Italia

L'agricoltura che vive di sussidi e muore di burocrazia

Le associazioni di categoria sono diventate troppo autoreferenziali e chiuse in se stesse. Nulla di nuovo, fin qui si può dire, uno degli apparati classici all'Italiana, di quelli duri a morire, salvo forti scossoni. E' per questo che il mondo dei fondi per l'agricoltura è coperto da un inquietante velo di opacità

17 giugno 2016 | Alessandro Riganelli

Sono lontani i tempi in cui l'associazione di categoria si comportava da associazione di categoria, difendendo a spada tratta le imprese associate, battagliando sui problemi più sentiti, grazie alla tenacia di un comparto politico motivato e preparato, senza peli sulla lingua.

Succede però, che col passare degli anni, vuoi per il profondo groviglio burocratico creato ad hoc per il mantenimento delle fitte reti politico-clientelari, vuoi per la dipendenza sempre più forte del settore agricolo agli aiuti Europei (complice la forte congiuntura di mercato dei prodotti), il comparto politico delle organizzazioni professionali agricole ha iniziato a perdere smalto, facendo spazio ad un assetto quasi del tutto dirigistico.

Perché c'è da far quadrare bilanci e portare a casa soldi, affinché, da buone succursali della politica, alimentino il loro sistema chiuso, autopoietico e autoreferenziale.

Nulla di nuovo, fin qui si può dire, uno degli apparati classici all'Italiana, di quelli duri a morire, salvo forti scossoni.

Il problema però è che l'agricoltura vive di sussidi e muore di burocrazia.

Ed è qui che subentra un conflitto di interessi elefantiaco. Già, perché purtroppo, ai tavoli verdi si siede un direttore di una OP (magari con un presidente figurativo) e un direttore di una regione.

Ed è così che piani di Sviluppo Rurale, quelli finanziati dall'Unione, quelli che dovrebbero dare l'incipit alle aziende e promuovere lo sviluppo nelle aree rurali vengono scritti e gestiti. E' così che con una stretta di mano, si ottiene: carta da rivendere (e da gestire) da un lato e placet sull'apertura di bandi per enti con ingenti somme di denaro (dal dubbio rapporto costo/beneficio) dall'altro, della serie “volemose bene, ce n'è per tutti (noi)”.

E' così che i tentacoli delle OP si allargano in Consorzi, enti certificatori, laboratori di analisi ed è così che si fa largo un silenzio cupo e imbarazzante ai balzelli più assurdi e alle complicazioni più disparate del settore primario.

Avete mai letto un piano di sviluppo? Avete mai visto quante misure contemplano finanziamenti in toto ad enti pubblici? Soprattutto, avete mai visto quanti e quali progetti con quei soldi sono finanziati? Forse un tempo, perché ad oggi, non è più possibile, perché a differenza dei fondi strutturali (FESR e il FSE), per i quali il sito di Open coesione fornisce con puntualità le informazioni sui beneficiari e sull'andamento dei progetti, il mondo dei fondi per l'agricoltura è coperto da un inquietante velo di opacità.

Ed ecco che allora la lotta più dura, più tenace delle nostre care OP, si riduce a sondaggi su panettoni e sulle vacanze, al folklore e al bombardamento mediatico del ritorno dei giovani alla terra, perché il ricambio è essenziale in un settore non remunerativo, al fine di avere altri polli da spennare.

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stanislao cremisini

18 giugno 2016 ore 08:55

PAROLE SANTE.
Cosa fare? Be! Iniziamo col pretendere ad esempio che la domanda Pac ed agroambiente si possa fare veramente dal computer di casa. Cosi' come la notifica Bio, ecc. Senza essere costretti a passare dai CAA. Raccogliamo firme a tal proposito e consegnamole ad agea.

STEFANO CAROLI

18 giugno 2016 ore 06:26

SONO D'ACCORDO, E' NECESSARIO COINVOLGERE E ASCOLTARE.. ANCHE LE IMPRESE CHE TRADIZIONALMENTE OPERANO E TRASFORMANO I PRODOTTI DEL TERRITORIO E CERCANO DI VALORIZZARE IL PRODOTTO FINITO PER DARE UN REDDITO A TUTTA LA FILIERA.