A regola d'arte 14/02/2014

Una bistecca con gli amici del New York Times. Ma che olio metterci?

I puristi della fiorentina grideranno allo scandalo ma un "C" di un buon extra vergine ci sta proprio bene. Ecco perchè. Ma quali sono gli abbinamenti perfetti? Tre cultivar diverse, di altrettante regioni italiane: il Frantoio dalla Toscana, la Caninese dal Lazio e la Bosana dalla Sardegna


A New York, il 24 gennaio 2014, il New York Times ha pubblicato uno strip di alcune vignette, titolate “Il SUICIDIO DELL’EXTRA VERGINE. L’adulterazione dell’Olio di Oliva Italiano”, che ovviamente sono state riprese anche da diversi media italiani, come il TG COM 24 di Mediaset, e a cui ho risposto su questa testata, anche nell’edizione “TN international” del 3 febbraio 2014. Le vignette, niente da dire, sono giustificate ed inequivocabilmente puntuali nel commentare in modo incisivo e crudo una consolidata prassi illecita ai danni del mondo dell’olio buono italiano, ma difettano di quella precisione che fa la differenza tra una notizia vera ed una no. La pecca sta nella parola finale del titolone … “italiano”. Come ho spiegato nella mia risposta, in quell’olio non c’e niente di italiano, non e’ italiano l’olio, non sono italiani i proprietari dei marchi che lo commercializzano, e visto che qui ci occupiamo di abbinamenti a tavola, non sono italiani i profumi, i sapori, i piaceri, i sentimenti unici che, della tavola italiana, quell’olio avrebbe dovuto essere ambasciatore. E allora sbollentita la rabbia dei primi momenti, mi sono preoccupato dei tanti amici che ho a New York, dei locali NewYorkesi che frequento, dove ho mangiato benissimo, e mi sono messo la loro “giacchetta”, piena di sconforto nel leggere quell’articolo e mi sono fatto carico della loro frustrazione nel mettere adesso quella “c” d’olio sulle loro bistecche Newyorkesi che solo li (e naturalmente in Toscana) ho mangiato cosi sontuose e appaganti.
Che ci avrebbero messo adesso i miei amici NewYorkesi sulla bistecca chilometrica di Peter Luger a Brooklyn o su quella sempre contesa, da prenotare settimane prima, di Smith& Wollensky tra la 49th Street & 3rd Avenue, dove la prima voce del menu e’ “RESERVATION”, o su quella di La Palma, un delizioso angolo italiano pieno di fiori e di profumi nostrani al 28th di Cornelia Street ?
Questo e’ il territorio che oggi mi interessa tutelare, mi interessa ridare speranza agli amici di New York rassicurandoli che potranno trovare ancora olio italiano meraviglioso per la loro steak e alla fine diro’ dove, per andare a colpo sicuro, ma andiamo per gradi.


La bistecca alla Fiorentina: quando parlo di bistecca occorre precisare che mi riferisco al taglio “fiorentino” quella cioe’ con filetto e controfiletto che si ottiene dalla lombata (in rosso nella figura dell’animale), il taglio della parte in corrispondenza delle vertebre lombari, alla metà della schiena dalla parte della coda di un vitellone o di una scottona di razza “chianina” o negli Stati Uniti di un Porterhouse, termine tutelato dalle norme del USDA (United States Department of Agricolture). Questo taglio ha nel mezzo l'osso a forma di "T", in inglese infatti è chiamata T-bone steak, con il filetto da una parte e il controfiletto dall'altra, frollata almeno 2 settimane in cella frigorifera, mai sotto i 7°C, che al momento della cottura deve assolutamente essere riportata a temperatura ambiente. E’ alta almeno 3 dita, che significa almeno 5-6 cm, e di peso non inferiore a 1,4 kg; negli Usa per essere classificato come Porterhouse, il taglio deve partire dalla metà del lombo e il filetto deve essere spesso almeno 1,25 pollici (3,2 cm, gli Americani vanno a pollici ma poi ti dicono anche quanti centimetri sono 1,32 pollici, cosi non ti sbagli o non ti fregano). Naturalmente i Toscani sotto il loro campanile, ti fanno regolarmente la parodia in dialetto su chi tenta di imitarli: « Perché poi fuor di Toscana un la sanno nemmen tagliare: la fanno bassa, senza filetto... Basta tu guardi le bistecche disossate! Icché le sono braciole ? Ma pe' noi la bistecca li e’ arta tre diti! Eppoi un la sanno nemmen còcere la bistecca …e via! » .
Sapete che c’e’ ? Speriamo che questo campanilismo in dialetto duri a lungo.

Come si cucina: scaldare la griglia con brace di carbone di legna, meglio se di olivo. La brace deve essere appena velata di bianco, da uno strato di cenere, e assolutamente senza fiamma. Bandite piastre, griglie a gas o elettriche. La carne va posta subito vicinissima ai carboni, cosicché si formi una crosta il più rapidamente possibile e il succo non fuoriesca ottenendo la cosiddetta reazione di Maillard*, poi dopo il primo minuto deve essere alzata ed esposta ad un fuoco più gentile. La carne va messa sulla brace senza condimento e operazione fondamentale, per prevenirne l'indurimento, va girata una sola volta, cucinandola circa 4-5 minuti per parte, non di più. Infine va fatta cuocere anche "in piedi", dalla parte dell'osso, per 6-7 minuti, finché scompaiono le tracce di sangue. Come si capisce la bistecca deve essere tanto spessa da stare in piedi da sola, se no non e’ una Fiorentina. Colorita all'esterno, rossa, morbida e succosa all'interno, non deve essere girata con "forchettoni" o altro che la possa bucare e romperne cosi’ la crosta che si forma all'inizio della cottura; quindi serve una pinza.

Che olio ci mettiamo ?
E adesso veniamo all’olio. Qui c’e una grande disputa tra: “Olio Si e “Olio No”. I puristi della carne negano l’uso dell’olio sulla Fiorentina, altri come me, una “c” ce la mettono, eccome. Forse i negazionisti non avevano gli oli buoni che uso io o forse era solo una questione dietetica? Io non mi scompongo piu’ di tanto e lascio al lettore la prova prima ed il verdetto finale dopo. Basta provare per darmi ragione. Intanto vi dico quali sono oli monocultivar che amo aggiungere. Sono di tre cultivar diverse, di altrettante regioni italiane: il Frantoio dalla Toscana, la Caninese dal Lazio e la Bosana dalla Sardegna.


Frantoio
questa cultivar toscana occupa circa il 50 % del territorio regionale ma a secondo del terreno varia la sua componente polifenolica e cosi il suo apporto amarognolo e piccante. Cio’ che e’ costante e’ invece il suo profumo di “carciofo foglie” che accompagna la Fiorentina in modo pressoche’ perfetto.

Sensoriale Frantoio:


Il Frantoio ha questo profilo sensoriale:
al naso: fruttato intensissimo di carciofo foglie e cicoria
in bocca: piccante poderoso con amaro controllato e consono all’abbinamento

Caninese
L’areale della Caninese e’ quello tipico del viterbese, Blera, Vetralla, Canino, Bolsena dove pero’, per convenienze agronomiche, sono state piantate anche altre varieta’ estranee al territorio. La caninese ha tempi di accrescimento piu’ lunghi di queste altre varieta’ come il leccino, e cosi spesso troviamo oli anche se ottimi, non perfettamente tipici e rispettosi della tradizione locale.

Sensoriale Caninese:

 

La Caninese evidenzia un comportamento sensoriale profondamento diverso :
al naso: fruttato intensissimo di mallo di noce, rucola e ortica; insomma grandi erbacei
in bocca: piccante ed amaro decisi come ci si attende da questa cultivar

Bosana
La cultivar Bosana, come si comprende, ha il suo abitat intorno a Bosa, nella provincia di Oristano, con propensione maggiore a espandersi verso il nord ovest della Sardegna, il sassarese, che non verso il sud ed il centro, l’oristanese, dove va a compete con la Semidana, altra splendida cultivar da olio.
La Bosana e’ autoctona e non assomiglia a nessuna altra varieta’, ne’ locale, ne’ italiana; il portamento dei suoi alberi e’ immediatamente riconoscibile per il propendersi verso il cielo con fusti altissimi, se lasciati crescere al naturale.

Sensoriale Bosana:

La Bosana riprende un po’ le note aromatiche del frantoio toscano ma con toni piu’ verdi e crudi:
al naso: fruttato intensissimo di carciofo gambo, cardo e banana verde
in bocca: piccante sempre alle stelle e amaro presente ed evidente

Reason Why:
Quando ho realizzato che una “c” d’olio sulla Fiorentina ci stava proprio bene mi sono domandato perche’. Perche’ il mio inconscio diceva cosi’ quando usi e costumi lo negavano ? Per molto tempo non sono riuscito a capirlo, mi piaceva e basta. Mi contestavano, ma mi piaceva e continuavo ad aggiungere quella “c” d’olio. Devo dire che le prime volte lo facevo anche colpevolizzandomi un po’, mi sentivo di tradire la tradizione, ma sempre piu’ spesso le “c” diventavano due o tre. Poi ho capito che quando mangi una Fiorentina, l’oste ti serve di contorno quasi sempre fagioli cannellini bolliti e altre poche volte, patate arrosto. Tutti farinacei piacevolissimi ma privi di aromi, senza stimoli sensoriali e il pasto diventa monotono e a meta’ Fiorentina ti annoi e cerchi istintivamente di risollevare le sorti delle tue esigenze aromatiche con qualcosa. Un goccio di aceto ed un altro giro d’olio nei fagioli ? Una bruschettina con una strofinata d’aglio fresco ? Senti il bisogno di una spinta sensoriale per finire tutto quel ben di Dio sul piatto. E allora dai fagioli, il giro d’olio lo trasporti anche sulla Fiorentina e quell’aggiunta ti rida’ curiosita’ nel piatto e con quella nuova freschezza erbacea, ti convinci a continuare fino alla fine. Ecco perche’ una “c” d’olio sulla Fiorentina ci sta. La curiosita’, il vizio dell’assaggiatore, la soddisfazione dei sensi. Non puoi andare contro te stesso.

Dove trovare a NY gli oli per il Porterhouse?
Ora che spero di avervi convinto che un giro d’olio buono sulla Fiorentina ci sta, come promesso vi dico dove trovarli a New York e dintorni. C’e’ una catena con una ventina di shops nell’area metropolitana di NY, Fairwaymarket dove trovi il meglio dell’olio italiano. Gente precisa, sensibile e affidabile, attenta all’olio fatto da olive verdi, che investe per la qualita’. Hanno shops in Harlem, Upper West Side, Upper East Side, Hudson Yards, Chelsea, Kips Bay, Tribeca, Paramus, Red Hook, Nanuet, Lake Grove, Stamford e altri.

Mi auguro che gli amici a NY possano ritrovare serenita’ e piacere nel mettere un giro di olio italiano su una T-bone steak di Porterhouse americano e che un giorno tutti insieme con la redazione del NYT si faccia una bella rimpatriata a base di Fiorentina, o di Porterhouse, con un centinaio di “c” d’olio italiano, tutt’affatto suicida, ma vivo piu’ che mai !

 


Reazione di Maillard
Per reazione di Maillard, i chimici intendono una serie di interazioni della chimica organica dovute alla cottura di zuccheri e proteine insieme. Si formano composti bruni dal caratteristico odore di crosta di pane appena sfornato. Le reazioni sono eterogenee, con formazioni intermedie di melanoidine. Grazie a questi composti preferiamo un prodotto da forno piuttosto che un altro, siamo piu’ attratti dal colore marrone bruno e non tanto da quello giallino-bianco che interpretiamo come non abbastanza cotto o, ancor meno, dal marrone scuro-nero che interpretiamo come bruciato. In campo cosmetico la reazione di Maillard è sfruttata per produrre gli “autoabbronzanti” o prolungatori di abbronzatura di origine sintetica, grazie a reazione che avvengono nella cute, dove gli amminoacidi della cheratina generano l’imbrunimento, che poi è l'effetto desiderato. Ovviamente dove c'è maggiore concentrazione di cheratina la colorazione e’ più scura.

di Gino Celletti

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