Turismo

IL GETSEMANI DEL TERZO MILLENNIO, IDEE PER UNA NUOVA GEOGRAFIA DELL'OLIVO

Dal Golfo di Trieste al Monte Olimpo, progetti e propositi per una strada internazionale degli ulivi. Uno sguardo d'insieme di Boris Pangerc

06 settembre 2003 | Boris Pangerc

Il Mediterraneo è la più grande e la più esplicita metafora della civiltà per via del colossale impasto di lingue, culture, usi, costumi, espressioni di vita politica, economica e sociale che rappresenta; è un passato e un presente in continuo, incessante confronto, complementarità, competitività e reciproca ispirazione nell'intento di realizzare un mondo di diversità in un ambiente tollerante e vivibile in piena libertà individuale e collettiva.

Una storia millenaria dalle molte sfaccettature
Il Mediterraneo culturale e religioso si propone nella sua unicità, e contemporaneamente nella sua complessità strutturale e trasversale, come area centrale delle serenate romantiche e dei notturni passionali, dei mandolini malinconici e delle chitarre spagnole, dei crepuscoli marocchini e delle allegre comitive dalmate, dei porti chiassosi o dei porticcioli al chiaro di luna, delle chiese leggendarie e dei campi di terra rossa bruciata dai riti tribali della preistoria o pazientemente ricamata palmo dopo palmo dalle genti, dal profondo Est e dal lontano Ovest, dal misterioso Nord e dall'irrequieto Sud, condannate a convivere e a frequentarsi, destinate a passarsi addosso e obbligate a trovare e consolidare in eterno le ragioni di un buon vicinato non sempre ottimale e fortemente marcato dalle lingue slave, romanze, arabe, semite o di altri ceppi lontani dal "comune" indoeuropeo.

Tante identità sotto il medesimo sole
Il Mediterraneo è l'incontro millenario del Corano, della Bibbia, del paganesimo e dell'ateismo. E' il buco nero che divora le distanze dalla sabbia afosa del deserto e dalle gelate distruttrici degli inverni e sommando le caratteristiche meteoriche, crea quella tipica ineguagliabile temperatura che influenza in modo così determinante le popolazioni, il territorio, la sua inconfondibile macchia, il mare zeffirato, il sole dorato, l'aere profumato, la sabbia e le spiaggie, la roccia e i pini nel vento di bora e di maestrale.

Nel nome dell'olivo
In questo ribollìo continuo di effervescente vitalità un simbolo perpetuo unisce tempi, mondi, epoche, vicende umane, la storia più remota e quella più recente.
L'olivo – e con esso l'olio – è il simbolo che fa la differenza nella storia dell'umanità, perchè si è materializzato, unico e irripetibile, nel Mediterraneo; perchè è fortemente radicato nel tessuto più intimo delle vicende umane; perchè ha coinvolto la storia dell'uomo in maniera radicale e imprescindibile, intrecciandola di leggende e di simbolismi fin troppo coinvolgenti nelle più profonde sfere mitologiche, religiose e politiche.

La domesticazione culturale dell'olivo
L'olivo è stato addomesticato nel Mediterraneo almeno sei mila anni fa, ma l'impulso decisivo all'olivicoltura mediterranea la diedero i Romani, che diffusero la coltivazione dell'olivo in tutto il territorio occupato dal loro Impero.
I Romani concepivano l'olivicoltura non una occupazione occasionale, ma un'attività realmente operosa e tecnicamente efficace. Le vicende storiche, politiche, sociali o semplicemente umane, dai secoli precedenti ai tempi attuali, hanno caratterizzato la storia dell'olivo e dell'olio con innumerevoli connotati più o meno fortunati.
Il rinvigorimento oggidì dell'interesse generale intorno all'olio extravergine di oliva riprope quella lontana epoca romana, quando i nostri veteroolivicoltori svilupparono evolute e scientificamente oltremodo valide tecniche colturali, quando dunque suddivisero l'olio in varie categorie qualitative, e inventarono un calmiere dei prezzi, e organizzarono il mercato dell'olio con ferree regole commerciali e crearono una borsa dell'olio (l'arca olearia).

Ieri come oggi
L'antica olivicoltura romana era improntata sulla professionalità; non era certo supportata dall'elettronica e dalla meccanica sofisticata, come ai giorni nostri, ma era ugualmente preziosa, perfezionata e articolata nelle tecniche produttive e trasformatrici (vedere, per credere, il museo del frantoio romano sotto le mura dell'Arena di Pola, in Istria) con un fortissimo senso per il "biologico", tendenze che pure al giorno d'oggi trovano ampio consenso presso i consumatori.
Il mercato, anche ai tempi degli antichi Romani, era "europeo", quindi senza confini – altra tendenza che al giorno d'oggi è al centro degli sforzi politici dei Paesi che sono già parte dell'Unione Europea.
Lo stato attuale del mondo olivicolo presenta dunque molteplici situazioni analoghe alle condizioni, ai tempi e ai modi in cui operavano i veteroolivicoltori.

Un inestimabile patrimonio da proteggere
Comunque, lo scenario della diffusione preistorica degli olivi nel Mediterraneo doveva essere spettacolare, già solo immaginando piante secolari o addirittura millenarie in Siria, Turchia, Grecia, Marocco, Tunisia e Spagna o in aree più vicine a noi, in Sicilia (Magna Grecia), Campania, Puglia, Calabria, Lazio – dove tuttora a Canneto, sfoggia la sua imponente e rigogliosa chioma uno degli ulivi più grandi del mondo, certamente il più grande d'Europa: duemila anni di vita, sette metri di circonferenza del tronco, dodici quintali di olive all'anno.
Il patrimonio olivicolo creato nell'antichità era enorme e si era molto intensificato in epoca romana, diffondendosi in tutto il territorio fin dove si estendeva l'Impero; perfino in Gallia e in Bretagna i romani piantarono ulivi, selezionando quelle cultivar (varietà) che a loro giudizio avrebbero potuto meglio resistere alle condizioni climatiche meno propizie.

Una nuova geografia dell'olivo
Nel progetto della Strada internazionale degli ulivi – già presentato nel corso del 2002 a Trieste, ma che si concretizzerà a breve sul piano operativo – la geografia dell'olivo si restringe ad un'area ben precisa.
Quest'area presenta forti legami di continuità con il passato olivicolo, ma nel recente quotidiano presenta una situazione geopolitica e culturale curiosa. E' quindi un'area interessante ai fini del progetto, un'area con molteplici aspetti ancora in parte da scoprire, in parte da consolidare e in parte da valorizzare.
E' un'area di spiccata vocazione olivicola, con radicate tradizioni di offerta turistica e con un territorio splendido, per molti versi incontaminato, ricco di spunti, che se indirizzati verso il turismo dell'olio e della scoperta degli uliveti, dei paesaggi a dir poco stupendi, dei nuclei storici di villaggi antichi può far vivere emozionanti scoperte e pregnanti esperienze, tanti sono le tradizioni, i costumi, le musiche e i canti popolari, l'artigianato artistico e la proverbiale ospitalità.

Il Getsemani del nuovo millennio
L'area di cui scrivo parte dalla periferica provincia di Trieste e si propone di attirare nel nome dell'olivo un nuovo centro di interesse. L'intento principale è di ripopolare il proprio territorio rurale con olivi di varietà autoctone e di promuovere con passione, impegno e perspicacia la costituzione di un Getsemani del terzo millenio. Il territorio coltivato, pulito e curato è la prima risorsa per attirare visitatori e turisti.
Il territorio destinato alla Strada internazionale degli ulivi parte dalla provincia di Trieste, dove attualmente l'olivicoltura sta conoscendo una nuova stagione di crescita e di adesioni specialmente da parte dei giovani.
Il territorio di Duino-Aurisina, Muggia e S.Dorligo della Valle-Dolina si sta velocemente ripopolando di olivi, con nuovi impianti anche di dimensioni notevoli. Auspichiamo pertanto, anche con l'aiuto delle organizzazioni che sostengono questa iniziativa, di poter usufruire quanto prima di finanziamenti utili per partire con la ripopolazione dell'ulivo (e della vite) sulla Costiera triestina, che prima della tragica gelata del 1929 era l'orgoglio dell'olivicoltura alabardata.

L'onore nel rispetto della donna
La varietà con la quale si identifica l'olivicoltura nella provincia di Trieste è la Bianchera-Belica, una pianta di grande pregio, di forte adattabilità al clima nord-mediterraneo.
Si tratta di una cultivar dall'aspetto vigoroso, principesco. Quando è in piena produzione sfoggia tutta la propria chioma assurgente e la propria elevata rusticità.
Il territorio della vicina Republica di Slovenia, assai vocato all'olivicoltura, si identifica anch'esso con la Bianchera. Lungo il litorale sloveno i comuni oliandoli sono quelli di Capodistria, Isola e Pirano, ma anche più a nord, nella Brda – territorio che è la naturale continuazione del Collio goriziano in terra slovena – stanno nascendo sempre nuovi oliveti.
Nell'Istria slovena si sono trovate tracce di coltivazione di olivi risalenti all'epoca della colonizzazione greca (IV. sec. a.C.). Nella Storia dell'agricoltura europea e più precisamente nel saggio L'olivo nella storia e nell'arte mediterranea (citato da Luigi Caricato in Oli d'Italia, Oscar Mondadori 2001) si legge che in Istria dei pastori prosperava l'oleastro e che "per il popolo istriano, l'oleastro fu già nerboruto e vaghissimo pastore convertito in albero spinoso per l'ira di femmina pudica, insultata nell'onore; l'olivo è l'onore nel rispetto della donna".

Uno sguardo a Est
L'olivicoltura slovena ha raggiunto il proprio apice tra il XVII e XVIII secolo con un patrimonio olivicolo di oltre 300 mila piante che la gelata del 1929 ha letteralmente decimato. Oggi, con un approccio di grande competenza e professionalità, la superficie olivicola slovena cresce a ritmo di 40-50 ettari all'anno, così che la sua costa presto offrirà un piacevole colpo d'occhio di declivi, pastini (terrazze), insenature, distese e pianure coperte dalla pregiata coltre di olivi in scoppiettante crescita.
La Repubblica di Croazia ha le stesse identiche prerogative delle altre componenti di questo nucleo storico che promuove il progetto per la Strada internazionale degli ulivi.
Nella stessa epoca della colonizzazione greca è datato l'inizio dell'olivicoltura in Croazia, e più precisamente nell'Istria croata, in Dalmazia, e specialmente sulle isole dell'Adriatico.
L'olivo più antico croato si trova a Kaštel Štafic' e conserva nelle proprie radici ben 1.500 anni di onorata crescita.
L'olivicoltura in Croazia raggiunse l'apice nel XVIII secolo, quando la terra croata nutriva, si presume, trenta milioni di piante d'olivo. Le statistiche di oggi (anno 1994) parlano di tre milioni di alberi, per una produzione di 24 mila ettolitri d'olio.
L'area produttiva è situata esclusivamente sulla costa e sulle isole e si estende su una superficie di 28 mila ettari appartenenti a sette distretti produttivi (županije: Istarska,Primorsko-Goranska,Ličko-Senjska, Zadarsko-Kninska, Šibenska, Splitsko-Dalmatinska e Dubrovačko-Neretvanska).

Nomi e luoghi
L'espansione della coltura dell'olivo nel Mediterraneo si puo dedurre seguendo i nomi popolari dell'olivo intorno al Mediterraneo. Derivano dal vocabolo greco elaia, dal vocabolo latino olea e dal vocabolo ebraico zait o seit; è singolare quindi constatare come gli spagnoli presero dall'ebraico, calcato dall'arabo, giungendo a chiamare l'olio aceite.
Molte varietà di olivi in Croazia, in special modo nell'Istria croata e nelle isole di Lošinj, Rab, Krk, Korčula e via dicendo, erano di matrice greca o romana; una è sopravvissuta fino ai giorni nostri: la cultivar Orkola, dal greco orchis.
Uno studio comparativo più approfondito ci porterebbe alla conclusione che esiste "una singolarissima rispondenza nella nomenclatura, che rispecchia una effettiva stretta affinità tra gli olivi dell'Istria e quelli dell'Italia, della Francia e della Spagna" (cfr. Carlo Hugues: Maslinarstvo Istre-Elaiografia istriana, 1902); per esempio: il Rossignolo d'Istria (olea rubicans < frutto rosso >) è il Roùgette o Roùgealle francese, a sua volta Cayane importato dai Focesi nel 600 a.C.; o ancora – il Carbogno (ancora oggi una varietà molto diffusa in Istria) è il Moùraoù o Negrette della Francia del Sud.
Lo stesso vale per le varietà italiane delle Marche e dintorni. "Oliveria (olivicoltura) istriana – scrive ancora Carlo Hugues – riflette la fisionomia caratteristica dell'oliveria dell'Italia Centrale".

Varietà autoctone
Gli olivi croati candidati a reggere le sorti della Strada internazionale degli ulivi portano nella fisionomia, nel sapore e nell'odore dei loro frutti, segni tangibili di questa terra calcarea, sferzata dalla bora quarnerina e dai monti di Velebit, e impregnata di luce e di energia di un sole tutto particolare nel sorgere e nel tramontare.
Anche qui sta prendendo lentamente quota la Bianchera, anche se un po’ meno vigorosa che a Trieste, ma pur sempre di un fiero colore verde delle foglie.
La Buža di Vodnjan (Dignano) si specchia nel Leccino toscano. Mira in alto anche fino a dieci metri, con rami piuttosto esili, ma foglie grandi, lanceolate, di colore verde vivo. E' una pianta che dimostra gratitudine con frutti grandi, ovali, buoni per l'olio e per la mensa.
Simili caratteristiche presenta la Crnica (Karbonera) che produce un frutto piccolo, rotondo, ma dal quale si ricava un olio di elevata qualità.
L'isola di Krk (Veglia) vanta invece una delle varietà autoctone più antiche in Croazia, la Naška, di chioma folta, foglie piccole e di notevole capacità produttiva.
L'isola di Korčula vanta a sua volta la cultivar autoctona più antico, diffusa nei pressi di Blato e Vela Luka. E' la Drobnica, la cui fisionomia ricorda a vaghe linee gli olivastri non ancora piegati alla volontà dell'uomo-olivicoltore.

Un vasto e variegato firmamento
Completano il firmamento più luminoso delle cultivar attualmente di maggior diffusione la Debela di Lošinj (Lussino), la Rošulja di Krk (Veglia), la Slatka di Plomin (Fianona, Istria dunque), la Oblica, che trae la propria origine dalla greca Orchis, Lastovka (significa: rondine), la varietà più coltivata nell'isola di Korčula e Levantinka (significa: orientale), diffusa in particolare nell'isola di Šolta.
Il progetto della Strada internazionale degli ulivi si chiude in Grecia, a Kalamata, nelle stupende acque del golfo messiniano prospiciente la città che rese famosa la varietà delle olive da tavola in tutto il mondo – senza dimenticare che la regina del Peloponneso, per quanto riguarda la cultivar da olio, è la varietà Koroneiki, che da sola ricopre più della metà del territorio olivicolo ellenico.

Una precisazione
Per amore di verità e correttezza verso gli amici sloveni e greci, dobbiamo dire che le Camere di commercio greche e mediterranee hanno già lanciato un messaggio analogo nel 1999 e nel 2000, di un percorso lungo le strade degli ulivi nella speranza della pace.
Il 27 agosto del 2001 è stato firmato un accordo tra la Camera di commercio di Koper (Capodistria) e la Camera di commercio di Messinia, con sede a Kalamata, per incontri sulla "Via degli ulivi" nell'ambito culturale, turistico, sportivo e ambientale.
Il progetto di cui scrivo è perciò la materializzazione più ampia di questa idea, con l'albero dell'ulivo – da secoli simbolo di pace, purezza e benessere – quale elemento caratteristico di tutte le civiltà del Mediterraneo che si sono succedute nei millenni.

L'ulivo e non l'olio
L'idea di una strada degli ulivi e non di una strada dell'olio, nasce dalla semplice ragione che l'olio implica un gusto, un profumo, un approccio personale, una valutazione alla fine della quale diventa pur sempre necessaria una scala di valori; e questa potrebbe essere motivo di interpretazioni competitive. La pianta dell'olivo, invece, unisce come simbolo, rinsalda i legami fra le genti e le nazioni, perchè ciascun Paese possiede almeno una varietà che lo rappresenti con particolare orgoglio; e tanti motivi di orgoglio messi insieme creano saldi presupposti di nobili intenti comuni.
Al progetto hanno finora aderito dodici comuni, oltre alla Camera di commercio di Trieste, che ne supporta in maniera encomiabile le iniziative. Al momento l'iniziativa ha il patrocinio dell'Associazione nazionale Città dell'olio e dalla Femo, la Federazione delle municipalità olivicole, mentre in questa fase iniziale il coordinamento sul piano operativo è del Comune di S.Dorligo della Valle-Dolina.
Il compito dei Comuni e delle organizzazioni partecipanti al progetto è di coagularsi intorno ad esso e di dare piena vita e slancio alla Strada internazionale degli ulivi con tutte le risorse umane, culturali, economiche, commerciali, ambientali e paesaggistiche disponibili.

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