A regola d'arte

Dall'Africa con una neonata e folle passione per l'olio extra vergine d'oliva

Dall'Africa con una neonata e folle passione per l'olio extra vergine d'oliva

La vita di Victoire si è divisa tra i primi vent'anni con profumi e sapori così diversi da quelli italiani e poi una formazione professionale che l'ha portata daventi ai fornelli: "sono per aprire la mente, aprire il palato. Non bisogna chiudere i sapori in un recinto per paura di assaggiare qualcosa di diverso."

24 ottobre 2014 | Rosa Artusi

Victoire, basta il nome. Victoire è un grande sorriso che travolge. L'ho incontrata durante una presentazione di Parolario a Milano.

Parlava di olio extravergine con passione e stupore accanto a Carla Latini.

In realtà erano i suoi occhi, accompagnati dalla danza delle mani, a parlare. Victoire all'inizio del 2014 ha aperto a Milano il suo locale, Victoire appunto (http://www.ristorantevictoire.it/victoire/).

E qui farete la scoperta: una cucina con solide radici italiane con tocchi di pura invenzione. E tanto colore.

-  Ti consideri un'artigiana o un'artista della cucina?
Come sostiene Gualtiero Marchesi a volte la cucina è arte. Alcuni dei suoi piatti, ad esempio, sono stati sicuramente “opere d’arte”. Un esempio su tutti il risotto con l’oro. Credo però che un cuoco, o uno chef come si preferisce dire, sia soprattutto un professionista che deve oggi fare i conti con tanti elementi diversi, alcuni dei quali solo apparentemente “esterni” alla cucina in senso stretto. Ad esempio i costi: bisogna essere buoni manager di se stessi, per sopravvivere in tempi di crisi; occorre avere  nozioni teoriche, oltre che pratiche, perché il pubblico chiede cibi sani, cibi particolari, cotture salutari…ma naturalmente uno chef che non si accontenta di cucinare ogni sera gli stessi piatti, dedicherà sempre parte del suo tempo alla sperimentazione, alla ricerca di accostamenti e di sapori nuovi. In questa sperimentazione, l’artigiano esprime il mestiere, la sapienza con la quale le mani realizzano “da sole” i compiti che sono abituate a svolgere; ma l’artista inventa, crea, assaggia, corregge, definisce… Si potrebbe dire, perciò che in uno chef di rango l’artigiano (con tutta la sua modestia, la sua prudenza) convive con l’artista (con tutto il suo coraggio, la sua audacia). Sta poi al pubblico, come sempre, decidere se si trova di volta in volta a gustare un buon piatto, o magari qualcosa di diverso, qualcosa di più, che possa davvero definirsi “arte”. Per quanto mi riguarda non mi pongo nemmeno la domanda. Seguo il mio istinto, la mia ispirazione. E lascio che siano i clienti a pronunciarsi.

- Il tuo rapporto con prodotti italiani? Come si equilibrano con quelli della tua tradizione?
La mia formazione culinaria, in senso professionale, è  italiana. Ma tutta la mia vita fino a ben oltre i vent’anni si è nutrita di tutt’altro cibo, altri sapori. Questo mi lascia un patrimonio organolettico e olfattivo che sarebbe stupido non usare nelle mie scelte. Ecco perché sono curiosa, perché ho voglia di provare a mescolare i prodotti della mia Africa, e poi i sapori del mondo con la grande tradizione italiana. Del resto gli italiani sono sempre stati bravissimi a capire un ingrediente e usarlo in cucina. Pensiamo solo ai prodotti nativi americani, come le patate, i peperoni e i pomodori o a spezie come lo zafferano che è alla base del più milanese dei risotti. In fondo tutta la cucina è un mix di storie e di provenienze. Sono per aprire la mente, aprire il palato. Non bisogna chiudere i sapori in un recinto per paura di assaggiare qualcosa di diverso.

- L'olio extravergine d'oliva non è presente nella tua cucina d'origine. Cosa ne pensi e che uso ne fai?
E’ un condimento sano e straordinario. Davvero un peccato che in Africa non sia a buon mercato, considerando i problemi di nutrizione che affliggono il continente. Si usa olio di palma, burro di arachide… Non mi vergogno a dire che sto ancora imparando a distinguere i diversi oli e a impiegarli a ragion veduta, ricetta per ricetta. O almeno questo è quanto mi prefiggo, poi certo come dicevo in cucina si fanno anche i conti e si fanno delle scelte: non serve lavorare con un numero infinito di oli diversi, perlomeno nella media ristorazione. Bastano oli di tre - quattro tipologie diverse, magari qualche monocultivar ovviamente dop…Oli delicati, come quello ligure, gli oli del Garda, altri più robusti, come quelli del centro sud.

- Prediligi l'olio italiano o quello di altri paesi?
In fatto di olio all’Italia non manca proprio nulla! Però non sono razzista, se mi consentite una battuta. Se mi fanno assaggiare un olio buono che arriva dalla Spagna o dalla Grecia…o dal Nord Africa io sono contenta.

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