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COM'E' DIFFICILE GESTIRE, DIRE E FARE SCUOLA!

Con "Lettera a un insegnante", lo psichiatra Vittorino Andreoli chiarisce le dinamiche relazionali. Gli insegnanti ricoprono un ruolo delicatissimo, poco riconosciuto e compreso dalla società. Devono proporre modelli credibili ed essere in grado di capire le esigenze emotive dei ragazzi

14 luglio 2007 | Antonella Casilli

Meriggiare pallido e assorto / Presso un rovente muro d’orto, / ascoltare
tra i pruni e gli sterpi / schiocchi di merli e fruscii di serpi. // ... // E andando nel sole che abbaglia / sentire con triste / meraviglia / com’è la vita e il suo travaglio / in questo seguitare una / muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.


Antonella Casilli vista da Filippo Cavaliere de Raho

Per una parte dei nostri adolescenti, che vanno incontro alla vita, i cocci aguzzi sono sovente le difficoltà scolastiche.
Quest’ anno, le statistiche parlano chiaro, molti alunni e quindi molte famiglie affronteranno in maniera meno piacevole le vacanze estive.
Noi, che riteniamo la lettura un punto di vista privilegiato per analizzare la realtà abbiamo pensato di rileggere insieme Lettera a un insegnante di Vittorino Andreoli, edito da Rizzoli.

L’approccio di Andreoli al rapporto insegnante-discente è delineato dallo stesso autore che avverte "non ho nulla da insegnarti, ma certo qualche cosa da raccontarti delle mie conoscenze e della mia lunga esperienza sui bisogni del mondo giovanile e su quelli che la scuola potrebbe affrontare".

Gli insegnanti hanno all’interno della società un ruolo fondamentale poiché influiscono anche in maniera determinante sulla percezione che i ragazzi hanno di sé e del mondo.
Ciascuno di noi ha avuto almeno un insegnante che abbia giocato un ruolo determinante nella sua esistenza.
Andreoli ricorda il proprio insegnante di filosofia, un professore che "sapeva tirare fuori il meglio da chi non si era affaticato sulle pagine del libro di testo.
Una relazione al di là della convenzionalità che tuttavia non era un negare ma un aggiungere: sostituirvi una dimensione più impegnativa,
meno scontata persino nuova".

La lettura dei ricordi di Andreoli mi ha riportato alla memoria i miei carissimi insegnanti, sono stati in tanti a lasciare belle tracce nel mio animo, mi sia una volta tanto, una licenza estiva, consentito salutarli, con l’affetto che ho sempre portato loro. Ricordo solo la mia insegnante di inglese e non altri
perchè si potrebbero creare sgradevoli paragoni diretti con insegnanti
di persone a me care.

La mia insegnante di Inglese, dicevo, giovane di anni e carica di buon senso come se fosse alle soglie della pensione, mi ha fatto capire come i libri possano parlare tra loro.
Lei non spiegava Joyce perché non le riusciva di parlare solo di lui doveva
necessariamente parlare di Proust, Kafka, Svevo e poi allargare, allargare sino a che il flusso di coscienza si concretizzava in un flusso di acquisti, perché io non l’ho mai sentita dire leggete, mai consigliare, ma con il suo comportamento rendeva impensabile non leggere i libri dei quali parlava.

L’ho incontrata giorni or sono, mi ha detto di star scrivendo un romanzo, la scuola l’ha lasciata non vi si riconosce più.
Peccato perché possedeva quella che Andreoli definisce la prima qualità di un insegnante: l’autorevolezza.
"L’ autorevolezza da' credibilità: ti rende punto di riferimento e le tue affermazioni assumono il significato di verità". E opportunamente Andreoli approfondisce la differenza con l’autoritarismo che è invece scevro dalla capacità di far percepire qualsiasi argomento in maniera accattivante, interessante e aggiornata. Ammonisce però l’autore sulla maturità indispensabile per insegnare. Maturità che quando c’è aiuta a capire quanto tempo si sottrae ad approfondire temi interessanti per dedicarlo, invece a correggere compiti "strumenti di un giudizio scontato e banale, inutile nel migliore dei casi, dannoso per lo più".

Arriva, allora, il nostro “vecchio psichiatra ” a sobillare l’insegnante a ribellarsi "lo so che sei un precario e che un giudizio – perché anche tu ne sei vittima- potrebbe rovinare la speranza di entrare in ruolo…. Lo so , lo so….".
Certo l’autorevolezza, la sua, indiscussa, gli permette di ricordare di essere "in una fase dell’ esistenza in cui conta soltanto la coerenza e anche il coraggio che in una società instupidita finisce per diventare finzione e farsa".

E’ con coerenza che Andreoli rammenta il significato che giudizi scolastici possono avere sugli allievi, significato che travalicando problemi scolastici passa dentro la famiglia e si assesta su problemi esistenziali.
"Credimi non se ne può più di giudizi scolastici che passano dentro la famiglia e la fanno sentire a sua volta giudicata dalla scuola" da quella stessa scuola che magari ripetutamente e sbrigativamente ha definito il ragazzo un "potrebbe fare di più".

Osserviamo con Andreoli che il rapporto scuola – famiglia quantunque complesso e variegato si può dividere in varie tipologie: ragazzo studioso, certamente la famiglia si sentirà gratificata perché crederà di avere il merito di aver trasmesso l’amore della cultura ed il senso del dovere. Nel caso di giudizi negativi o insoddisfacenti le strategie variano a seconda del ceto sociale di appartenenza.

Le famiglie che considerano i figli forza lavoro considerano la scuola una perdita di tempo, le famiglie economicamente emergenti vedono nella scuola il
riscatto sociale del figlio e si abbassano a poco dignitose, ma molto false promesse di recupero, le famiglie borghesi "con un buon livello economico" optano per la strategia di attacco: gli insegnanti sono visti come persecutori dei figli".

La sola strategia accettabile , è quella che Andreoli, per auspicando ritiene inesistente, una collaborazione tra scuola e famiglia.
Una collaborazione che oltre che prevenire catastrofici risultati aiuta l’insegnante a capire, come, possa essere vissuta una punizione da chi la riceve.

"Anche la punizione si situa all’interno di una relazione e bisogna prevederne la risposta, per evitare di ammazzare credendo di aver dato un pizzicotto".
Andreoli, legge con acutezza la realtà ma fondamentalmente invita a promuovere un rapporto profondo, attento, capace di guidare, accogliere, ascoltare.



Vittorino Andreoli, Lettera a un insegnante, Rizzoli, pp. 180, euro 5

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