A regola d'arte 24/01/2014

Sapori e profumi di terra e di mare, sapientemente miscelati da un gigante buono della gastronomia sarda

Dire Luigi Pomata e pensare al tonno è tutt'uno. Una storia e una tradizione di famiglia: “assemblo la materia prima artigianalmente, facendo tesoro dell’esperienza, sulle base di ricette testate nei secoli, per poi affinarla sul gusto del cliente”


Luigi Pomata è un sardo altissimo, imponente. Molto indaffarato ma sempre disponibile, costantemente in bilico tra passione e fatica. L’arte della cucina gli arriva per via familiare, prima il nonno e poi il padre, il celebre Nicolo di Carloforte, il paese dell’isola intitolata a San Pietro, il Patrono dei pescatori. Senza i pescatori Pomata sarebbe stato un cognome senza sinonimo. Grazie ai pescatori oggi se diciamo Pomata pensiamo immediatamente al tonno.

Siamo seduti all’aperto nel suo ristorante nel cuore di Cagliari, mentre le sale all’interno pullulano di avventori che amano la sua interpretazione della cucina territoriale, ma lui trova il tempo per raccontarsi. Si siede davanti a noi un po’ accaldato, sorride quando gli diciamo che il tonno in scatola che abbiamo degustato, una riserva del 2001, è un colpo di spugna  che cancella il ricordo negativo di tanti pubblicitariamente corretti tonni in scatola.
Siamo a Cagliari per un’occasione speciale: Pomata e Roberto Petza insieme festeggiano il viticoltore Pala per i tanti riconoscimenti riportati durante lo scorso anno. Tutti ospiti del nuovo locale/shop/libreria Cucina.eat.

Un concentrato di civiltà gastronomica e vitivinicola sarda.

Si considera più un artista, un tecnico o un artigiano del cibo?

Assemblo la materia prima artigianalmente, facendo tesoro dell’esperienza, sulle base di ricette testate nei secoli, per poi affinarla sul gusto del cliente. Trasformo i singoli prodotti in qualcosa di nuovo. Quindi, un artigiano.

Il suo rapporto con il territorio e l'utilizzo dei prodotti dell'agricoltura sarda

Il rapporto è talmente stretto che mantengo ancora rapporti con fornitori che erano di mio nonno Luigi. La qualità esiste, bisogna soltanto impegnarsi a cercarla. La qualità è faticosa ma regala grandi soddisfazioni. Nella mia cucina utilizzo il 90 per cento di prodotti che trovo sulla nostra isola, dove non manca nulla o quasi. Nel resto d’Italia completo il mosaico, con le eccelenze uniche del nostro paese come ad esempio col lardo a Colonnata.

La delicata convivenza fra olio e tonno? Chi se non lei può dirimere la questione?

Due materie prime semplici che possono rovinarsi a vicenda. Poi, verificata la qualità di partenza, l’equilibrio tra i due è fondamentale.
Utilizzo oli extravergini diversi in base alle preparazioni: dal Bosana fruttato, ricco, carciofato, fino a oli molto delicati, provenienti dal nord, dalle zone di Olbia o di Alghero.
Per la conservazione del tonno in scatola serve un olio neutro, inodore, incolore. Per condirlo poi, una volta sgocciolato, serve un olio extravergine di carattere ma delicato, ad esempio la maiorchina di Olbia.
Nei miei ristoranti non propongo la carta degli oli. Il consumatore non è consapevole e non sa leggere le etichette. In sala ho tre tipi di olio e in base al piatto suggeriamo noi quale utilizzare.

Qualità e quantità, come si mantiene un alto livello qualitativo mettendo a tavola molte persone?

Basta saper fare le moltiplicazioni! Io considero il mio ristorante casa mia e tratto i clienti come fossero ospiti del mio desco. Il secondo aspetto è la materia prima e qui si torna a quanto detto sulla produzione. E infine, serve un personale all’altezza a cui insegno il senso dell’autocritica. Ciascuno di loro deve domandarsi se il piatto che hanno eseguito è rispecchia le loro stesse attese, se lo mangerebbero volentieri.

Una ricetta o un suggerimento a base d'olio extra vergine d'oliva.

In cottura utilizzare un extravergine delicato, ad esempio il Maiorchino
Per la finitura, ad esempio su una pasta, oli di carattere come quello di Bosana o della Tonda di Cagliari.
Sul pane, la varietà Nera di Gonnos o la Semidana, perché molto saporite.

 

 

di Rosa Artusi

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