Turismo
Qual è, se esiste, il “vero” agriturismo?
Un intervento di Stefano Tesi su un tema in cui si contrappongono due differenti visioni. Il fatto paradossale è che il dibattito è ormai fine a se stesso: sotto il profilo commerciale il prodotto agrituristico si è inserito a pieno titolo quale componente integrata del grande sistema turistico
13 marzo 2010 | Stefano Tesi
Ha perfettamente ragione la mia amica Vittoria Brancaccio, presidente nazionale dellâAgriturist, a rispondere (link esterno) alle affermazioni di Daniele Bordoni sul numero di âTeatro Naturaleâ di sabato 13 febbraio (link esterno) a proposito di agriturismi âveriâ e âfalsiâ.
Ovvio che il massimo rappresentante della categoria difenda lâofferta dei propri associati. Molte ragioni, però, le aveva anche Bordoni quando affermava che il âveroâ agriturismo è, o nellâevolversi della dinamica commerciale è diventato, ciò che meglio si adatta alle aspettative, spesso fantasiose, del turista, con buona pace della presunta âoriginalità â di un arcano contadino oggi assai poco credibile.
Ne deriva un quesito: cosa, oggi, è âagriâ?
Sostenere che lâospitalità agrituristica âaiutiâ le aziende agricole a sopravvivere fa un poâ sorridere. Formalità a parte, tutti sanno che, quando lâattività funziona, il gettito che deriva dal ricettivo è pari se non ben superiore a quello che viene dai campi. E meno male che è così, sennò addio ai campi medesimi. Ma, per funzionare, lâattività deve appunto incontrare il favore della clientela. La quale, da oltre un decennio uscita dalla nicchia degli amatori âconsapevoliâ e divenuta (anche perchè lâesplodere dellâofferta non avrebbe altrimenti consentito al mercato di âtenereâ) smaccatamente generalista, è una clientela di bocca abbastanza buona, che si accontenta spesso di una spolverata di agricoltura tuttâintorno, di un pratino allâinglese, un alloggio di standard paralberghiero e dei relativi comfort (purchè col mattone facciavista e âimmerso nel verdeâ). Insomma, allâospite medio, tranne rari casi, della parte davvero âagricolaâ del contesto gliene frega il giusto: gli basta lâapparenza, meglio se esente da insetti e da odori ânaturaliâ.
Ne consegue che lâagricoltura, pur faticosamente e benemeritamente praticata da molte aziende agrituristiche in parallelo allâattività ricettiva, si trasforma in unâappendice, in un orpello più o meno superfluo, se non nelle apparenze e nei (giusti) requisiti formali che deve offrire.
Se dunque da un lato Vittoria Brancaccio fa bene a difendere le aziende dallâaccusa di essere âfinteâ (pur non mancando nel settore copiosissime mele marce), fa altrettanto bene Bordoni a metterne in evidenza la frequente âscarsa autenticità â, intendendo per tale non la sostanza agricola, bensì lâinseguimento dellâapparenza.
Il fatto paradossale è che il dibattito è ormai fine a se stesso perchè, nel tempo, sotto il profilo commerciale il prodotto agrituristico ha abbandonato da moâ la propria nicchia e si è inserito a pieno titolo â obtorto collo o meno, consapevolmente o meno â come componente integrata del grande sistema turistico. Un sistema industriale che, per sua natura, âvendeâ sensazioni, illusioni, aspettative, suggestioni e assai poca sostanza.
Si dovrebbe dunque chiedersi se ad essere âvereâ o âfinteâ sono le suggestioni offerte oggi dallâagriturismo alla propria clientela.
Ma è una questione su cui vale davvero la pena di investigare?
A parere di chi scrive, no.
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