siciliano o una sua passione? (Senza olio un siciliano non può stare. A New York ho speso 100 euro per acquistarne 3 bottiglie).
Nel ristorante consumiamo dai 1800 ai 2000 litri all’anno, una media di minimo 6 litri al giorno. I conti sono presto fatti se si pensa che nella preparazione di un piatto à la carte utilizzo 40/60 grammi di olio extravergine; in un menu degustazione impiego almeno 200 grammi, la maggior parte a crudo. Con il produttore posso trattare il prezzo perché garantisco un acquisto cospicuo. L’olio è un ingrediente centrale in cucina. A casa mia, il frigorifero può essere vuoto ma pasta e olio non mancano mai.
- Quali cultivar predilige?
Amo in particolare la Tonda iblea, un’oliva che definisco imperatrice, la “migliore del pianeta”. Utilizzo anche la Nocellara del Belice, perfetta sul pesce e la Biancolilla anche se l’olio che ne deriva ha una vita brevissima, va consumata entro sei mesi. Infine, Verdese e Moresca insieme si completano, si equibrano.
- Sceglie oli italiani o la curiosità la porta a scoprire gli oli di altri Paesi?
Ripeto. Abbiamo gli oli extra vergini più buoni del mondo. Ho assaggiato di tanto in tanto grandi oli stranieri ma la nostra varietà è ineguagliabile.
In Spagna sono rimasto scioccato nel mangiare Pan y tomate in un ristorante stellato. L’olio era rancido! I francesi cucinano con l’olio di colza che noi mettiamo nei trattori.
C’è ancora molta strada da fare. Sarebbe auspicabile un tavolo con 10 Veronelli che grazie al loro naso stabilissero quali oli selezionare
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