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UNA SOLA PAROLA D'ORDINE: LEONARDO. NEL ROMANZO DI KAREN ESSEX UNA SCRITTURA EVOCATIVA

Con "I cigni di Leonardo" si snocciola una trama raffinata in cui si intrecciano amore, potere, sensualità e arte. L'autrice è riuscita abilmente nel tentativo di restituire i colori di una epoca gloriosa e drammatica

03 giugno 2006 | Antonella Casilli

…del onorato Vinci la gran Leda
leggiadra e vaga col bel cigno appresso
che lei abbraccia ha in sé raccolto e espresso
tutto il più bel si che ciascun le ceda
et gli figli da basso par che veda in scorto…

G. P. Lomazzo




Se Leonardo potesse parlare chissà cosa direbbe di tutte queste fiction che stanno nascendo attorno alla sua opera?
Dai suoi Taccuini immaginiamo “La moderazione frena tutti i vizi”.
In questo momento in cui al cinema e in libreria la parola d’ordine è Leonardo, per mantenere fede a un impegno di moderazione, e al contempo tacitare la “Leonardo-mania”, leggiamo un bel romanzo: I cigni di Leonardo di Karen Essex, edito da Bompiani.

Merito primo della Essex è di aver utilizzato una narrazione politicamente corretta, certamente non allineata all’attuale tendenza secondo cui non esiste ciò che accade, ma ciò che è rappresentato; e una storia è tanto più interessante quanto più alternativa al verosimile.

Un romanzo storico che riguardi personaggi storici è frutto dell’immaginazione, fedele al tempo e al personaggio, certo, ma fedele ai fatti nelle misura in cui i fatti possono fornire un intreccio credibile.
La Essex, avvalendosi di una scrittura evocativa, offre una trama raffinata in cui si intrecciano amore, potere, sensualità, arte, restituendo i colori di un’ epoca gloriosa e drammatica.

La storia si svolge nell’arco di diciassette anni. Sullo sfondo di un’Europa contesa tra il galante Francesco I , il meno frivolo Carlo VIII, Massimiliano d’Asburgo si muovono personaggi di rilievo storico come Ludovico Sforza detto il Moro e poi Francesco Gonzaga marchese di Mantova, il Doge di Venezia che tramano per la supremazia ora dell’uno ora dell’altro sovrano.

Su questa scacchiera avvelenata le sorelle Isabella e Beatrice D’Este, spose rispettivamente di Francesco Gonzaga e Ludovico Sforza, donne che incarnano l’ideale rinascimentale di principessa italiana, amanti delle arti, della musica, del lusso.

Quasi dall’alto l’acuto osservatore silenzioso del “gioco”, Leonardo.
E in questo narrare le vicende degli uomini restano sullo sfondo facendo balzare al ruolo di protagonista indiscussa l’arte di Leonardo, la sua capacità di cogliere il femminino sacro, il potere della femminilità, la divinità della donna.

“Tutti i dipinti religiosi in Italia rappresentano il sacro separato dall’umanità. Leonardo (pensa Isabella) esprime la sacralità all’interno della forma mortale.”
Quasi come se il maestro guardasse nell’anima, “l’esenza, il mistero, la seduzione della donna emergono da dentro. Si manifestano appena negli occhi e nei muscoli pori della pelle, a rilevare un che di ineffabile.”
E nell’anima delle due sorelle d’Este vede un morboso legame d’affetto e gelosia.
Affetto frutto dell’infanzia condivisa, gelosia perché la colta e raffinata Isabella, sensibile al richiamo del bello, non può essere mecenate del grande Leonardo che invece orbita nella corte del duca di Milano e quindi della duchessa Beatrice; al tempo stesso quest’ultima è gelosa dell’esuberanza culturale della sorella che le sembra più adatta a vivere una comunione spirituale col Moro. Lo stesso Moro inizialmente rimpiange di aver chiesto in moglie Isabella con qualche giorno di ritardo e di essere stato dirottato sulla sorella minore, Beatrice, timida ed impacciata.

Beatrice potrebbe, in qualsiasi momento volesse, posare per Leonardo, ma ha paura del suo sguardo penetrante; è vero che “ha gli occhi così buoni”, ma non può impedirsi di pensare che non le piace “l’intensità con la quale guarda le cose”.
Isabella, al contrario, frema dal desiderio di posare per Leonardo ma non può farlo prima della sorella.
Nella sua critica superiorità intellettuale Isabella è convinta che solo Leonardo possa catturare e trasmettere quella parte di lei che “ne faranno la donna più celebre del suo tempo, come dice una donna che è riuscita a vivere in un mondo di uomini “.
Al momento non le resta che sognare l’immortalità ad opera del genio ammirando i dipinti delle amanti del Moro Cecilia Gallerani (La dama con l’ermellino) e Lucrezia Crivelli (La bella Ferroviere e La Vergine delle rocce), Leda.

La bellissima copertina del romanzo è appunto il dipinto di Leda, chi ne fu il committente è tuttora un mistero, se “una donna che ha imparato a vivere in un mondo di uomini”, Isabella d’ Este Gonzaga, o Ludovico Sforza, che considera anche l’arte uno strumento di conservazione del potere.

L’opera verte sull’invenzione di Leonardo relativa alla raffigurazione del mito di Leda, la bellissima principessa greca che, amata da Zeus concepì e diede alla luce due copie di gemelli Castore e Polluce, Elena e Clitemnestra.
Isabella alla vista delle immagini ne è affascinata quantunque pensi”forse hanno ragione i preti a condannare gli antichi miti come volgari e blasfemi”.

Come può una donna unirsi ad un cigno, si domanda, senza peraltro staccare gli occhi da tutte le immagini degli studi di Leonardo. Del resto nella sua mente di donna “costumata” e al tempo stesso raffinata intenditrice d’arte si affaccia anche la certezza che “il cigno è una trovata geniale nessuno può resistergli a causa della sua bellezza”

Quello che è arrivato a noi non raffigura una donna pudica , è di tutta evidenza che non fa nulla per nascondere la sua nudità, ma una donna che, fiera della propria maternità, lancia uno sguardo amorevole ai figli. Non è forse lecito pensare che Leonardo, attraverso lo sguardo di Leda, voglia invitarci ad un misterioso dialogo sui poteri della procreazione che tanto lo affascinavano nei suoi studi scientifici?
O semplicemente utilizza il cigno che “sa quando è la sua ora ” e sa che tutte le cose di questo mondo” non sono che un dono” effimero come il piacere nel quale sembra persa Leda?


Karen Essex, I cigni di Leonardo, pp. 392, euro 18


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